Recentemente i media hanno riportato con parole entusiastiche la notizia della firma dello START 2 (Strategic Arms Reduction Treaty), che ha visto USA e Russia protagoniste. Questo accordo va a sostituire lo START 1 siglato nel 1991 da Gorbacioff e Bush padre, poi entrato in vigore nel 1994. Quanto questa intesa sarà fondamentale per l’evoluzione dei rapporti fra i due Paesi, nonché per il futuro dello scenario politico mondiale solo il tempo potrà dirlo. Un’ipotesi da non sottovalutare è quella che nulla sia realmente cambiato fra le due nazioni e che questo trattato sia solo frutto di un incontro di forti interessi da entrambi i lati. Che vi siano meccanismi di associazione fra Stati per esigenze comuni è un concetto già proposto quaranta anni fa da Stanley Hoffmann, che ciò sia più che mai vero in questo contesto risulta alquanto probabile.

L’accordo

Lo START 2 limita le testate nucleari dispiegate a disposizione dei due Stati a 1550 e a circa 800 il numero dei vettori per lanciarle, fra missili, sottomarini e bombardieri. L’accordo, che sostituirà il precedente a fine anno, rimarrà in vigore per 10 anni sempre che il Congresso e la Duma lo approvino. Questo aspetto, infatti, sembra poter diventare un problema non tanto per Mosca, quando per gli Stati Uniti: il presidente Obama si è detto certo che i suoi colleghi capiranno l’importanza di questa votazione e saranno favorevoli al progetto. “È necessario lasciarci la Guerra Fredda alle spalle” – ha anche aggiunto.

Proprio qui si può percepire una certa superficialità negli intenti, soprattutto russi, verso l’accordo appena firmato: la Russia ha voluto una dichiarazione unilaterale distinta dal trattato che le permetterà di “sfilarsi” se circostanze esclusive dovessero minacciare i suoi interessi. Non c’è dubbio che se la ratifica da parte del Congresso fallisse, l’alone di storicità costruito intorno a questo incontro si offuscherebbe e la Russia avrebbe tutte le ragioni per abbandonare i buoni propositi espressi in tale occasione. Inoltre, è utile ricordare che i due Paesi possiedono insieme oltre il 90% degli arsenali nucleari mondiali e in entrambi i territori vi sono migliaia di testate di riserva, o da smantellare, che non rientrano nei conteggi dell’accordo. Nell’ottica idilliaca di un mondo, almeno per il Nord America, senza armi atomiche questo aspetto non troverebbe una giustificazione convincente.

E proprio in questo scenario si inscrive l’affermazione dell’ayatollah iraniano Khamenei, che ha marchiato gli Stati Uniti come “criminali nucleari”, durante una conferenza sul disarmo atomico a Teheran. “Il vero criminale è quello che si presenta come antinucleare e contro la proliferazione atomica” – ha ribadito. A dargli manforte ci ha pensato il presidente Ahmadinejad, il quale non solo ha detto che dovrebbe essere istituito un corpo indipendente che vigili sul disarmo, ma anche che gli USA e tutte le nazioni in possesso di un’arma nucleare dovrebbero essere sospese dalla Internation Atomic Energy Agency.

L’Iran ha infine dichiarato che il suo programma nucleare ha scopi puramente pacifici, dato che la religione proibisce l’uso di queste armi, dunque vi è per principio una contrarietà morale verso di esse.

Il mondo come scacchiera tridimensionale

Molti studiosi hanno ipotizzato l’idea di un mondo a più dimensioni; Joseph Nye ha immaginato una scacchiera tridimensionale:

  • sulla scacchiera più alta vi è il potere militare: il mondo risulta unipolare (Stati Uniti);
  • sulla scacchiera di mezzo vi è il potere economico: il mondo è multipolare (Stati Uniti, Cina e Giappone);
  • sulla scacchiera più bassa troviamo il regno del “soft power”, ovvero il regno di banchieri, terroristi e pirati informatici.

In una rivisitazione più moderna di questa visione del mondo, potremmo ancora lasciare invariati i primi due livelli aggiungendo l’India alla scacchiera mediana, e connotando invece più precisamente l’ultimo. Nel regno del “soft power” dovremmo inscrivere altresì tutti quegli attori secondari che possono attualmente condizionare le sorti dello scenario internazionale. In questa scacchiera potremmo far rientrare Paesi quali l’Iran, la Corea del Nord, Israele, Afghanistan.

Gli Stati Uniti continuano sicuramente a essere una “potenza solitaria” per ciò che concerne l’aspetto militare; per ciò che riguarda l’aspetto economico, invece, il Nord America si trova a competere con altre nazioni: il Giappone è una potenza economica di lunga data, Cina e India invece sono emerse prepotentemente nelle ultime due decadi. Soprattutto Pechino risulta fondamentalmente legata all’economia nordamericana e dai rapporti che risulteranno più o meno distesi, dopo l’empasse dei mesi scorsi, dipenderà parte dell’immagine internazionale statunitense. Il fatto che la Russia appoggi il disarmo è sicuramente, almeno sulla carta, un punto favorevole per Obama ma non c’è dubbio che il sostegno cinese potrà risultare fondamentale per la credibilità e la riuscita del progetto, soprattutto in funzione anti-iraniana. L’ex URSS, invece, può essere il ponte di collegamento principale con i Paesi asiatici sia dal punto di vista mediatizio che economico; oltre a ciò, è bene ricordare che la nazione presieduta da Medvedev partecipa al Quartetto che vuole favorire la pace nel Vicino Oriente. Un fallimento o un rallentamento dello START 2 non è escluso che possa portare a tensioni all’interno del gruppo di lavoro che promuove l’amicizia fra Israele e palestinesi.

Nella scacchiera in basso, quindi, possiamo posizionare Iran e Corea del Nord, nonché Israele e Afghanistan. I primi due attori, ovviamente, risultano rilevanti poiché vi è il rischio di una corsa sempre più accentuata agli armamenti nucleari: l’equilibrio del potere militare potrebbe dunque subire uno scossone e gli Stati Uniti, nel caso in cui non fossero stabilite sanzioni contro queste nazioni, potrebbero voler ricorrere a mezzi meno convenzionali per riportare la situazione sotto il proprio controllo. Israele, dal canto suo, è un altro punto interrogativo per la politica nordamericana e, fra l’altro, nessun rappresentate governativo si è presentato alla Conferenza sul disarmo ospitata da Washington, e alla quale hanno partecipato ben 47 Paesi. Le attuali tensioni con gli USA non potranno non concludersi con una concessione dalla parte israeliana, o il lavoro che Obama sta compiendo con Medvedev per la politica della mano tesa nel Vicino Oriente sarà vano.

Anche l’Afghanistan è sicuramente un altro nodo cruciale per la politica statunitense: sul ritiro delle truppe fanno fede non solo gli uomini del Congresso, ma anche i leader arabi; anche la Russia ha espresso solidarietà verso le ultime operazioni militari nordamericane tanto da aver concesso l’utilizzo del proprio spazio aereo per il transito di soldati e di materiale bellico.

Motivi di discordia e ragioni dell’accordo

Stati Uniti e Russia hanno spesso in passato avuto momenti di tensione, ma stanno ricercando “un dialogo degno del 21esimo secolo”. Nonostante l’accordo appena concluso vi sono ancora delle divergenze, principalmente in merito allo scudo antimissile e in merito alla situazione della Georgia, la cui sovranità – stando alle parole di Obama – deve essere rispettata in riferimento al riconoscimento da parte russa delle due repubbliche separatiste, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Nonostante qualche riferimento a questa situazione, Washington ha evitato di andare troppo a fondo sulla questione, non volendo compromettere i rapporti. Questa politica della mano tesa a cosa si deve? Un’ipotesi molto plausibile è quella che tutta la questione sia, sebbene spesso smentita dal presidente nordamericano, volta a ribadire la “missione salvifica” degli USA. La missione, quasi divina si potrebbe dire, che la nazione sente di avere è quella di guidare nella maniera più saggia possibile l’intero scenario internazionale. Seguendo questa visione politica, non si può sicuramente escludere che gli Stati Uniti attuino la strategia dell’accordo poiché è questo che ora è necessario fare: non è più tempo di fomentare gli scontri e le divisioni. Ritenere che l’accordo START 2 sia un modo per riconoscere la parità e l’uguale rilevanza internazionale fra Nord America e Russia è assolutamente fuorviante, in quanto la presunta leadership detenuta dagli statunitensi non va, nella loro ottica, messa in discussione. Dal canto suo la Russia può trovare nuovo smalto per la sua immagine internazionale, mostrando al mondo la maturità di un Paese che ha saputo lasciarsi alle spalle completamente un periodo di disunione e non collaborazione. Non vi è dubbio che anche l’immagine di Obama è stata beneficiata dall’accordo, sia a livello mondiale che all’interno del Paese; dopotutto, gli Stati Uniti si stanno nuovamente dimostrando fondamentali per il futuro e la sicurezza dell’intero scenario globale. Nondimeno, la Russia guadagna in sicurezza grazie all’accordo, poiché non sarebbe in grado di poter competere militarmente sulla prima scacchiera, tutt’ora unipolare.

Prospettive future e possibili scenari

Le prospettive che si aprono sono diverse in base a una discriminante: l’approvazione o meno dell’accordo da parte del Congresso nordamericano.

a) Il Congresso approva lo START 2:

In questo caso Obama non troverà molti ostacoli sulla sua strada: potrà tranquillamente proseguire la sua azione a favore della pace nel Vicino Oriente, opponendosi alla linea intransigente israeliana. La Russia, parimenti, potrà mantenere un atteggiamento di apertura nei confronti degli Stati Uniti e anche appoggiare future sanzioni contro quei paesi, come l’Iran, che hanno ambizioni atomiche. Presumibilmente le due nazioni spingeranno affinché tali provvedimenti sanzionatori siano attuati il prima possibile, ma non vadano (così Medvedev ha chiesto) a scapito della popolazione. Tutto questo, però, dovrebbe essere condizionato dal dialogo più che prossimo che si avrà a New York col Ministro degli Esteri iraniano Mottaki, in merito al Trattato di Non Proliferazione (NPT). Nel caso in cui l’ottica della Repubblica Islamica risultasse non conforme alla visione nordamericana, è presumibile che le sanzioni siano richieste a gran voce. Sul fronte Afghanistan, le azioni militari statunitensi continueranno ad essere facilitare dalla Russia così che il ritiro delle truppe previsto entro l’agosto 2011 prosegua senza problemi.

b) Il Congresso non approva lo START 2:

In questo secondo caso Obama si troverebbe in una situazione più scomoda: la Russia potrebbe risultare riluttante verso altre collaborazioni con gli Stati Uniti. Questo atteggiamento, conseguentemente, potrebbe andare a discapito del lavoro del Quartetto, nonché a discapito dell’appoggio alla richiesta di sanzioni verso Iran e Corea del Nord. Se si verificasse questa condizione, la credibilità interna del presidente nordamericano potrebbe subire un calo brusco; per ciò che concerne Israele, comunque, non si dovrebbero avere grossi scossoni, poiché anche se la Russia fosse riluttante a collaborare sul fronte della promozione della pace gli USA hanno ancora l’ONU a dar manforte. Nonostante ciò, un’eventuale mancanza di appoggio da parte di Medvedev potrebbe far sentire il suo peso e rallentare il processo. L’Afghanistan invece risulterebbe un nodo più problematico: se agli occhi del mondo il Nord America rifiutasse un accordo (almeno stando a ciò che enfatizzano i media) così importante, la Russia potrebbe vedere il suo ruolo sullo scenario internazionale delegittimato. Gli Stati Uniti potrebbero vedersi revocato il permesso di transitare nello spazio aereo russo e, conseguentemente, essere maggiormente in difficoltà per il proseguo delle operazioni militari. Non ultimo, è molto probabile che la non approvazione da parte del Congresso vada ad influire notevolmente sulle elezioni di mid-term, sfavorendo il Partito Democratico.

Cosa ne sarà di questo accordo e della sua reale efficacia è un qualcosa che si comprenderà solo fra qualche mese; tuttavia, è facile ritenere che anche nel caso in cui il trattato fosse ratificato da entrambi i Paesi gli equilibri sullo scenario mondiale non cambierebbero, o quasi certamente non favorirebbero i russi, poiché il ruolo di leader degli USA viene sempre (a fatti o a parole) ribadito.

* Eleonora Peruccacci è dottoressa in Relazioni internazionali (Università di Perugia)

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