La guerra russo-ucraina ha prodotto qualche ripercussione sullo spazio postsovietico. Il conflitto in corso ha avuto un’eco che è andata ben oltre l’Europa orientale, propagandosi fino alle steppe centroasiatiche. I contraccolpi economici che hanno investito Mosca non si sono limitati a scollegare parte dell’economia russa da quelle occidentali, ma hanno avuto effetti anche sul sistema produttivo degli Stati che con la Russia hanno forti legami economici. Non si tratta soltanto di Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan, che appartengono all’Unione Economica Eurasiatica, ma anche di altri Paesi dello spazio postsovietico fortemente dipendenti dall’andamento del rublo, come l’Uzbekistan e il Tagikistan, che ricavano parte del proprio prodotto interno lordo dalle rimesse degli emigrati. Le conseguenze per queste economie satelliti del gigante russo sono state più dure e immediate di quanto i rispettivi governanti si aspettassero, mettendoli in allarme e spingendoli verso l’adozione di contromisure.

Tra i Paesi ex sovietici, dopo la Russia e prima dell’Ucraina, la seconda economia trainante è rappresentata da quella kazaka, ed il Kazakistan è stato proprio l’attore geopolitico che si è fatto più notare nelle ultime settimane per le sue decisioni, in alcuni casi palesemente distoniche rispetto a quelle del suo alleato settentrionale.

L’economia kazaka è fortemente integrata con il sistema produttivo russo. Il volume di scambi tra i due Paesi è rilevante in entrambe le direzioni e nel 2019 ha superato i 19 miliardi di dollari, con il Paese centroasiatico che funge da snodo logistico per le comunicazioni tra l’Eurasia settentrionale e quella centro-meridionale e da polo nella triangolazione degli scambi commerciali tra la Russia e i Paesi che le hanno imposto sanzioni dopo il 2014. Dopo l’annessione russa della Crimea, infatti, il Kazakistan ha beneficiato della sua vicinanza al mercato russo per fungere da tramite e consentire a Mosca di aggirare le sanzioni. Ciò ha rafforzato l’economia del Paese ed ha favorito gli investimenti in logistica per movimentare le merci più agevolmente in un territorio che è tra i più estesi al mondo. La posizione centrale in Eurasia, inoltre, ha rappresentato per Nur-Sultan un valore aggiunto nella sua politica di diversificazione dei mercati su cui operare. Ciononostante, quello russo resta il principale mercato di riferimento per l’economia kazaka, che nel 2019 con la Cina, suo secondo partner per importanza, scambiava beni e servizi per soli 17 miliardi e mezzo di dollari. È evidente, quindi, quanto l’impatto dell’imposizione delle sanzioni occidentali alla Russia si sia propagato rapidamente anche al Kazakistan.

La classe dirigente di Nur-Sultan, uscita fortemente scossa dagli avvenimenti del “Gennaio di sangue”, quando violente proteste hanno infiammato il Paese centroasiatico, ha preso fin da subito delle contromisure per fronteggiare lo tsunami finanziario abbattutosi su Mosca. La Banca Centrale del Kazakistan ha movimentato nella prima settimana di guerra un volume di risorse pari a 178 milioni di tenge, cui sono seguiti altri interventi nelle settimane successive per difendere il valore della moneta ed evitare la svalutazione. Il governo è intervenuto con il Tesoro per proteggere i depositi in divisa nazionale, evitando così una corsa agli sportelli simile a quella russa, e sono state intraprese azioni per contenere l’inflazione. Nur-Sultan, infine, si è attivata presso i governi occidentali per sincerarsi della loro volontà di limitare al minimo l’impatto riflesso delle sanzioni alla Russia sul Paese centroasiatico, già vittima di alcune restrizioni nelle scorse settimane, come accaduto per le azioni di alcune società kazake quotate presso la Borsa di Londra e bloccate nello stesso momento in cui è stata interrotta la negoziazione di titoli russi. Sul piano geoeconomico, la presidenza Tokaev si è attivata presso l’Azerbaigian per valutare la fattibilità di un collegamento dei gasdotti tra i due Paesi, in modo da poter esportare verso ovest anche nel caso di un blocco delle forniture russe verso l’Europa.

Nello scenario attuale, tuttavia, si apre per il Kazakistan una serie di opportunità di sviluppo nel medio termine. Lo Stato centroasiatico può rafforzare il proprio ruolo di intermediario tra Mosca e l’Occidente, aumentando l’importanza dello sdoganamento di merci sotto embargo da trasferire al vicino settentrionale. Anche gli spostamenti di persone tra la Russia e i Paesi occidentali stanno dirigendosi verso il Kazakistan, con un aumento vertiginoso del traffico aereo nelle ultime settimane. Infine, Nur-Sultan spera che i principali fondi di investimento decidano di spostare parte delle attività che avevano in Russia nel ben più stabile vicino meridionale, contando sull’integrazione e la compatibilità tra i due mercati.

La guerra russo-ucraina ha cambiato le carte in tavola per il presidente Tokaev, il quale si è trovato a dover gestire una crisi non voluta che si è abbattuta con violenza sull’economia del suo Paese. La richiesta di un aiuto militare, arrivata direttamente dal presidente Vladimir Putin, ha posto il Kazakistan di fronte ad una scelta mai fatta in trent’anni di indipendenza: schierarsi apertamente a favore dell’azione militare russa o decidere la propria politica in autonomia. Il niet di Kassym-Jomart Tokaev alla richiesta russa, così come l’astensione nella votazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una risoluzione dove si condannava l’intervento russo in Ucraina, segnano un punto di svolta nelle relazioni tra i due Stati. Il Kazakistan ha inviato un messaggio quanto mai eloquente alla Russia: la linea politica di Nur-Sultan non verrà stabilita nei palazzi moscoviti.

Nei trent’anni che hanno fatto seguito all’indipendenza dello Stato centroasiatico, la linea di politica estera che è stata adottata si è orientata verso l’equilibrio tra le principali potenze mondiali ed ha preso il nome di approccio multivettoriale alle relazioni internazionali. Nur-Sultan, pur essendo consapevole della necessità di adottare una politica vicina a quella russa per ragioni di sopravvivenza, visti gli esiti disastrosi dei tentativi di allontanamento dalla stessa della Georgia e dell’Ucraina, sa di essere troppo grande per appiattirsi sulla linea di Mosca ed ha fin da subito cercato altre sponde per perseguire al meglio i propri obiettivi. Queste sono venute innanzitutto dalla Cina e dalla Turchia, importanti per via dei legami economici e culturali che hanno con il Kazakistan, ma anche dall’India, dal Giappone, dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’Australia e dall’Europa, intesa sia come Unione Europea sia come singoli Stati europei. Ad esempio, per molti anni l’Italia è stata il primo importatore di prodotti kazaki, che per il 95% vuol dire petrolio, venendo scalzata solo di recente dalla Cina e scivolando al secondo posto.

Nonostante il sostegno fondamentale delle forze speciali russe e delle forze d’interposizione del CSTO nel sedare le rivolte in Kazakistan nel “Gennaio di sangue”, Tokaev sembra essersi orientato verso un superamento del rigido schema di integrazione regionale postsovietico, aderendo a numerose iniziative in collaborazione con altri attori globali di primo piano e cercando di evitare l’isolamento internazionale. Una riduzione dell’influenza politica della Russia sul Paese non implica un cambio nello schema delle alleanze del Kazakistan, ma significa maggiore spazio di manovra.

Nelle decisioni kazake in merito all’atteggiamento da tenere nei confronti del conflitto russo-ucraino non hanno giocato solo fattori economici e geopolitici, ma anche fattori di sicurezza interna.

Al momento dell’indipendenza, nel Paese centro-asiatico i russofoni erano numericamente superiori ai turcofoni, tanto che il primo presidente Nursultan Nazarbaev richiamò in patria i Kazaki della diaspora per ricostituire la preminenza dell’elemento kazako. La competizione per il potere tra Russi e Kazaki e la distribuzione delle popolazioni russofone sul territorio, concentrate soprattutto nella parte settentrionale del Paese, dunque vicino al confine con la Russia, hanno spinto la classe dirigente kazaka a guardare con apprensione ad ogni mossa di Mosca che fosse giustificata dalla difesa di minoranze all’estero. Così anche la tutela russa nei confronti della popolazione russofona del Donbass si è ripercossa sul Kazakistan inducendolo ad assumere una posizione differenziata, come appare evidente dal rifiuto di voler mettere in campo azioni ostili contro l’Ucraina; tuttavia non c’è mai stata una denuncia delle relazioni privilegiate con Mosca, che per molto tempo resteranno imprescindibili per la sopravvivenza di un Kazakistan indipendente.


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Laureato magistrale in Studi Internazionali all’Università “L’Orientale” di Napoli con una tesi in idropolitica dell’Asia centrale. Ha trascorso due periodi Erasmus in Germania, che lo hanno portato prima a studiare a Friburgo in Brisgovia e poi a svolgere un tirocinio presso la Camera di Commercio Italiana per la Germania di Lipsia. Appassionato di Asia centrale, idropolitica ed energia, collabora con vari centri studi come analista geopolitico.