In un’intervista a RussiaToday, l’economista ed analista geopolitico William Engdahl, frequente contributore a “Eurasia”, parla della crisi greca, del coinvolgimento delle grandi banche statunitensi, del futuro dell’eurozona e del ruolo geopolitico dell’Europa. (Sintesi dell’intervista a cura di Francesco Rossi)

Prendendo spunto da una celebre affermazione dell’allora segretario di Stato nordamericano Henry Kissinger, secondo il quale “chi controlla il petrolio controlla le nazioni, chi controlla il cibo controlla le popolazioni, chi controlla il denaro controlla il mondo intero”, William Engdahl introduce il suo ultimo libro, Gods of Money (“Gli dei del denaro”), un’opera frutto di una trentennale ricerca dell’autore sugli sviluppi del sistema economico e finanziario internazionale basato sul dollaro. Già dall’emergere dell’attuale crisi nell’agosto 2007, sostiene Engdahl, è apparso evidente come la Federal Reserve, il Tesoro americano ed il Congresso siano stati pronti a salvare e sostenere (con trilioni di dollari dei contribuenti) le banche di Wall Street responsabili, con i loro comportamenti fraudolenti ed ingannevoli, della crisi stessa. In una recente intervista ad un quotidiano londinese, il CEO di Goldman Sachs avrebbe addirittura affermato “noi siamo semplicemente banchieri che svolgono il lavoro di Dio”, espressione significativa che rivela il modo di porsi dell’élite finanziaria nei confronti della società e del mondo: in un’espressione, al di sopra della morale.

Circa la crisi che sta investendo l’area euro, continua Engdahl, occorre inserirla nella giusta prospettiva e nelle corretta proporzione, anche quando ci si riferisce ai cosiddetti PIGS (Portogallo, Irlanda/Italia, Grecia e Spagna). Il centro di gravità dell’attuale crisi è e rimarrà New York, in particolare Wall Street ed il sistema basato sul dollaro. Subito dopo, per importanza, vengono la City di Londra e la sterlina. In confronto a questi due centri economico/finanziari, quello che accade in Grecia assomiglia a nulla più di una “tempesta in una teiera”. L’attivazione di tale tempesta è certamente “politica” ed è stata opera di quegli stessi “gods of money”, Goldman Sachs, JP Morgan, Citigroup, che influenzano fortemente agenzie di rating quali Moody’s, Standard and Poor’s e Fitch. In un momento di enorme pressione sul dollaro, nel novembre 2009, queste agenzie abbassarono la loro valutazione sul credito ellenico, esponendo il fatto che la Grecia avesse manipolato i propri conti per riuscire ad entrare nella zona euro nel 2002. Ironia della sorte, proprio JP Morgan e Goldman Sachs (il principale consigliere finanziario del governo Papandreou, salito al potere nell’ottobre 2009) avevano aiutato Atene a porre in essere queste operazioni di cosmesi finanziaria.

Più in generale, considerando l’area della moneta unica, vi sarebbero attualmente, secondo Engdahl, enormi problemi politici dovuti alla natura stessa del processo top-down che ha caratterizzato l’adozione dell’euro. Francia e Germania sembrerebbe stiano cercando, insieme ai partner europei, di porre le basi affinché quanto successo in Grecia non possa più accadere nell’UE. Tuttavia, al di là delle belle parole, la realtà è che diversi hedge funds stanno già preparando attacchi speculativi concertati per trarre profitto dagli eventi ellenici.

Riguardo invece al Fondo Monetario Internazionale ed al suo ruolo nella risoluzione di questa tipologia di crisi, occorrerebbe tenere sempre a mente che esso fu creato nel 1944 da Wall Street e Washington, col fine di essere uno strumento di mantenimento del potere finanziario statunitense a livello globale. Basti pensare che, ad oggi, gli USA detengono (unico paese) il diritto di veto su qualsiasi decisione del Consiglio di Amministrazione del Fondo. Vi è dunque un acceso dibattito nell’UE circa l’opportunità di coinvolgere il FMI per affrontare crisi come quella scoppiata in Grecia. Nonostante la contrarietà della maggioranza dei paesi comunitari, alla fine Bruxelles ha lasciato spazio al FMI: un classico caso, secondo Engdahl, di “operazione di guerra economica sotto copertura”, condotta dal sistema-dollaro contro l’euro. Il primo, attualmente molto debole ed oggetto di fortissime pressioni, non parrebbe proprio essere sulla strada della ripresa, contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione americana. E probabilmente non lo sarà per almeno 15 anni.

L’ingresso del FMI nell’eurozona, fortemente voluto da Berlino, “equivale a far entrare una volpe in un pollaio”, minando l’idea stessa di Unione Europea. Esso rappresenta inoltre un segnale per l’intera comunità economica e finanziaria internazionale: al giorno d’oggi il potenziale del Fondo Monetario Internazionale non è assolutamente esaurito. Anzi, il FMI ha il potere di attuare misure capaci di annullare le scelte economiche e finanziarie comunitarie.

Con un occhio al futuro ed al lungo periodo, Engdahl rileva infine come nelle relazioni internazionali l’Unione Europea tenga un atteggiamento fondamentalmente schizofrenico. Dal 1945 le relazioni transatlantiche furono il principale fattore di stabilizzazione per il Vecchio Continente durante la Guerra Fredda. Con il crollo dell’Unione Sovietica anche il Patto di Varsavia venne dissolto. Lo stesso non avvenne per l’Alleanza Atlantica. Washington decise di estendere la NATO fino alle porte della Federazione russa, attraverso l’appoggio alle cosiddette “Rivoluzioni Colorate” e la promozione di governi fantoccio filo-occidentali intorno alla Russia. Tuttavia questa strategia si è rivelata fallimentare. Facendo di necessità virtù, Mosca e Pechino, insieme ad altre repubbliche centro-asiatiche, si sono così ritrovate nella nuova Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS) a collaborare strettamente sui temi della difesa e della sicurezza, nonché su temi economici. Ad emergere, dunque, è stata una nuova dinamica; una dinamica euroasiatica, l’unica potenzialmente in grado di scalzare il predominio economico nordamericano. Il quesito fondamentale per il Vecchio Continente è allora il seguente: rivolgersi verso l’Eurasia, con un occhio di riguardo al commercio ed alle risorse energetiche, oppure “salire” sul sistema-dollaro, ogni giorno più simile ad un Titanic? Una domanda complessa, che pretende una risposta articolata, capace di tenere in debita considerazione l’attuale scenario geopolitico globale. L’Unione Europea non ha ancora deciso in che direzione andare e per questo, attualmente, la sua politica appare schizofrenica. Dirigersi verso l’Eurasia significherebbe subire immediate ed enormi ritorsioni statunitensi. Dirigersi verso gli USA significherebbe salire su di una barca che sta affondando.

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