Nel gennaio del 2009, dopo una prova di forza che aveva tenuto l’Europa col fiato sospeso per tre settimane con la minaccia di un inverno senza riscaldamento, i presidenti di Gazprom (Russia) e Naftogaz Ukraini (Ucraina) firmarono, sotto lo sguardo attento di Putin, un accordo decennale che avrebbe dovuto mettere definitivamente fine alle “guerre del gas” e ai timori europei. Tale accordo prevedeva che l’Ucraina avrebbe da allora in avanti pagato il gas ad un prezzo di mercato, ma con uno sconto del 20% (con prezzi adeguati trimestralmente), mentre Mosca accettava di mantenere invariato il volume del traffico di transito attraverso l’Ucraina e si proponeva come garante dei pagamenti tramite prestiti al governo di Kiev.

Esattamente un anno dopo tuttavia la situazione ha rischiato di precipitare di nuovo, con il presidente di Gazprom, Aleksej Miller, che il 25 dicembre ha messo in guardia l’Europa sul possibile rischio di una nuova interruzione del gas, a causa di possibili difficoltà ucraine a saldare i pagamenti previsti dall’accordo di gennaio. Tanto è bastato perché si iniziasse a parlare di una nuova “guerra” tra Russia e Ucraina.

In realtà avvisaglie che la questione fosse tutt’altro che risolta erano già emerse in altre occasioni nel corso dell’anno.

Un primo contrasto era avvenuto già in marzo dopo la firma del memorandum congiunto europeo-ucraino su “la modernizzazione del sistema del transito del gas in Ucraina”, quando i russi, in risposta al loro mancato coinvolgimento, avevano rimandato le consultazioni intergovernative programmate con l’Ucraina su un possibile prestito e contemporaneamente i vertici di Gazprom avevano emesso un comunicato in cui ribadivano il proprio impegno prioritario nella costruzione di tratte alternative per il loro gas, in accordo con i propri partner europei (con chiaro riferimento ai progetti Nord e South Stream portati avanti in collaborazione con Ruhrgas, ENI, Gaz de France).

Successivamente, a giugno, il presidente russo Medvedev, intervenendo al Forum Internazionale dell’economia e della finanza che si stava tenendo a S. Pietroburgo, aveva accusato l’Ucraina di non aver pagato le proprie forniture, costringendo il presidente ucraino Juščenko a richiedere d’urgenza un nuovo prestito alla Banca nazionale di Kiev per far fede agli impegni.

Dunque una situazione piuttosto tesa, resa ancora più difficile negli ultimi mesi del 2009 dai crescenti problemi interni dell’Ucraina, messa in ginocchio dalla sua peggior crisi economica degli ultimi 20 anni e paralizzata dallo scontro politico in vista delle imminenti elezioni presidenziali del gennaio 2010.

Come se non bastasse, il 10 dicembre il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di trattenere l’ultima tranche del finanziamento di 16,8 miliardi di dollari destinati all’Ucraina, pari a circa 3,5 miliardi (il quarto versamento dall’inizio dell’anno) in attesa dell’esito delle elezioni.

È proprio a partire da queste premesse che nasce dunque il recente richiamo di Mosca all’Europa riguardo l’eventualità di una nuova “guerra del gas” (o semplicemente la ripresa della vecchia ostilità dopo una breve tregua) e il conseguente appello del premier russo Putin all’Unione Europea affinché aiuti l’Ucraina a mantenere i propri impegni economici.

Quella prospettata sarebbe inoltre una guerra alla quale ha rischiato di aggiungersi anche un nuovo, ulteriore fronte, relativo al petrolio, dopo che il 28 dicembre il governo russo aveva avvertito l’UE di una possibile interruzione delle forniture a Slovacchia, Rep. Ceca e Ungheria nel caso l’ucraina Naftogaz e il monopolista russo dell’esportazione del greggio, Transneft, non avessero raggiunto un accordo sulle nuove tariffe di transito chieste dall’Ucraina. Un rischio fortunatamente evitato all’ultimo momento grazie al raggiungimento di un’intesa tra le due parti, almeno per il 2010.

La questione del gas invece è rimasta in sospeso e sembra sia stata solo temporaneamente rimandata. Infatti, nonostante Gazprom abbia concesso al governo di Kiev una proroga del pagamento fino all’11 gennaio, e contestualmente l’FMI abbia ammorbidito la propria posizione accettando di sborsare all’Ucraina 2 miliardi di dollari, i problemi economici e politici di Kiev sono tutt’altro che risolti. E la classe dirigente ucraina è al momento incapace di dare qualsiasi garanzia sulla tenuta istituzionale e finanziaria del paese, troppo presa com’è dalla propria competizione elettorale.

La nuova resa dei conti è dunque rinviata all’esito della lotta tra i candidati alle presidenziali ucraine di gennaio, Juščenko, Timošenko e Janukovič (più l’indipendente Jazeniuk), sperando che dia finalmente chiarezza sulla linea futura del governo di Kiev, al di la delle vuote dichiarazioni della campagna elettorale. Nel frattempo Russia ed Unione Europea stanno in attesa.

* Andrea Bogi, redattore del sito di “Eurasia”, si occupa della Russia e dell’area post-sovietica


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