Accanto a quella che può essere considerata la più grande delle potenze euroasiatiche, la Russia, bisogna affiancare la più piccola ma altrettanto importante Turchia, uno Stato che si estende appunto sia in Europa che in Asia, almeno se si assume la nozione geografica corrente un po’ limitativa, che fa terminare l’Europa sul Bosforo anziché al Caucaso.

Guardando alla sua storia e alla sua posizione geopolitica, la Turchia possiede diverse opzioni strategiche tra le quali, però, dovrà scegliere quella più confacente ai propri interessi contemporanei: panturanismo, Islam, Europa.

Non bisogna dimenticare che, dal punto di vista culturale,  l’ex Impero Ottomano si è caratterizzato per un marcato carattere di “romanità” fin dalla conquista di Costantinopoli, al punto che lo storico romeno Nicolae Iorga lo definì “ultima ipostasi di Roma”.

Da un punto di vista geopolitico, peraltro, l’attuale costruzione europea non potrebbe costituire un’unità completa senza la Turchia, perché rimarrebbe priva del contrafforte sudorientale e con scarso peso militare nel Mediterraneo.

Così amputata, l’Unione Europea continuerebbe ad essere la testa di ponte per la conquista statunitense dell’Eurasia (come ben descritto da Zbigniew Brezinski nella “Grande scacchiera”).

Inoltre, rimanendo fuori dall’Europa, la Turchia potrebbe continuare ad essere utilizzata dagli Stati Uniti quale serio fattore di destabilizzazione del Vecchio Continente, mantenendo alta la tensione nei Balcani (specie in Kosovo-Metohija e in Bosnia Erzegovina) e ostacolando l’integrazione europea dei paesi dell’area (Serbia, Croazia, Albania, Macedonia).

Questo scenario è peraltro probabile se dovessero prevalere le posizioni degli “islamofobi”, capeggiati dalle associazione vaticaniste o lepantiste e dalle lobbies tipo “Francia-Israele”.

Un altro scenario favorevole agli interessi nordamericani prevede che la Turchia entri sì nell’Unione Europea ma per rafforzarvi il partito atlantico, già largamente rappresentato da Gran Bretagna, Polonia, Ungheria ecc. e per sabotare le possibili linee di emancipazione prefigurate dall’asse Roma, Madrid, Parigi, Berlino, in collaborazione con Mosca.

Rafforzando le teorie turcofobe e islamofobe di alcuni Paesi, cioè, si vorrebbe scavare un fossato geopolitico tra l’Europa e le nazioni musulmane che si affacciano sul Mediterraneo, preparando inoltre un possibile ingresso di Israele nell’Unione Europea.

Il terzo scenario, altamente auspicabile, è quello che vede lo spostamento del baricentro politico europeo sull’asse Italia-Spagna-Francia-Germania, con lo slittamento della Turchia da una posizione filo atlantica ad una posizione continentale.

Con l’ingresso di Ankara, l’Unione Europea acquisirebbe, al di fuori della NATO, il controllo degli Stretti e l’opportunità di far valere le proprie esigenze circa le risorse energetiche, così come aumenterebbero le possibilità di comporre pacificamente questioni irrisolte quali quella cipriota e quella balcanica.

Da questo punto di vista, la recente decisione turca di entrare a far parte del progetto energetico South Stream, patrocinato da Mosca, costituisce una svolta notevole.

La Turchia, infatti, rappresentava uno dei rari punti di forza del gasdotto voluto da Washington, il Nabucco, la cui intenzione sarebbe quella di portare il gas naturale del Mar Caspio in Europa facendo a meno della Russia.

Le decise pressioni economiche-diplomatiche di Vladimir Putin, che si è avvalso in questa circostanza della mediazione dell’italiano Silvio Berlusconi, hanno portato il 6 agosto scorso alla firma che permetterà al gasdotto russo South Stream di passare dalla Turchia, permettendo così all’Europa di ricevere gli approvvigionamenti energetici attraverso un percorso molto più razionale ed economico.

Non solo, la firma turca (che è seguita in ordine temporale a quella dell’Italia) ha agevolato il notevole interessamento dimostrato recentemente da Francia e Austria per il progetto del South Stream e ha messo ulteriormente in crisi il disegno statunitense.

L’avvicinamento con la Russia ha consentito anche l’improvviso riallacciamento delle relazioni diplomatiche e la riapertura delle frontiere tra Armenia (tradizionale alleato della Russia) e Turchia, a lungo divise da rivalità storiche e geopolitiche (persecuzione degli Armeni tra il 1915 e il 1918, voluta però soprattutto dai “dunmeh” e questione del Nagorno Karabakh, con appoggio turco all’Azerbaigian).

Due sono allora le condizioni affinché il cammino europeo della Turchia possa proseguire senza troppi ostacoli: l’attenuazione dei sentimenti turcofobi ed islamofobi in Europa, il rafforzamento interno dello schieramento politico capeggiato dall’attuale premier turco Racep Tayyip Erdogan, stanco dei ricatti provenienti dagli ambienti kemalisti e deciso a completare l’integrazione eurasiatica di Ankara.

Vernole, Stefano: redattore di “Eurasia, rivista di studi geopolitici”, dottore in Storia contemporanea. Ha pubblicato:
La lotta per il Kosovo”, Edizioni all’insegna del Veltro;

La questione serba e la crisid el Kosovo, Noctua

Contributi pubblicati in Eurasia: Palestina: una diplomazia tra speranze e illusioni (nr. 1/2005, pp. 179-200), La “spina” tibetana (nr. 1/2006, pp. 165-175), L’Armata Popolare cinese: un nuovo modello di esercito (nr. 3/2006, pp. 91-95), La terza guerra fredda (nr. 2/2007, pp. 133-142), La globalizzazione e la risoluzione dei conflitti (nr. 1/2008, pp. 241-260)


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