Ormai a poche ore dal voto del 19 maggio, gli iraniani fremono e la febbre del venerdi sera elettorale sale a dismisura. Da un lato il presidente uscente Hassan Rohan, chierico pragmatico, proveniente dalla destra islamica che per opportunità politica si è spostato negli ultimi anni al centro, diventando cosi il magnete catalizzatore che attrae il voto moderato, quello che un tempo guardava a Khatami e che oggi bazzica nell’area della famiglia del defunto Akbar Hashemi Rafsanjani, l’Andreotti della Repubblica Islamica. Dall’altra parte della barricata, Ebrahim Reisi, chierico vicino agli ambienti più radicali della gerarchia del potere di Teheran, attuale tutore dell’ente che controlla il mausoleo dell’Imam Reza a Mashad, seconda città dell’Iran, insieme a innumerevoli aziende. Reisi è un punto di riferimento per le milizie della Rivoluzione islamica, i famosi Basiji (Volontari), dalle file delle quali si affermano ormai settimanalmente i martiri della guerra siriana e irachena, giovani ragazzi che spesso partono come ausiliari e volontari in sostegno alla Guardia Rivoluzionaria, attiva in sostegno dei governi di Siria e Iraq nella guerra al terrorismo. Questi due candidati rappresentano ad oggi l’essenza del bipolarismo all’iraniana, un sistema politico affermatosi grazie a molte vicissitudini dal 1979 ad oggi.

Il bipolarismo, ieri

Dalla fondazione della Repubblica Islamica dell’Iran nel 1979 ad oggi, gli schieramenti egemoni che si sono contesi il potere in questa democrazia teocentrica sui generis, si sono continuamente rinnovati, ma ciò che è rimasto invariato nelle sue linee generali è il concetto medesimo di bipolarismo, rimasto intatto sino ad oggi, anche se gli attori di tale modello sono cambiati lungo gli anni. Il primo modello bipolare istaurato in Iran fu quello che resse il paese dal febbraio 1979 al 21 giugno 1981. Questo sistema bipolare si concentrava sul dualismo tra due fazioni interne alla Rivoluzione islamica guidata dall’Imam Khomeini, ovvero da una parte i seguaci della Linea dell’Imam, gergo col quale si indicavano normalmente i rivoluzionari islamici più accesi e radicali: alcuni personaggi che potevano in qualche modo essere ricondotti a questa linea erano esponenti del calibro di Akbar Hashemi Rafsanjani, Hassan Rohani (il quale fu l’esecutore nei primi anni della Rivoluzione islamica dell’editto dell’Imam Khomeini riguardo all’obbligo per le donne iraniane di portare il velo), l’attuale Guida della Rivoluzione islamica, Ali Khamenei e cosi via. Dall’altra parte della barricata, una fazione di riformatori, formalmenti fedeli all’Imam Khomeini e alla Rivoluzione islamica, ma con un approccio molto più morbido e moderato. Gli esponenti di questa fazione erano il primo ministro del governo provvisorio Bazargan, e il primo presidente eletto della Repubblica Islamica, Abol Hassan Bani Sadr. La caduta del governo di quest’ultimo il 21 giugno del 1981 per volontà del parlamento dominato dalla fazione più intransigente e grazie alla collaborazione attiva dello stesso Imam Khomeini, segna la fine di questa Prima Repubblica Islamica e di questo primo bipolarismo all’iraniana. Gli anni successivi, dal 1981 alla morte dell’Imam Khomeini nel 1989 sono quelli della Seconda Repubblica Islamica, dove il modello del partito unico rivoluzionario dominato dalla fazione massimalista del triennio 1979-1981 (il Partito della Repubblica Islamica) entra in crisi, e dalla contese interne di tale partito si affermano i concetti politici, tutto sommato nuovi per l’Iran post 1979, di destra (islamica) e sinistra (islamica). La base dell’affermazione del nuovo bipolarimo 1981-1989 è il problema del modello economico da edificare dopo la caduta della monarchia. La destra, rappresentata da personaggi come Hassan Rohani, Nateq Nuri, chierico anche oggi vicino all’attuale presidente moderato, e altri leader religiosi e laici, cerca di temperare gli eccessi collettivisti dei primi anni della Rivoluzione, volendo adottare un modello islamico, ma aperto al commercio internazionale e a un modello vagamente libersita, quanto meno rispetto alla sinistra islamica, più socialisteggiante e più intransigente in politica estera, guidata dall’attuale leader riformista agli arresti domiciliari Mir Hossein Musavi. Una posizione mediana tra questi due estremi è ricoperta da Ali Khamenei, presidente della Repubblica negli anni ’80, e Hashemi Rafsanjani, presidente del Parlamento. I dissidi tra Khamenei e Musavi, allora primo ministro, la dipartita dell’Imam Khomeini (e la conseguente nomina di Khamenei a Guida), la fine della guerra con l’Iraq, l’elezione del pragmatico Rafsanjani alla presidenza della Repubblica, sono tutti fattori influenti che determinano la progressiva fine della Seconda Repubblica Islamica. Ma la Terza Repubblica Islamica non si afferma esattamente nel 1989, anno intenso in cui oltre i fatti elencati si ha una importante riforma costituzionale che mette fine all’istituto del primo ministro, in favore di un modello più marcatamente presidenziale. La Terza Repubblica Islamica col suo modello bipolare nasce nella primavera del 1997, grazie all’elezione di Mohmmad Khatami, membro della sinistra islamica, che sconfigge nella contesa elettorale Nateq Nuri, membro della destra religiosa. Da quel momento c’è un completo capovolgimento della situazione: da allora la sinistra non è più da considerarsi come la fazione massimalista della Repubblica Islamica, ma addirittura, attraverso un cambiamento radicale delle idee guida della fazione, sinistra in Iran diventa sinonimo di diritti, libertà individuali, economia di mercato e relazioni internazionali all’insegna della distensione con l’occidente capistalista. E d’altro canto, la destra, da moderata e liberista, sentendosi in ogni caso antitetica al nuovo governo di Khatami, si riscopre dal 1997 più radicale, meno liberista e più vicina agli ideali dell’Imam Khomeini. E’ in quegli anni che inizia ad affermarsi il duopolio ancora vigente tra conservatori e riformisti: i primi sono gli eredi della destra islamica del periodo 1981-1989, mentre i secondo sono gli eredi della sinistra. Ovviamente tale bipolarismo non è netto e vi sono anche delle fazioni intermedie, di centro. Ma a grandi linee da allora ad oggi questi due gruppi di potere hanno egemonizzato gli apparati dello Stato iraniano.

Il bipolarismo, oggi

Gli anni del governo Khatami, gli anni delle riforme libertarie fallite, segnarono profondamente la politica iraniana. Coloro i quali si opponevano a tale modello di politica, giudicata troppo filo-occidentale, venivano accusati dal governo di conservatorismo (da qui nasce l’etichetta di conservatori data agli esponenti della destra islamica), mentre i governativi, si autodefinivano riformatori. La Terza Repubblica Islamica, attualmente vigente anche se con delle correzioni rispetto al modello del 1997, ad esempio Rafsanjani allora era accusato di conservatorismo dai riformatori, mentre oggi personaggi come il defunto Rafsanjani appunto o Hassan Rohani, proveniente dalla destra islamica, sono considerati dei riformisti, entra in crisi durante il governo di Ahmadinejad, il quale nonostante provenisse dalle fila dei conservatori, soprattutto dal 2009 in poi, data d’inizio del suo secondo mandato, cerca di smarcarsi dalle posizioni conservatrici, soprattutto in ambito culturale, cercando di mostrarsi come un tutore delle libertà dei cittadini rispetto ad un certo oscurantismo clericale, ad esempio nominando per la prima volta dal 1979 un ministro donna, cosa che nemmeno Khatami aveva osato fare. Tale politica lo porta in rotta di collisione coi suoi ex alleati ultraconservatori, creando di fatto nel periodo 2009-2013 l’affermazione di un modello bipolare momenteo, conclusosi con l’elezione di Hassan Rohani alla Presidenza della Repubblica, un breve periodo caratterizzato dall’alleanza, volontaria o meno non ha importanza, tra conservatori e riformisti contro Ahmadinejad. In quel periodo non era raro vedere membri del clero ultraconservatore, centrisiti dell’area di Rafsanjani e riformisiti dell’area di Khatami scaglarsi, per motivi diversi, contro il governo di Ahmadinejad. Tale unanimità nell’opporsi ad Ahmadinejad è la base per l’esclusione di quest’ultimo dalle elezioni del prossimo 19 maggio. La fine dell’esperienza di Ahmadinejad ha riportato in auge la Terza Repubblica, momentaneamente sospesa durante il periodo 2009-2013. L’elezione dell’ex conservatore e ora centrista Rohani, sostenuta dalla sinistra riformista, ha ricollocato il sistema iraniano sul sentiero del bipolarismo, dove gli oppositori dell’esecutivo pragmatico di Rohani, soprattutto la destra ultraconservatrice, cercano attraverso il sostegno a Ebrahim Reisi, di ritornare al potere e di riprendersi l’esecutivo. A prescindere dal risultato elettorale di venerdi prossimo, quello che è importante da sottolineare è che a 20 anni dall’edificazione della Terza Repubblica Islamica nel 1997, lo Stato iraniano sembra procedere verso la conferma di questo bipolarismo all’iraniana, e la chiusura nei confronti di Ahmadinejad, il quale pretenderebbe di essere a capo di una sorta di terza via al khomeinismo, conferma come la democrazia teocentrica non voglia tollerare deviazioni dal modello bipolare. Bisogna però notare che in paesi con una cultura democratica più affermata dell’Iran, come i paesi dell’Europa occidentale, l’ascesa dei movimenti antisistema ha messo a dura prova i sistemi bipolari classici, con la scomparsa o il netto ridimensionamento di alcuni partiti storici a favore di nuove realtà eterogenee. In Iran tale processo per ora è stato fermato dalla gerarchia clericale, la quale sembra accettare la democrazia dell’alternanza, senza però intaccare la stabilità istituzionale. Il modello iraniano quindi, nonostante le profonde differenze concettuali con la democrazia occidentale, dismostra nei fatti di essere un modello non troppo dissimile dalle democrazie europee. In Europa i limiti a salvaguardia del sistema bipolare nei confronti dell’ascesa dei movimenti euroscettici vengono messi dalla propaganda mediatica e dal terrorismo psicologico delle lobby economiche, come nel caso delle recenti elezioni francesi, in Iran i metodi sono un po’ più tradizionali e tranchant: ad evitare l’ascesa di partiti che possono mettere in crisi il bipolarismo all’iraniana ci pensano gli organi dominati dal clero, il risultato però rimane il medesimo, ovvero un modello democratico controllato dall’alto. In questo senso il mediaticamente vituperato “regime” iraniano non è poi molto diverso dalle democrazie del vecchio continente: il popolo è chiamato a scegliere, si, ma nell’alveo di una contesa preparata a tavolino.


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Ali Reza Jalali, laureato in giurisprudenza presso l`Università degli Studi di Brescia, ha conseguito il dottorato di ricerca in diritto costituzionale presso l’Università degli Studi di Verona. Attualmente insegna diritto costituzionale e internazionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza della Facoltà di Scienze umanistiche dell’Università Islamica di Shahrud (Iran). Presiede il Centro studi internazionale Dimore della Sapienza, di cui è anche responsabile per la sezione dedicata agli studi giuridici e politologici. Ha pubblicato numerosi saggi su “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e nel relativo sito informatico. Nelle sue ricerche si occupa prevalentemente dei temi attinenti al diritto pubblico, al diritto internazionale, al rapporto tra Islam e scienza politica ed alle relazioni internazionali, in particolare per quanto riguarda l’area islamica.