Il 24 novembre scorso, il commentatore politico Luca Pinasco ha affermato che, dopo l’imminente incontro del Quartetto di Minsk del 9 dicembre, inizierà il processo di rimozione delle sanzioni alla Russia legate alla crisi ucraina. “La proposta di Macron”, ha scritto infatti su Facebook, “già ufficiosamente accettata dalle controparti, è quella di bloccare definitivamente l’espansione della NATO in Ucraina, di fare elezioni democratiche sottoposte alla costituzione di Kiev a Lugansk e Doneck e infine di restituire all’Ucraina 400 km di territorio di frontiera con la Russia”. Pinasco sottolinea inoltre come, negli ultimi mesi, Macron abbia più volte espresso posizioni vicine a quelle russe su temi di interesse comune, definendo la NATO “cerebralmente morta” ed esprimendosi contro l’adesione all’Unione Europea di Albania e Macedonia del Nord[1]. In un contesto in cui questi due Paesi, pur arretrati e bisognosi di aiuti, hanno comunque delle dimensioni e una popolazione notevolmente più ridotte dell’Ucraina, ciò di fatto esclude a priori un’adesione alla UE di quest’ultima, il cui PIL pro capite è il secondo più basso d’Europa e che pertanto, per poter giungere alla tanto aspirata adesione, avrebbe bisogno di prestiti e di finanziamenti europei ad un livello che nessuno sembra disposto ad elargire.

Difficile dire, al momento, se la “nuova Guerra Fredda” si stia avviando verso la fine. Sebbene le dichiarazioni di Trump a latere dell’ultimo Vertice NATO, secondo cui “l’Ucraina e la Russia possono fare grandi progressi nel prossimo Vertice del Quartetto della Normandia”, siano la prova che quelle di cui sopra non sono delle semplici voci di corridoio[2], la Russia resta scettica sulla possibilità di una riduzione delle sanzioni in tempi brevi[3].

Quanto avvenuto nell’ultimo mese è comunque sintomatico del radicale cambio di strategia che caratterizzerà il cambio della guardia tra la Merkel e Macron alla guida de facto dell’Unione Europea. Angela Merkel, in questi anni, ha dato alla sua leadership un’impostazione prettamente ideologica, come dimostrano la gestione delle crisi del debito greco e dei migranti. In tema di rapporti con la Russia, ciò ha implicato uno spostamento dell’attenzione al rispetto dei diritti umani, precedentemente trascurati in nome degli interessi economici e della lotta al terrorismo, e una politica delle “porte aperte” per i Paesi del Partenariato Orientale (Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia ed Azerbaigian), non tanto in prospettiva di una loro effettiva adesione quanto piuttosto in ossequio al principio secondo cui “non si parla di zone di influenza nell’Europa del XXI secolo”. Sulla scacchiera internazionale, poi, la Merkel ha cercato il supporto sia degli Stati Uniti, che specialmente nell’era Obama, malgrado alcune frizioni, sono sempre rimasti un solido alleato della Kanzlerin (Obama le ha di fatto appaltato la gestione della crisi ucraina), sia dei Paesi della “Nuova Europa”, il cui supporto era vincolato al contenimento della Russia.

Emmanuel Macron, che complice l’imminente fine dell’era Merkel e la sua solida posizione in patria si appresta a diventare l’uomo forte dell’Unione Europea, sta invece impostando la sua leadership all’insegna della Realpolitik e dell’eurocentrismo. Il suo piano, tra le tante cose, prevede il blocco dell’allargamento dell’Unione Europea, la creazione di un esercito unitario, che secondo i suoi auspici renderà l’Europa meno dipendente dalla NATO, e la riconciliazione con la Russia attraverso la soluzione della questione ucraina. “La Russia fa parte dell’Europa”, ha affermato più volte l’inquilino dell’Eliseo, che in una sua recente intervista sull’Economist ha sottolineato l’affinità di visioni tra sé e lo Zar in tema di Primavere Arabe e terrorismo islamista[4].

Ciò può non piacere a Paesi come la Polonia, il cui sostegno è stato cruciale per l’incoronazione della Merkel, ma la creazione dell’esercito europeo, nel contesto di un crescente disimpegno USA dall’Europa, visto da Macron come irreversibile, può costituire un asso nella manica, in quanto consentirebbe di venire incontro alle preoccupazioni sulla sicurezza di questi Paesi senza per questo modificare il piano. E, in questo, Macron sembra poter contare su un alleato all’apparenza improbabile: Viktor Orbán, che secondo Bloomberg ha avuto diversi incontri col Presidente francese all’Eliseo, durante i quali è stato “nominato” mediatore tra la Francia e la Polonia affinché quest’ultima accettasse un disgelo con la Russia[5] (Orbán e i polacchi del PiS, come ricordiamo, hanno opinioni divergenti in tema di Russia, ma per il resto le loro visioni politiche sono molto simili). L’altro potenziale oppositore di rilievo, il Regno Unito, è sul punto di lasciare l’Europa.

Eppure, quando due anni fa Macron è stato eletto Presidente, l’idea che sarebbe diventato il principale alleato di Putin sarebbe apparsa quanto meno improbabile. Alle ultime elezioni presidenziali francesi, dopo tutto, tra i quattro papabili (Macron, il gollista Fillon, il leader della sinistra radicale Mélenchon e Marine Le Pen) Macron era l’unico a non includere nel suo programma il rilancio dei rapporti con la Russia e l’abolizione, anche parziale, delle sanzioni. Durante la campagna elettorale, i rapporti tra Macron e le emittenti di Stato russe furono molto tesi: alla troupe di RT fu bloccato l’accesso al quartiere generale di En Marche, il partito del futuro Presidente francese, e lo stesso Macron accusò RT e Sputnik di comportarsi “non come giornalisti, ma come propagandisti”[6]. Il sostegno russo per il Fronte Nazionale della Le Pen, che nel 2014 ebbe un prestito di ben 11 milioni di euro (perfettamente legale secondo la legge francese)[7], e per François Fillon, secondo il direttore di Carnegie Moscow Dmitrij Trenin il vero favorito di Putin[8], non fu certo d’aiuto; e il primo incontro tra Macron e Putin, avvenuto a poche settimane dall’insediamento di Macron, sembra essersi svolto più per necessità che non per dei reali obiettivi politici.

Da allora, però, le relazioni russo-francesi hanno conosciuto un costante miglioramento. La politica estera macroniana, come abbiamo visto, è impostata più sugli interessi strategici che non sui valori, e ciò rende Macron inevitabilmente più aperto della Merkel a trattare su questioni sensibili. Quando, ad esempio, nel febbraio scorso l’Eliseo ha annunciato il suo sostegno a un’indagine della Commissione Europea sul gasdotto Nord Stream 2, Macron ha condizionato il ritiro del suo sostegno all’appoggio tedesco a una nuova direttiva UE sul copyright, fortemente voluta dalla Francia. E con questo do ut des la questione è stata chiusa nel giro di qualche giorno[9]. Allo stesso modo, sulla questione ucraina, le sue aspettative su una possibile conciliazione sono prettamente geostrategiche: evitare che, a causa dei sempre più forti rapporti tra Russia e Cina, il confine orientale dell’Unione Europea si trasformi nel confine de facto tra l’Europa e la Grande Asia da Shanghai a San Pietroburgo, o che un accordo separato tra Putin e Trump sulla questione ucraina renda marginale l’Unione Europea. In più, secondo Macron, anche la Russia avrebbe tutto l’interesse a trattare con l’Europa, in quanto, a suo avviso, le altre due strade possibili (l’Alleingang e la via eurasiatica) non sono realmente percorribili: la prima per le debolezze strutturali dell’economia russa e per la forte diffidenza nei confronti dei vicini Paesi musulmani, che pure potrebbero essere un’importante fonte di manodopera, la seconda in quanto si tradurrebbe inevitabilmente in una sorta di vassallaggio nei confronti della Cina; e, come ha affermato Macron sempre sull’Economist, “non credo neanche per un secondo che la strategia di Putin sia quella di fare il vassallo della Cina”[10].

Per Putin, d’altro canto, il nemico non è l’Unione Europea, ma la NATO. Quando ad esempio Macron annunciò la proposta di creare un esercito europeo anche in funzione antirussa, sottolineando come “il sogno di Putin è smantellare l’Unione Europea”[11], l’inquilino dell’Eliseo trovò inaspettatamente una sponda nello Zar, che oltre a smentire un tale intento per bocca del suo portavoce annunciò il suo sostegno alla proposta macroniana affermando che “è naturale che l’Europa, un potente blocco economico, voglia essere indipendente e sovrana nel campo della difesa e della sicurezza”[12].

E i segni che lasciano intendere che quella di Putin non è stata semplice retorica sono diversi: 1) nei suoi Fondamenti di Geopolitica, l’opera di geopolitica più influente della Russia postsovietica, pur auspicando la Brexit al fine di ridurre l’influenza statunitense in Europa, il politologo Aleksandr Dugin affermò che “l’Eurasia – e quindi la Russia – ha bisogno di un’Europa unita e amichevole”[13]; 2) malgrado qualche vago riferimento al diritto di lasciare l’Europa, il Cremlino, dopo la Brexit, non ha cercato un rilancio delle relazioni con Londra (con la quale c’è stato anzi un peggioramento per via del caso Skripal), ma ha anzi intensificato i suoi contatti con Bruxelles e con gli altri Paesi europei; 3) il vero favorito di Putin alle ultime Presidenziali francesi non era Marine Le Pen, bensì François Fillon, che a differenza della leader dell’allora Front National è un europeista.

Non c’è da stupirsi se, negli ultimi incontri tra Putin e Macron, le tensioni iniziali hanno lasciato il posto ai sorrisi e ai fiori per la moglie del Presidente francese. Non bisogna, ovviamente, aspettarsi dei progressi rapidi: il processo, una volta avviato, richiederà comunque alcuni mesi, se non anni. In più, come è noto, la distanza in termini ideologici tra Putin e Macron è siderale, e i motivi di incomprensione potrebbero non mancare anche in futuro. Il cambiamento del clima, però, è evidente. A differenza di cinque anni fa, la maggior parte dei leader occidentali antepone la Realpolitik ai principi ideali. In Ucraina il “re del cioccolato” Petro Porošenko, il protagonista di Maidan divenuto uno dei falchi, è stato sostituito dal più moderato Vladimir Zelenskij, eletto proprio promettendo pace. E anche la Russia sembra nettamente più disposta a collaborare con l’Occidente nel mantenimento della stabilità in quella terra di mezzo tra Russia ed Europa che negli anni scorsi è stata causa di numerosi contrasti[14]. La Crimea, probabilmente, rimarrà una questione in sospeso, malgrado le proposte per un riconoscimento della sua annessione da parte di Kiev in cambio di compensazioni[15]; ma il caso del Marocco, con cui la UE ha un accordo di libero scambio nonostante la disputa del Sahara Occidentale, dimostra come ciò non dovrebbe essere un ostacolo ad una piena regolarizzazione dei rapporti tra Mosca e Bruxelles. Infine, ma non in ultima analisi, la recente restituzione all’Ucraina di tre navi militari catturate dalla Russia durante la crisi dello Stretto di Kerč nel novembre 2018 è sintomatica della presenza di una trattativa semiufficiale.

Numerose, ovviamente, sono le critiche dei falchi antirussi, che già nei giorni scorsi non hanno mancato di accusare Macron di regalare a Putin una facile vittoria. E in effetti lo Zar potrà ritenere raggiunti molti dei suoi obiettivi: il blocco dell’espansione verso est della UE e della NATO, il mantenimento del controllo delle installazioni militari in Crimea e, cosa non da poco, il riconoscimento dei propri interessi. Non si tratta, ovviamente, di una vittoria totale: Putin, come è noto, mirava a portare l’Ucraina all’interno dell’Unione Economica Eurasiatica, non solo per consentire al mercato euroasiatico di superare quella soglia di 200 milioni di persone che, secondo alcuni esperti, rappresenterebbe la soglia di autosufficienza, ma anche in virtù dei forti legami storici e culturali tra Russia ed Ucraina. E, al momento, tale prospettiva va categoricamente esclusa: sebbene nelle regioni orientali restino forti sacche di elettorato filorusso, la rivoluzione di Euromaidan, la Crisi in Crimea e la Guerra nel Donbass hanno ridefinito l’identità ucraina in senso antitetico alla Russia, e Kiev, anche nei prossimi anni, guarderà con più simpatia a Bruxelles che non a Mosca. Ma, in un contesto in cui l’obiettivo dei leader occidentali era di riaffermare il principio secondo cui, nell’Europa orientale, ogni Paese avesse il diritto di poter aderire alla UE e alla NATO, un tale epilogo consentirebbe alla Russia di vincere perdendo.

Un epilogo del resto non difficile da prevedere[16]; ma, come scrisse Sun Tzu, le guerre si vincono prima ancora di combatterle. Oltre alla vicinanza geografica e al fatto che, percependo – a torto o a ragione – la Crimea come “propria” e l’Ucraina come “un Paese non realmente straniero”, il Russo medio è normalmente disposto a combattere e a morire per loro più che non l’Occidentale medio, Putin può contare su non pochi fattori a suo favore. Il primo è la Cina. Come scrisse Samuel Huntington nel suo Scontro di Civiltà, “se negli ultimi decenni della Guerra Fredda la Cina ha usato con grande perizia la ‘carta cinese’ contro Stati Uniti e Unione Sovietica, nel mondo post-Guerra Fredda è la Russia ad avere una ‘carta russa’ da giocare. Un’alleanza tra Russia e Cina farebbe pendere definitivamente la bilancia eurasiatica a sfavore dell’Occidente e risveglierebbe tutti i timori occidentali legati a un’alleanza russo-cinese, come negli anni Cinquanta. D’altra parte, una Russia operante a stretto contatto con l’Occidente farebbe da ulteriore contraltare all’asse islamico-confuciano su tutti i maggiori temi di interesse internazionale e risveglierebbe le paure cinesi, tipiche della Guerra Fredda, di un’invasione da nord”[17]. Cinque anni fa furono in pochi a prendere sul serio queste parole, malgrado i segnali in tal senso, perché i più ritenevano che, alla fine dei conti, Putin non avrebbe mai accettato di diventare un vassallo del fu Celeste Impero. Oggi, invece, anche la prospettiva di un foedus iniquum tra Russia e Cina preoccupa non poco l’Occidente, e la stabilità della Russia è ritenuta prioritaria rispetto alla sua democratizzazione.

Il secondo è la complessità del mondo attuale, molto maggiore di quello della Guerra Fredda. Se gli strateghi dell’Occidente, e in particolare degli States, si sono lanciati nell’avventura ucraina ancora plasmati dai prismi della Guerra Fredda, e quindi dal paradigma del “noi contro loro”, la Russia ha cercato tutte le zone grigie per stabilire rapporti che controbilanciassero quelli con i Paesi occidentali e per porsi come interlocutore indispensabile per la risoluzione di crisi locali: i casi di Iran e Siria, sotto questo punto di vista, sono indicativi.

Il terzo è la diversa percezione dei problemi e delle minacce da parte dei popoli occidentali e delle loro élites politiche. Nel conflitto siriano, ad esempio, l’indignazione delle cancellerie occidentali per l’intervento russo non si è replicata tra il popolo, che non di rado ha anzi accolto con un sospiro di sollievo i bombardamenti russi contro lo Stato Islamico e le milizie dei ribelli “moderati”. Una disforia che, negli ultimi anni, si è allargata anziché ridursi, ed ha portato all’affermazione di politici populisti in molti Paesi occidentali (nonché alla Brexit nel Regno Unito).

Il quarto, infine, è la possibilità di una pace separata tra Trump e la Russia, che se da un lato marginalizzerebbe l’Europa, dall’altro darebbe ancora più forza ai partiti e ai politici populisti nel chiedere la soppressione delle sanzioni alla Russia in nome degli interessi nazionali. Come ricordiamo, con la notevole eccezione del PiS polacco e dei partiti populisti delle Repubbliche Baltiche, i partiti populisti europei sono perlopiù filorussi, e questo vale sia per la sinistra sia per la destra.

E Macron? Qualora il suo piano andasse in porto, Macron non solo si confermerebbe come il leader di fatto dell’Unione Europea per i prossimi anni, ma anche in patria la sua popolarità ne trarrebbe non poco giovamento. Le perdite mensili per i Paesi europei legate alle sanzioni alla Russia, secondo l’inviato dell’ONU Idriss Zasairy, ammontano a circa 3,2 miliardi di dollari[18], e tra i Paesi più colpiti dalle sanzioni c’è senza dubbio la Francia, tradizionalmente uno dei maggiori partner commerciali della Russia. La mancata vendita alla Russia di due  portaelicotteri Mistral, ad esempio, è costata alla Francia quasi un miliardo di euro[19], mentre l’embargo alimentare ha duramente colpito le importazioni di prodotti alimentari francesi, che nel 2012 ammontavano a 1,2 miliardi di euro[20]; e la morte in un misterioso incidente aereo del petroliere Christophe de Margerie, Presidente di Total e deciso oppositore delle sanzioni, ricorda un po’ troppo quella di Mattei.

Le sanzioni e le controsanzioni, com’è noto, sono state a lungo un cavallo di battaglia dei partiti populisti e antisistema (la scelta di Putin di colpire gli agricoltori, una categoria professionale relativamente esigua sul piano numerico ma molto influente sul piano elettorale, è stata tutt’altro che casuale) e Macron, che in patria gode di un consenso piuttosto basso, si trova a fronteggiare la concorrenza di una Marine Le Pen che, seppur condannata all’opposizione, negli ultimi mesi ha visto una certa crescita nei consensi (l’opposizione di sinistra, invece, è divisa)[21].

La riapertura di molti canali commerciali con la Russia conseguente alla rimozione delle sanzioni, pertanto, costituirebbe per Macron una boccata d’ossigeno; lo stesso dicasi per gli altri partiti europeisti, che in questo modo potrebbero togliere ai populisti un cavallo di battaglia. Una considerazione politica che Macron, di sicuro, non ha tralasciato.


NOTE

[1]https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1292893054240308&set=a.126227487573543&type=3&theater

[2]https://www.unian.info/politics/10779056-trump-ukraine-russia-could-make-very-big-progress-in-normandy-four-talks.html

(nota: il Quartetto della Normandia sono i Paesi firmatari degli Accordi di Minsk, nello specifico Francia, Germania, Russia ed Ucraina)

[3]https://ria.ru/20191121/1561210318.html

[4]https://www.economist.com/europe/2019/11/07/emmanuel-macron-in-his-own-words-english

[5]https://www.bloomberg.com/news/articles/2019-11-27/macron-s-plan-to-take-control-of-europe-moves-on-to-phase-two?fbclid=IwAR04P7QINZcFcjBRIgvZ7S9OR06w0_tq4jC-b8DaEwmLDTpWga4ggjtlD2Q

[6]https://www.rt.com/op-ed/390119-macron-propaganda-rt-zero-facts/

[7]https://www.bbc.co.uk/news/world-europe-39478066

[8]https://carnegie.ru/commentary/72799

[9]https://fortune.com/2019/03/26/eu-copyright-directive-article-13-passed/

[10]https://www.economist.com/europe/2019/11/07/emmanuel-macron-in-his-own-words-english

[11]https://www.rferl.org/a/kremlin-rejects-french-president-macron-claim-putin-dreams-of-breaking-up-eu/29469542.html

[12]https://www.rt.com/news/443677-putin-macron-army-europe-trump/

[13]https://web.archive.org/web/20160607175004/https://www2.gwu.edu/~ieresgwu/assets/docs/demokratizatsiya%20archive/GWASHU_DEMO_12_1/John%20Dunlop%20Aleksandr%20Dugin’s%20Foundations%20of%20Geopolitics.pdf

[14] Alle elezioni parlamentari in Moldavia del febbraio 2019, il filorusso Partito Socialista ottenne la maggioranza relativa, ma non assoluta, dei voti e dei seggi, seguito da due partiti filoeuropei, il Partito Democratico dell’oligarca Vladimir Plahotniuc e l’ACUM, un’alleanza di matrice populista e contro la corruzione. Dopo lunghe trattative e una serie di consultazioni tra i leader della UE e la Russia, quest’ultima, inaspettatamente, ha invitato i socialisti a formare un governo con l’ACUM, isolando quindi l’impopolare Partito Democratico. Il governo, guidato da Maia Sandu (ACUM) è nato ufficialmente l’8 giugno, ma mentre Plahotniuc organizzava una “rivoluzione colorata” contro il governo Sandu, la Corte Costituzionale, controllata dal Partito Democratico, ne dichiarò l’illegalità e mise in stato d’accusa il Presidente Igor Dodon, filorusso e grande sponsor del nuovo governo. La crisi, però, rientrò nel giro di qualche giorno, con il riconoscimento del Governo Sandu da parte di UE, Russia e infine Stati Uniti e la fuga di Plahotniuc.

[15]https://www.foreignaffairs.com/articles/russia-fsu/2019-10-15/let-russia-be-russia

[16] Nel maggio del 2015, lo scrivente pubblicò un articolo dal titolo Ucraina: come la Russia può vincere perdendo, prevedendo un esito molto simile a quello probabile (link: https://www.eurasia-rivista.com/ucraina-come-la-russia-puo-vincere-perdendo/

[17] Samuel P. Huntington, Lo Scontro delle Civiltà e il Nuovo Ordine Mondiale, Garzanti, Milano 1997, p. 357

[18]https://www.ecoi.net/en/file/local/1406014/1930_1504082857_g1722595.pdf

[19]https://www.defensenews.com/pentagon/2015/09/23/france-says-egypt-to-buy-mistral-warships/

[20]https://www.thelocal.fr/20140807/french-farmers-fear-russian-food-sanctions

[21] Secondo l’ultimo sondaggio elettorale francese, effettuato tra il 28 e il 30 ottobre, al primo turno Marine Le Pen viene data in testa, con consensi pari al 28%, mentre per Macron, a seconda del candidato gollista, i consensi oscillano tra il 27% e il 28%. A sinistra, invece, i populisti de La France Insoumise si fermano all’11%, i Verdi oscillano tra il 7,5% e il 9%, mentre i Socialisti si devono accontentare del 2,5-3%. Le proporzioni si ribaltano al secondo turno, ma anche qui la Le Pen può contare su un solido 45%, contro il 33,9% del 2017

(fonte: https://www.ifop.com/wp-content/uploads/2019/11/116841-Rapport.pdf)


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Giuseppe Cappelluti, nato a Monopoli (Bari) nel 1989, vive e lavora in Turchia. Laureato magistrale in Lingue Moderne per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale presso l’Università degli Studi di Bergamo, ha conseguito la laurea triennale in Scienze della Mediazione Interculturale presso l’Università degli Studi di Bari. Dopo aver trascorso periodi di studio presso l’Università di Tartu (Estonia) e a Petrozavodsk (Russia), nel 2016 ha conseguito un Master in Relazioni Internazionali d’Impresa Italia-Russia presso l’Università di Bologna. Dal 2013 ha pubblicato numerosi articoli su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e nel relativo sito informatico. Suoi contributi sono apparsi anche su “Fond Gorčakova” (Russia), “Planet360.info” (Italia), “Geopolityka” (Polonia) e “IRIB” (oggi “Parstoday”, Iran).