Matteo Nardacci

 

Tra i Paesi che più sono cresciuti economicamente negli ultimi anni troviamo il Kenya, che ha puntato tutto sulla costruzione di grandi infrastrutture. In generale, l’Africa orientale si trova a recitare una parte fondamentale per il futuro sviluppo africano. Lo scorso anno la regione ha registrato un’espansione del PIL del 5,6%, ben al di sopra della media continentale del 4,5%.

 

UNA NAZIONE IN PIENO SVILUPPO ECONOMICO. Il 10 giugno 2008 il Governo dell’ex Presidente keniota Mwai Kibaki lanciò l’ambizioso progetto Kenya Vision 2030, che aveva lo scopo di trasformare il Paese in «una nazione industrializzata, a reddito medio e che fornisce una elevata qualità della vita a tutti i cittadini in un ambiente pulito e sicuro entro il 2030».

A otto anni dall’inizio del programma si può affermare che molte aspettative stanno per essere soddisfatte. Infatti il Kenya, come altri Paesi dell’Africa orientale, ha recentemente conosciuto unnotevole sviluppo economico: secondo i dati della Banca Mondiale, dal 2009 al 2015 l’economia è cresciuta del 4-6% annuo (con un picco dell’8% nel 2010) e le previsioni per il futuro sono altrettanto rosee (per il 2016 è previsto un aumento del PIL del 6,8%). Questa crescita esponenziale ha fatto sì che il Kenya diventasse la quarta economia sub-sahariana dopo Nigeria, Sudafrica e Angola.

Lo sviluppo è stato possibile grazie a un’espansione dei settori bancario e delle telecomunicazioni, ma è soprattutto dovuto a un poderoso incremento degli investimenti nell’ambito delle infrastrutture, fondamentale per attirare capitali stranieri.

Al tutto si deve anche aggiungere la volontà keniota di estendere la cooperazione regionale con i Paesi vicini, creando una vasta area di scambio che sia in grado di assorbire la produzione manifatturiera e valorizzare pienamente il porto di Mombasa, affinché questo divenga lo scalo principale di una rete infrastrutturale per il transito di merci e idrocarburi.

 

IL PROGETTO FERROVIARIO – In questo contesto rientra il più ambizioso progetto del Kenya dalla sua indipendenza: il Kenya’s standard gauge railway (SGR), una ferrovia che si estenderà per 609 chilometri e che collegherà Mombasa alla capitale Nairobi. L’opera, il cui completamento è previsto per il 2017, dovrebbe costare intorno ai 3,6 miliardi di dollari, il 90% dei quali fornito dalla banca cinese Exim, mentre la quota restante è investita direttamente dal Governo keniota. Grazie a questo tracciato i tempi di percorrenza dal più grande scalo portuale nazionale alla capitale saranno dimezzati (da dieci ore a meno di cinque), il che permetterà un aumento delle economie di scala, una diminuzione dei costi per le imprese e per gli investitori e conseguentemente un’accelerazione della crescita e dello sviluppo.

La ferrovia, però, è solo una parte di un progetto di più ampio respiro: grazie a un memorandum d’intesa trilaterale firmato nel 2013 tra i Governi keniota, ugandese e ruandese è in corso anche un allungamento della ferrovia fino a Kampala, capitale dell’Uganda, senza dimenticare che per il 2018 si prevede la chiusura dei lavori sulla tratta Nairobi-Kigali (Ruanda). Inoltre, entro i prossimi quindici anni il Kenya si propone di servire la maggior parte dei Paesi dell’entroterra africano, allacciando le recenti infrastrutture con la Repubblica democratica del Congo, con la Repubblica centrafricana e con il Ciad. Il tutto, naturalmente, andrà anche a favore del grande investitore del progetto, la Cina, la quale avrà la possibilità di penetrare ancora più a fondo nel mercato africano.

 

IL LAPSSET – Allo stesso tempo il Kenya mira anche ad accrescere la propria influenza tra i vicini settentrionali e a diminuire l’eccessiva dipendenza dal porto di Mombasa.

Per questo tra i progetti inclusi nel Kenya Vision 2030 spicca il corridoio Lamu-Sud Sudan-Etiopia (LAPSSETLamu Port-Southern Sudan-Ethiopia Transport), un progetto da 23 miliardi di dollari che secondo Jonathan Lodompui, un alto dirigente di Vision 2030, dovrebbe far crescere il PIL keniano di almeno il 3%. L’opera ha preso il via nel 2012 e prevede la costruzione di un porto e di una raffineria di petrolio nella cittadina di costiera di Lamu, di una ferrovia a scartamento normale lunga 1.500 chilometri che collegherà lo scalo con il Sud Sudan e con l’Etiopia, di un’autostrada e di un oleodotto che seguiranno lo stesso percorso, nonché di tre aeroporti e di altrettanti centri turistici.

Il piano ha un’importanza geopolitica fondamentale e potrebbe cambiare gli equilibri dell’intera regione orientale africana. Il corridoio donerebbe infatti all’Etiopia un nuovo sbocco verso il mare alternativo a Gibuti e consentirebbe al Sud Sudan di liberarsi dal potere che esercita Khartoum sulla sua ampia produzione petrolifera, creando così nuovi presupposti di sviluppo economico per il Paese divenuto indipendente nel 2011.

La realizzazione del LAPSSET ha già procurato ripercussioni anche all’interno della Comunità dell’Africa orientale (EAC). All’inizio del marzo 2016, il Sud Sudan è entrato a far parte dell’Organizzazione, aggiungendosi a KenyaTanzaniaUgandaRuanda e Burundi – e ben presto potrebbe essere seguita dall’Etiopia. Inoltre, a causa dell’alto valore strategico che assumerebbero le città di Lamu e Mombasa, il Kenya si appresterebbe a modificare a proprio vantaggio l’asse degli equilibri all’interno dell’EAC.

L’AEROPORTO ‘KENYATTA’ – Non bisogna poi dimenticare l’importanza ricoperta dagli aeroporti in un Paese per il quale il turismo rappresenta la seconda industria nazionale. Nel 2013, nel tentativo di consolidare la sua posizione come uno dei principali scali d’Africa, sono iniziati i lavori a un nuovo terminal del Jomo Kenyatta International Airport di Nairobi. L’ampliamento, denominato Greenfield, costerà intorno ai 635 milioni di dollari e sarà finanziato in gran parte dalla Banca africana di sviluppo, si estenderà su 178mila metri quadrati e gestirà annualmente 20 milioni di passeggeri. Lo scorso novembre, infine, il Kenya ha firmato un accordo di finanziamento per 66 milioni di dollari con l’Agenzia francese per lo sviluppo, al fine di ammodernare il Moi International Airport di Mombasa, importante punto di ingresso per i turisti.

 

LE INSIDIE ALLO SVILUPPO – Dall’altro lato, tuttavia, non mancano serie minacce allo sviluppo del Kenya. La prima criticità deriva naturalmente dal caos somalo, sia dal gruppo terroristico islamista di al-Shabaab, che potrebbe far temere una serie di attacchi al condotto LAPSSET, sia dalla pirateria, che infesta i mari della regione e che potrebbe insidiare la ricerca di idrocarburi in mare aperto e il commercio marittimo.

Il secondo problema per l’economia keniota deriva, invece, dalla Tanzania. Da un punto di vista logistico, Kenya e Tanzania servono gli stessi Paesi dell’entroterra, e anche il Governo di Dodoma si sta dando da fare per potenziare le proprie infrastrutture. Nel 2013 la Tanzania ha firmato un accordo miliardario con la Cina per la costruzione di un porto da 20 milioni di container all’anno nella città di Bagamoyo: una volta ultimato, nel 2017, lo scalo potrebbe diventare il più grande della regione, soprattutto dopo la realizzazione di una ferrovia, la Tazara, che collegherà il porto con le aree interne del Paese e con lo Zambia. Con questo progetto la Tanzania avrà quattro futuri porti a disposizione (Dar es Salaam, BagamoyoTanga Mtwara) e potrebbe realmente lanciare la sfida al Kenya, puntando a diventare la più grande piattaforma infrastrutturale dell’Africa orientale.

 


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