di Michaela De Marco*

1) Come considera l’atteggiamento della comunità internazionale (in particolare EU e USA) riguardo la guerra a Gaza?

Cominciamo col dire che è lo stesso concetto di “comunità internazionale” ad essere equivoco. A cosa si riduce l’Onu, che dovrebbe esserne la massima espressione? A ratificare tutte le violazioni angloamericane e sioniste del “diritto internazionale” di cui la stessa Onu dovrebbe esigere il rispetto, con qualche rituale protesta del suo segretario che, di regola, viene bellamente ignorata e rientra nel breve giro di qualche ora!
Sempre per abitudine, si ripete che la “comunità internazionale” è in lotta contro il “terrorismo” (islamico). Invece, è più corretto affermare che la vera “rete del terrore” sono l’Anglomerica e il suo cane da guardia sionista nella regione all’incrocio tra Europa, Asia e Africa, creato per evitare che il cosiddetto “Vecchio mondo” trovi la sua naturale integrazione secondo quanto andiamo descrivendo, dal 2004, nella rivista di studi geopolitici “Eurasia” (www.eurasia-rivista.org), di cui sono redattore. L’America – si noti – sta tenendo un profilo estremamente basso in questi giorni, e vi sono varie ragioni per questo comportamento, tra cui – a livello d’immagine – l’esigenza di non compromettersi con qualcosa d’impresentabile mentre sta rifacendosi il trucco con l’“operazione Obama”.
Poi abbiamo la Russia, che da sempre – per le centrali della massoneria mondialista – è il problema principale della talassocrazia angloamericana, la quale ha lanciato il programma teorico-operativo dello “scontro di civiltà” al fine di creare conflitti civilizzazionali di cui quello tra Ortodossia e Islam lo abbiamo già visto attizzato nella ex Jugoslavia, quindi ben prima del ‘fatidico’ 11 settembre 2001 da cui tutto avrebbe inizio. Bisogna anche considerare che al di fuori del cosiddetto “Occidente” (altro termine equivoco perché diluisce l’Europa nell’Angloamerica sradicandola dal “Vecchio mondo”) si è messa in moto un’inesorabile logica d’integrazione grande-continentale di fronte alla quale i tentativi d’innescare nuove guerre come quella all’Iraq sono destinati ad infrangersi, poiché – tanto per fare due esempi –le manovre per mettere contro India e Pakistan sono fallite e l’Iran (come la Siria, del resto) è praticamente inattaccabile, grazie agli appoggi e alle coperture di cui gode. In poche parole l’Iran non è l’Iraq dopo dodici anni d’embargo, e la Russia non è più quella dell’ubriacone Eltsin.
L’Unione Europea in pratica non esiste, politicamente, poiché così è stato deciso sin dall’inizio, tuttavia è bene stabilire che a livello europeo vi è una cointeressenza nel Sionismo, che funziona come una sorta di “società a quote”: chi più mette soldi più conta, e per questo è bene ricordarsi che la Germania, con le “riparazioni dell’Olocausto”, ha una forte influenza a Tel Aviv.
La Cina, infine, che con l’Organizzazione della Conferenza di Shangai si è posta come potenza leader del processo d’integrazione eurasiatica, è fortemente impegnata a comprarsi letteralmente l’Africa, teatro che vede l’America in forte difficoltà (da qui gli strali sul Darfur ecc.).
Tutto ciò premesso, a Gaza – sebbene a forza di vedere gente massacrata potrebbe sembrare il contrario – sta andando in scena l’atto finale dell’epoca del Sionismo, perché una “potenza regionale” che non riesce a sottomettere neppure un fazzoletto di terra dovrà fare i conti con le conseguenze di un altro fallimento militare dopo quello in Libano. Adesso, l’unico errore che non dev’essere commesso da parte della resistenza sarebbe quello di cadere nelle provocazioni che l’Entità Sionista metterà in atto ai suoi confini per coinvolgere Hezbollah, la Siria e, alla fine, l’Iran in una guerra più ampia, che ridarebbe fiato all’agonizzante economia degli Usa, basata com’è – come insegna il politologo A.B. Mariantoni – su una combinazione integrata di settore petrolifero, industria delle armi, ricerca tecnologica e speculazione finanziaria.

2) Come considera il comportamento di Fatah e Hamas in questo frangente?

Fath (da noi noto come al-Fatah), di fronte al popolo palestinese non esiste più. L’ANP è un ologramma e Abu Mazen è il classico “indiano buono” da mostrare alla “comunità internazionale”. Il vero governo della Palestina, e non solo di Gaza, è quello di Hamas, che non solo ha saputo guadagnarsi il consenso sulla base dell’opera svolta tra la popolazione mentre l’ANP sprofondava nella corruzione, ma ha saputo incrementarlo proprio nel momento più difficile, quello dell’aggressione sionista. Hamas è, in un certo senso, il punto d’arrivo della resistenza arabo-islamica al Sionismo dopo l’equivoco della “resistenza laica”. Non dimentichiamoci che esistono anche altri gruppi della resistenza, come il “laico” FPLP, o il Jihad Islamico, ma è Hamas il cuore della resistenza.
Il Sionismo non potrà mai avere la meglio su Hamas perché dietro quest’organizzazione esiste una rete molto sofisticata che non può essere intaccata da seppur ‘spettacolari’ bombardamenti, che hanno anche lo scopo di mostrare ai palestinesi della Cisgiordania qualche sorte potrebbe toccare loro se osassero ribellarsi ad Abu Mazen e soci.

3) Come considera l’atteggiamento del governo italiano? Perché quest’approccio?

Il governo italiano non va preso sul serio. Davvero, l’Italia non è una cosa “seria”, se per serietà s’intendono una visione geopolitica consona ai propri interessi ed una consequenziale posizione. Si pensi che abbiamo un Presidente della Repubblica che va nell’Entità Sionista a vantarsi del fatto che l’Italia ha drasticamente diminuito il volume d’affari con l’Iran! E questi personaggi sono poi gli stessi che parlano di “interesse nazionale” a ogni piè sospinto.
Questo Paese, comunque, per la sua stessa posizione geografica deve tenere sempre una posizione ambivalente, e prova ne sono le sperticate dichiarazioni di “amicizia per Israele” di tutta – e sottolineo tutta – la sua classe politica, che agli occhi degli italiani, oramai disillusi da decenni di malaffare, vale davvero poco. E quando tutti sono “d’accordo” su qualcosa c’è di che insospettirsi.
La classe politica italiana è completamente scollegata dai bisogni della popolazione, che tuttavia ha il torto di darle ancora un residuo credito, probabilmente perché la “crisi” che attanaglia l’intero “Occidente” non è ancora tanto grave.
La verità è che tutta la classe dirigente, politica e non, ‘sta alla finestra’, per vedere che fine fa l’America. Se l’America va male, addio Sion, quindi addio giudeofilia ostentata oltre ogni decenza e senso del ridicolo. Del resto, salvo lodevoli eccezioni tra le quali si annoverano Mussolini, Andreotti, Mattei, Craxi e pochi altri, gli italiani hanno sempre fatto così: saltano sul “carro del vincitore” mentre ancora elevano lodi al “potente” di turno.
Due parole anche sul campo “filo-palestinese”. La sinistra è completamente allo sbando, senza idee-forza né presa sulla gente, e per quanto riguarda la “sinistra estrema” trattasi di ambienti che elaborano un’analisi della “questione” completamente superata dagli eventi: il fatto stesso che l’iniziativa della protesta in Italia sia stata presa dagli arabi stessi – che prescindono dalle ‘dicotomie’ che per sessant’anni hanno ingessato l’azione politica in Italia – la dice lunga su come costoro o si ‘aggiornano’ o sono destinati all’estinzione, senza nemmeno quelle briciole di consenso che certe tardive prese di posizione mirerebbero a raccogliere.

4) Come considera l’atteggiamento dei media italiani (televisione, agenzie di stampa, giornali e portali on-line)?

Non ci spenderei su troppe parole. Si tratta di pappagalli ammaestrati. In un Paese in cui non esistono indipendenza, libertà, autodeterminazione e sovranità né politica (si pensi all’assoluta fedeltà atlantica di entrambi gli schieramenti-fotocopia, di centro-destra e di centro-sinistra), né economica (si pensi alla svendita, dagli anni Novanta, dell’intero “patrimonio dello Stato”), né culturale (si pensi alla valanga di “cultura americana” che ci sommerge), né militare (si pensi alle “missioni all’estero”), i direttori e i capiredattori sono selezionati accuratamente all’interno di un meccanismo che non consente eccezioni, considerando che anche per certi “contestatori” è previsto un ruolo, purché non prendano posizione contro il Sionismo, per la Palestina e, soprattutto, per Hamas. La questione della Palestina e del Sionismo è il banco di prova perfetto per saggiare “l’anticonformismo” di tutti quanti…

5) Quali sono secondo lei i veri obbiettivi del governo israeliano e dell’operazione “Piombo Fuso”?

Innanzitutto allungare il brodo dell’esistenza del cosiddetto “Stato d’Israele”, aumentando la carica d’odio presso le popolazioni arabo-musulmane. L’Entità Sionista ha in realtà un esercito demotivato, anche perché i soldi scarseggiano, coi ‘temibili’ “riservisti” che al confronto con un combattente della resistenza palestinese (o libanese) fanno letteralmente ridere. In buona sostanza possono solo tirare delle bombe sulla popolazione di Gaza, nella quale è ozioso distinguere tra “civili” e non, poiché o la resistenza è di popolo o non è. Per questo, bisogna affermare con forza che non è corretto piangere i bambini trucidati dalle bombe sioniste e non riconoscere il valore e la statura morale degli uomini della resistenza.
Come ho già detto, a causa di condizioni oggettive che vanno realizzandosi a partire dalla fine dell’Urss, si va verso una situazione disperata per l’Angloamerica e il Sionismo, perché non potranno più attaccare nessuno con la speranza di farla franca. Inoltre, nella società sionista lo spirito non è affatto quello degli “eroici kibbutzim”, ma è fiacco, perché quella società s’è completamente occidentalizzata e appiattita su valori consumistici ed edonistici.
L’unico “valore” di quella società è il mito della “forza d’Israele”, in un delirio suprematista che porta a compiere passi falsi. È poi recente la notizia secondo cui dalle imminenti elezioni israeliane sarà escluso il partito palestinese (è errato chiamarlo “arabo”) Balad: il problema è, infatti, demografico, quindi l’Entità Sionista sparirà effettivamente dalla faccia della terrà perché verrà sommersa demograficamente e, in un modo o nell’altro, terminerà così la sua funzione strategica.

6) Come si potrebbe concludere secondo lei questa vicenda?

In un primo momento con un “nulla di fatto”, con qualche tentativo di riprendere la storia infinita dei “negoziati”, sebbene Fath non sarà più spendibile come “negoziatore” perché completamente discreditato di fronte ai palestinesi e agli arabo-musulmani in genere. Può anche darsi che vi sia l’intenzione di costringere Hamas a “riconoscere” l’Entità Sionista (quello del “riconoscimento” è un punto essenziale, sul quale è necessaria una ferrea intransigenza), ma questo non avverrà perché Hamas si rafforzerà come si è rafforzato Hezbollah. Ciò non è naturalmente un “problema”, come paventano i ‘nostri’ politici e il circo di pagliacci mediatici. E se anche dovesse verificarsi quest’ipotesi, dal seno del popolo palestinese, dell’arabismo e dell’Islam, a causa della natura stessa discriminatoria dello “Stato ebraico” e del ruolo che deve svolgere per conto dell’Occidente, sorgerebbe subito una nuova forza con le credenziali giuste per condurre la resistenza.
Ma il punto essenziale del “dopo” sarà vedere che piega prende l’America: proseguirà a provocare la Russia (“scudo stellare”, Georgia ecc.) oppure riconsidererà il proprio ruolo nel mondo? E il bello è che anche se cambia politica, imboccando con Obama la strada dell’“approccio soft”, si può dire che per l’America è “finita” lo stesso perché s’è oramai messo in moto un processo inesorabile che vedrà aumentare l’influenza della Russia e della Cina a scapito di quella dell’America, che nella migliore (per lei) delle ipotesi si ridurrà a “potenza regionale” (l’America Indiolatina non è più il “Cortile di casa”), nella peggiore imploderà dando libero sfogo a tutte le nazionalità compresse sotto l’ideocrazia dell’americanismo a guida Wasp.

*L’autrice dell’intervista ha posto le stesse domande ad alcuni “esperti” italiani: dall’insieme delle risposte è stato ricavato un dossier per la rivista degli Emirati Arabi Uniti “Dubai al-Thaqâfiyya”. Quella che qui viene pubblicata è l’intervista integrale.


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Enrico Galoppini scrive su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” dal 2005. È ricercatore del CeSEM – Centro Studi Eurasia-Mediterraneo. Diplomato in lingua araba a Tunisi e ad Amman, ha lavorato in Yemen ed ha insegnato Storia dei Paesi islamici in alcune università italiane (Torino ed Enna); attualmente insegna Lingua Araba a Torino. Ha pubblicato due libri per le Edizioni all’insegna del Veltro (Il Fascismo e l’Islam, Parma 2001 e Islamofobia, Parma 2008), nonché alcune prefazioni e centinaia di articoli su riviste e quotidiani, tra i quali “LiMes”, “Imperi”, “Levante”, “La Porta d'Oriente”, “Kervàn”, “Africana”, “Rinascita”. Si occupa prevalentemente di geopolitica e di Islam, sia dal punto di vista storico che religioso, ma anche di attualità e critica del costume. È ideatore e curatore del sito "Il Discrimine".