Perennemente ostracizzato e bollato con lo sprezzante appellativo di “rossobrunismo”, il pensiero di Ernst Niekisch, declinato nella sua dimensione geopolitica, può nuovamente indicare all’Europa la via per liberarsi da ogni forma di servitù nordatlantica.

 

“O siamo un popolo rivoluzionario, o cessiamo definitivamente di essere un popolo libero”. Così è scritto sulla targa posta nella sua vecchia abitazione a dieci anni dalla morte, avvenuta a Berlino Ovest nel 1967 in totale solitudine e abbandono. Un aforisma che in poche parole sintetizza l’impegno di una vita intera. Ed Ernst Niekisch ha speso ogni singolo attimo della sua esistenza nel tentativo di restituire alla Germania ed al suo popolo quel ruolo di centro e guida continentale che, nella sua prospettiva, geograficamente e filosoficamente le spettavano di diritto.

La Germania, di fatto, è il cuore dell’estensione peninsulare occidentale dell’Eurasia. Piaccia o meno, l’Europa non può fare a meno della Germania, la quale, al contrario della Gran Bretagna storicamente antieuropea, nel bene e nel male ha sempre svolto un ruolo attivo all’interno del continente, fin da quando gl’Imperatori della casa di Svevia dovettero scontrarsi con le pulsioni centrifughe dei Comuni ribelli nell’Italia settentrionale.

La Prima Guerra Mondiale, con il primo intervento diretto nordamericano sul continente e la seguente imposizione del Sistema di Versailles, segnò uno spartiacque fondamentale nella vita di Ernst Niekisch. Molti fra i pensatori della Konservative Revolution videro in essa una sorta di Kulturkrieg: uno scontro tra due visioni opposte del mondo. Werner Sombart la descrisse come una guerra di religione: una lotta tra la concezione mercantilista e propriamente britannica del mondo e quella aristocratico-eroica tipicamente tedesca[1]. Oswald Spengler, a sua volta, la definì come uno scontro tra lo spirito mercantilista e piratesco britannico (anche Carl Schmitt descrisse l’isola britannica come una “nave pirata” ancorata in prossimità delle coste europee) e lo spirito di disciplina e milizia prussiani: dunque, lo Stato contro il non-Stato (un impero talassocratico privo di confini), il socialismo militare prussiano contro l’individualismo esasperato del capitalismo britannico[2].

Fu la consapevolezza della necessità di prendere una posizione all’interno di questo scontro tra due forme culturali vicine ma agli antipodi a spingere Ernst Niekisch ad arruolarsi nel 1914, prima ancora della sua abiura del marxismo avvenuta nel 1915. Tuttavia, l’allora venticinquenne Niekisch non poté recarsi direttamente al fronte per i gravi problemi alla vista che già in giovane età iniziarono a perseguitarlo. E fu l’umiliazione subita dalla Germania alla Conferenza di Pace di Versailles a determinare la complessa evoluzione del suo pensiero politico e geopolitico.

Tenacemente antioccidentale, padre della corrente cosiddetta “nazional-bolscevica” ed animatore della rivista Widerstand (Resistenza), Niekisch condivideva con Spengler l’idea che la politica estera dovesse avere la preminenza su quella interna, e con Carl Schmitt l’idea del primato del politico sull’economico.

Convinto che il declino del germanesimo fosse iniziato sin dai tempi di Carlo Magno con il massacro della nobiltà sassone e la conversione forzata dei sopravvissuti al cattolicesimo, il pensatore di Trebnitz, fortemente ostile all’influenza romano-cattolica sulla Germania, fondava la sua idea politica su un’alta valorizzazione dello Stato di diretta discendenza hegeliana e sul netto rifiuto di liberalismo e democrazia. La sua diffidenza nei confronti del nazionalsocialismo derivò proprio dalla constatazione del suo atteggiamento “romano” e “cattolico” e dalla diffidenza nei confronti dell’origine bavarese ed austriaca di molti dei suoi capi. Tuttavia, ne apprezzò inizialmente la volontà di smantellare un ordine europeo che aveva imposto oneri terribilmente gravosi ai “popoli proletari”[3].

Di fronte al successo della Rivoluzione bolscevica in Russia, Niekisch riconobbe la necessità di un’alleanza con essa in chiave difensiva contro l’Occidente e la sua perniciosa influenza politica e culturale sulla Germania. Della Rivoluzione bolscevica Niekisch apprezzò più il suo esito finale che non i suoi fondamenti ideologici. Di fatto, amava del bolscevismo tutto ciò che lo differenziava dal marxismo classico. Apprezzava la figura di Stalin e il fatto che questi seppe ricostruire un ordine statuale gerarchico, totalizzante e completamente antioccidentale e rifiutava il trotzkismo come forza incarnante la decomposizione dello Stato e della nazione attraverso l’imposizione su scala globale dell’idea dello sradicamento universalistico[4].

Ciò che Niekisch riteneva necessario per la Germania era lo sviluppo di un gioco comune con gli unici Stati che erano riusciti a respingere la “struttura intellettuale occidentale”: ovvero, Russia e Italia. Il suo pensiero geopolitico fu fortemente influenzato da quello del suo amico Karl Haushofer.

Al pari del britannico Halford Mackinder (ma ovviamente in una prospettiva opposta), Haushofer è stato il principale teorico della corrente di pensiero geopolitico “continentalista” o “binaria”, secondo la quale gli Stati che riescono a imporre la loro egemonia sulla massa continentale eurasiatica finiscono per prevalere sulle potenze marittime[5].

Sulla base di questo approccio teorico, Haushofer era convinto che un blocco russo-tedesco avrebbe inevitabilmente sconfitto la talassocrazia britannica, il cui impero era comunque destinato a crollare a causa dell’eccessiva estensione. Tale alleanza, in diversi momenti del Novecento, sembrò prendere forma (soprattutto col Trattato di Brest-Litvosk del 1919 e con il Patto Molotov-Ribbentrop di non aggressione del 1939). In ambito sovietico fu Karl Radek uno dei principali artefici del riavvicinamento tra la Germania nazionalsocialista e l’URSS. Anch’egli convintamente anti-occidentale, sul palco del Congresso dei Popoli d’Oriente tenutosi a Baku nel 1920 evocò le figure di Attila, di Gengis Khan e dei califfi dell’Islam per incitare i popoli dell’Oriente rosso alla rivolta contro il capitalismo dell’Occidente[6].

Mackinder, dal canto suo, paventava tale alleanza e la Gran Bretagna cercò in ogni modo di evitare ogni possibile condivisione di confini tra Russia e Germania. E non è un caso se ancora oggi si cerca di evitare tale possibilità. Basti pensare all’attuale iniziativa dei Tre Mari, studiata dall’amministrazione Obama ma portata a compimento sotto Trump, che unisce dodici paesi (Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Austria, Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria) lungo l’asse verticale che dal Mar Baltico arriva fino al Mar Nero ed al Mar Adriatico e che, di fatto, impone una sorta di cordone sanitario ai confini occidentali della Russia, in modo da limitarne o eluderne le esportazioni di gas verso l’Europa[7].

Così come Haushofer, Niekisch fu sempre convinto che uno scontro diretto della Germania contro la Russia sarebbe stato (come infatti si rivelò essere) un suicidio. Tuttavia, il “folle volo” di Rudolf Hess (protettore di Haushofer) in Gran Bretagna nel maggio 1941 segnò la definitiva sfortuna delle teorie del pensatore geopolitico in Germania, il quale, ridotto in miseria da un decreto delle autorità d’occupazione statunitensi, si suicidò con la moglie nel 1946.

Condannato all’ergastolo dai nazisti nel 1939 e liberato dall’Armata Rossa nel 1945, Niekisch, anche se rimase deluso dalla politica sovietica nella DDR, continuò a sostenere la necessità dell’organizzazione di un blocco antioccidentale che da Vlissingen arrivasse fino a Vladivostok[8]. Altri pensatori radicalmente europeisti come Pierre Drieu La Rochelle o Jean Thiriart sostennero tesi simili. Drieu La Rochelle, radicalmente ostile alla democrazia di stampo anglo-americano, arrivò a desiderare il trionfo del comunismo sovietico su tutto il continente[9], mentre Thiriart sognò un impero europeo autarchico da Dublino fino a Vladivostok in opposizione all’egemonia degli Stati Uniti e contro la loro occupazione del suolo europeo[10]. Nella riproposizione fattane da Guillaume Faye, questa idea risulta completamente succube della retorica dello scontro di civiltà di Samuel Huntington e Bernard Lewis, ammiccante nei confronti del suprematismo bianco nordamericano e contrassegnata da un disprezzo verso il mondo islamico e turanico che Thiriart, al contrario, non nutriva affatto[11].

Liberare la Germania e più in generale l’Europa dal male nichilistico occidentale, da quella prospettiva filosofica che ha portato, secondo le parole di Martin Heidegger, il Dasein europeo a decidere di non essere, fu l’obiettivo a cui Niekisch dedicò la sua intera esistenza.

Di fronte all’inesorabile declino della potenza nordamericana, che ha sostituito nella sua funzione imperiale la talassocrazia britannica, nuove fondamentali sfide e nuove opportunità si pongono all’Europa. Si consideri a tal proposito che il trumpismo è un mero effetto e non certo la causa di questo declino. La causa sarebbe da ricercare maggiormente, ancora una volta, nella sovraestensione dello pseudoimpero statunitense. Tuttavia il logos nordamericano, fondato su un presupposto esistenziale filosofico-messianico, è votato al gigantismo. Gli Stati Uniti o sono così o non sono. Tutto dipenderà dal fatto se accetteranno pacificamente o meno (ed al momento sembrerebbe di no) la perdita della loro egemonia unipolare sul globo. Ed il recente nuovo avvicinamento tra Russia e Germania (rifiuto tedesco ad aderire alla coalizione contro la Siria, rifiuto al rigetto unilaterale nordamericano dell’accordo sul nucleare iraniano, accordo con la Russia sul gasdotto North Stream 2) li spaventa non poco.

Appare altresì evidente che anche la Germania dovrebbe iniziare a valorizzare meglio ed a sfruttare il suo enorme potenziale geopolitico abbandonando un modello di politica estera e di unione con gli altri paesi europei che è improntato al mero ed egoistico interesse economico. Tale processo indubbiamente darebbe ulteriore slancio allo sviluppo di un ordine mondiale realmente multipolare.

Questo era ciò che si augurava Haushofer ripensando il mondo come un pluriversum di grandi spazi nella sua opera Geopolitica delle pan-idee[12]. Una visione non dissimile da quella di Niekisch e di Haushofer venne delineata dal politico e pensatore ungherese Ferenc Szálasi. Ponendo un’enfasi particolare sul concetto di “popolo guida” come popolo che in virtù delle sue disposizioni naturali è in grado di dare vita ad un movimento organizzativo, Szálasi riconobbe il ruolo centrale di diversi ethnos nello sviluppo dell’esistenza organica delle diverse aree dell’Europa: il popolo russo per ciò che concerne l’Europa nord-orientale, il popolo tedesco per l’Europa nord-occidentale, quello ungherese per l’Europa sud-orientale e quello italiano per l’Europa sud-occidentale e l’area mediterranea[13].

È proprio in questa dimensione che l’Italia può e deve trovare il suo spazio di azione geopolitica come pivot mediterraneo dell’Eurasia e non certo prestando il territorio nazionale al progetto di riaffermazione della supremazia nordamericana sull’Europa, progetto al quale agitatori “giudeo-cristiani” d’oltreoceano lavorano da tempo attraverso l’imposizione della formula di un “sovranismo” senza identità.


NOTE

[1]C. Mutti, L’isola e il continente, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” 3/2017.

[2]O. Spengler, Prussianesimo e socialismo, Edizioni di Ar, Padova 1994, pp. 48-50.

[3]A. De Benoist, Quattro figure della Rivoluzione Conservatrice tedesca. Werner Sombart, Arthur Moeller van den Bruck, Ernst Niekisch, Oswald Spengler, Controcorente, Napoli 2016, p. 292.

[4]Ibidem, pp. 301-303.

[5]C. Mutti, Prospettive geopolitiche, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 2/2018.

[6]G. R. Capisani, I nuovi Khan. Popoli e Stati nell’Asia centrale desovietizzata, BEM, Milano 2017, p. 245.

[7]C. Mutti, Il cordone sanitario atlantico, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, 4/2017.

[8]Quattro figure della Rivoluzione Conservatrice tedesca. Werner Sombart, Arthur Moeller van den Bruck, Ernst Niekisch, Oswald Spengler, op. cit., p. 312.

[9]Si veda a tal proposito L. Disogra, Pierre Drieu La Rochelle: L’europeismo di un ribelle, www.eurasia-rivista.com.

[10]J. Thiriart, L’Europa fino a Vladivostok, “Eurasia” 4/2015 (prima parte) e “Eurasia” 4/2017 (seconda parte)

[11]G. Faye, The geopolitics of ethnopolitics: the new concept of Eurosiberia, testo presentato alla conferenza “Il futuro del mondo bianco”, Mosca 8-10 giugno 2006.

[12]K. Haushofer, Geopolitica delle pan-idee, Nuove Idee, Roma 2006.

[13]F. Szálasi, Grande spazio, spazio vitale, popolo guida, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2017, p. 19.


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Daniele Perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. Le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha conseguito nel 2015 il Diploma di Master in Middle Eastern Studies presso ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2018 il suo saggio Sulla necessità dell’impero come entità geopolitica unitaria per l’Eurasia è stato inserito nel vol. VI dei “Quaderni della Sapienza” pubblicati da Irfan Edizioni. Collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana Radio Irib. È autore del libro Essere e Rivoluzione. Ontologia heideggeriana e politica di liberazione, Prefazione di C. Mutti (NovaEuropa 2019).