Si è tenuto sabato 13 febbraio a Modena, seguito da un attento e partecipativo pubblico (fra essi anche numerosi serbi) un incontro con la giornalista free-lance Marilina Veca, la quale ha presentato il suo romanzo Cuore di Lupo. Un titolo non casuale, visto che il lupo è l’animale totemico dei Serbi, e ancor oggi molti bambini vengono chiamati con questo nome:Vuk. Un’ottima occasione anche per focalizzare l’attenzione dei presenti su quei campi di concentramento a cielo aperto chiamati “enclaves” serbe in territorio kosovaro. Ma andiamo con ordine. Il libro parla, in forma volutamente romanzata, della piaga della secessione del Kosovo dalla madrepatria Serbia e di ciò che esso comporta per i pochi Serbi ivi stoicamente rimasti. In particolare, le 1500 persone non albanesi di cui non si ha più notizia, e le raccapriccianti storie legate al traffico di organi di molte persone scomparse. In un tardivo rimorso di coscienza, la grande accusatrice dei Serbi Carla del Ponte, al termine del suo incarico di Procuratore presso il Tribunale Internazionale dell’Aja, nel suo libro La Caccia accenna a una tale scabrosa realtà, sulla quale purtroppo poca o nessuna luce è stata mai fatta.
La Veca è una profonda conoscitrice della realtà kosovara, e usa il tipico linguaggio diretto e senza tanti fronzoli di chi ha visto coi suoi occhi e ha toccato con mano l’atroce realtà delle “enclavi”, prigioni a cielo aperto, in cui sono relegati i pochi Serbi che hanno avuto il coraggio di restare in Kosovo, a Nord del fiume Ibar: all’interno di tali luoghi non esiste nulla, e chi vi abita sa che non può uscirne, a costo della vita. Marilina Veca è impegnata da anni nel sostegno del Kosovo serbo con la sua piccola grande associazione “Rinascere Onlus”, al fianco della quale oggi è nata l’ “Associazione di amicizia Italia-Serbia”, aperta a tutti coloro che hanno a cuore il destino di questo fiero popolo, oggi abbandonato nelle mani di governanti sensibili al richiamo delle sirene d’oltreoceano. Nemmeno dieci anni dopo i vergognosi bombardamenti sulla Serbia compiuti dalla Nato, infatti, costoro non si fanno scrupoli di proporre l’adesione del paese balcanico all’Alleanza Atlantica stessa. Un’offesa indicibile, con ancora fresca la memoria delle bombe. Ma cosa intendiamo oggi quando parliamo di Kosovo, quali dinamiche geopolitiche si celano dietro questa piccola ma fondamentale regione nel cuore dei Balcani? Il Kosovo è una provincia serba che ha una grande importanza per la cultura serba, ma oggi, attraverso un procedimento del tutto illegittimo (e grazie ai soldi degli americani) questa zona, completamente epurata del suo popolo originario, è stato trasformato in una zona franca, di importanza geostrategica vitale: non solo per il transito di droga e armi ma anche per la presenza di una colossale base americana, Camp Bondsteel. Una zona franca, dicevamo, governata dai terroristi dell’Uck – oggi Tmk – e sponsorizzata dagli Stati Uniti. L’Italietta è stato uno dei primi paesi a riconoscere questo “stato”, oltretutto in un periodo di crisi di governo, in cui è possibile solo legiferare sulla straordinaria amministrazione, e non certo per il riconoscimento di stati. Uno dei capitoli più atroci di questa tragica storia riguarda l’utilizzo massiccio di uranio impoverito durante i bombardamenti Nato del 1999. Le conseguenze di ciò (tumori, leucemie, malformazioni fetali) oggi ricadono non solo sui serbi ma anche sugli albanesi che occupano il territorio kosovaro.
I Serbi hanno quindi sperimentato sulla loro pelle la tipologia di “guerra moderna”, che presenta queste caratteristiche: non viene dichiarata, non ha un inizio ed un termine ben definiti, e si gioca innanzitutto sul piano dell’informazione. Una guerra in cui, come abbiamo avuto modo di capire, i Serbi sono stati le vere vittime, e non, come hanno sempre raccontato i mass media, i carnefici.
Di tutto ciò si è parlato a Modena, per tenere viva la memoria di un popolo che, in una piccola zona nel cuore nel cuore dell’Europa, oggi sta venendo cancellato nell’indifferenza e nel silenzio generali.


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