L’atteso incontro del 16 maggio fra Trump ed Erdoğan ha tutto sommato poco innovato nei rapporti fra Stati Uniti e Turchia: dopo aver preso parte all’importante conferenza internazionale sulla “nuova Via della seta”, tenutasi in Cina, il Presidente turco aveva in qualche modo controbilanciato l’effetto geopolitico di quel consesso presentando il suo incontro con Trump come “pietra miliare” nei nuovi rapporti bilaterali turco-statunitensi.

Tuttavia, i due temi di maggiore frizione fra i due Paesi restano tali. Il sostegno degli USA – nello scenario siriano –  alle milizie curde dell’ YPG, braccio armato del PYD “Partito dell’unione democratica curda”, innanzitutto. Come è noto Ankara considera questa formazione come espressione del PKK: un gruppo terrorista. La cronaca quotidiana turca registra effettivamente attentati e atti di sanguinosa guerriglia compiuti sul territorio turco da elementi separatisti curdi.

Il sostegno americano in questione è certamente militare, meno esplicitamente politico, ma tale comunque da determinare una situazione esplosiva nel già tormentato scenario vicinoorientale.

L’altro tema scottante è il ruolo svolto da Fethullah Gűlen, di cui viene da tempo da parte turca inutilmente chiesta l’estradizione e di cui risultano chiari i rapporti con la CIA e importanti ambienti politici statunitensi.

Nella conferenza stampa finale del vertice, nessuna menzione viene fatta dei due temi, riservando invece attenzione alla convergenza nell’asserita, generica “lotta al terrorismo” e all’auspicata crescita delle relazioni economiche e commerciali. Un risultato assolutamente modesto quello conseguito da Erdoğan a Washington, che a Pechino aveva ricevuto – da parte di Putin – assicurazioni precise sulla contrarietà russa al sostegno militare dei “ribelli” curdi in Siria.

Alcune fonti riportano che Erdoğan avrebbe richiesto al Presidente statunitense una sorta di benestare a un attacco militare turco nell’Iraq settentrionale contro la base del PKK di Sinjar: di ciò ovviamente non c’è riscontro ufficiale. Turchia e Stati Uniti proseguono ognuno per la propria strada, che nel pantano iracheno-siriano è alquanto incerta e problematica.


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Aldo Braccio ha collaborato con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” fin dal primo numero ed ha pubblicato diversi articoli sul relativo sito informatico. Le sue analisi riguardano prevalentemente la Turchia ed il mondo turcofono, temi sui quali ha tenuto relazioni al Master Mattei presso l'Università di Teramo e altrove. È autore dei saggi "La norma magica" (sui rapporti fra concezione del sacro, diritto e politica nell'antica Roma) e "Turchia ponte d’Eurasia" (sul ritorno del Paese della Mezzaluna sulla scena internazionale). Ha scritto diverse prefazioni ed ha pubblicato numerosi articoli su testate italiane ed estere. Ha preso parte all’VIII Forum italo-turco di Istanbul ed è stato più volte intervistato dalla radiotelevisione iraniana.