I paesi del Corno d’Africa (Etiopia, Eritrea, Gibuti e Somalia) sono stati recentemente al centro dell’attenzione della diplomazia italiana, data la necessità dell’Italia di trovare partner politici in Africa, anche per risolvere la crisi dei migranti. Inoltre l’Italia è pienamente consapevole dell’influenza cinese nel vicino Gibuti, così come della presenza militare francese e statunitense.

Roma vorrebbe vedere la fine della “incarcerazione senza sbocco sul mare” dell’Etiopia, ripristinare la presenza dell’Italia nella regione, basata sul suo passato coloniale, e assicurare la partecipazione delle imprese italiane alla costruzione di infrastrutture di trasporto per collegare la capitale etiopica Addis Abeba con il porto eritreo di Massaua.

La quota di somali, etiopi ed eritrei nei flussi migratori dall’Africa all’Unione Europea attraverso il Ciad, il Sudan e la Libia è stata tradizionalmente elevata. L’Italia, che attualmente occupa il terzo posto dopo la Cina e gli Emirati Arabi Uniti in termini di investimenti in Africa, vuole contribuire a ridurre la migrazione investendo nell’economia e nelle infrastrutture di trasporto del Corno d’Africa per migliorare la situazione economica.

Pur rimanendo un paese povero, l’Etiopia continua a crescere rapidamente sul piano economico, facendo registrare una crescita annuale impressionante del 10,3% tra il 2007 e il 2017, rispetto alla media regionale di appena il 5,4% . Secondo numerosi analisti l’Etiopia, con la sua popolazione in rapida crescita e la manodopera relativamente a buon mercato, emergerà presto come una “Cina africana” in termini di volumi di produzione.
Addis Abeba è anche attiva sul piano diplomatico, dal momento che sta promuovendo legami sempre più stretti con il Kenya e il Sudan. L’Italia, da parte sua, sta opportunamente scommettendo sull’Etiopia come trampolino economico e politico per espandere il suo punto d’appoggio nel Corno d’Africa per proiettarsi nella penisola arabica attraverso il Mar Rosso e verso l’Oceano Indiano.

Nel contempo Roma cerca un rapporto più dinamico anche con il Kenya. Infatti non solo numerose  ONG italiane stanno attualmente lavorando in Kenya, ma le esportazioni italiane in questo paese dell’Africa orientale superano i 182 milioni di euro.

Per quanto riguarda la Somalia, questa sarà oggetto di investimenti italiani per una cifra di circa 270 milioni di euro previsti per i prossimi 20 anni.

Il Ciad e il Niger, che confinano con la Libia, sono la continuazione logica della catena geopolitica Sudan-Eritrea-Etiopia-Gibuti-Somalia-Kenya costruita da Roma. Questo spiega perché il primo ministro italiano Giuseppe Conte ha visitato Ndjamena e Niamey a gennaio dopo gli scali in Etiopia ed Eritrea.

Ciad e Niger svolgono infatti un ruolo chiave nel bilanciamento del sistema di sicurezza internazionale nella regione del Sahel, dove le truppe italiane fanno parte di una forza multinazionale schierata. Dopo il crollo dello stato libico, il Niger e il Ciad sono stati visti da Roma come il confine meridionale dell’Europa. A tale proposito è di estremo interesse l’accordo stipulato del nostro paese con il Niger. L’articolo sesto dell’accordo prevede infatti che l’Italia offra la propria cooperazione militare nel settore “navi e relativi equipaggiamenti appositamente costruiti per uso militare; aeromobili ed elicotteri militari, sistemi aerospaziali e relativi equipaggiamenti; carri e veicoli appositamente costruiti per uso militare;armi da fuoco automatiche e relativo munizionamento;armamento di medio e grosso calibro e relativo munizionamento; bombe, mine (fatta eccezione per le mine anti-uomo), razzi, missili, siluri e relativo equipaggiamento di controllo; polveri, esplosivi e propellenti appositamente costruiti per uso militare;sistemi elettronici, elettro-ottici e fotografici e relativo equipaggiamento appositamente costruiti per uso militare;materiali speciali blindati appositamente costruiti per uso militare;materiali specifici per l’addestramento militare;macchine ed equipaggiamento costruiti per la fabbricazione, il collaudo ed il controllo delle armi e delle munizioni;equipaggiamento speciale appositamente costruito per uso militare”. Questo accordo consentirà certamente al nostro paese di contrastare l’influenza francese in Africa e, nel contempo, di incrementare i profitti legittimi della nostra industria militare.

Nel frattempo, le rivalità tra le potenze europee, soprattutto tra  l’Italia e la Francia, per il controllo delle regioni africane strategicamente importanti e delle loro risorse, sono sempre più evidenti.

La Francia teme che i successi diplomatici italiani in Africa possano alla fine dare a Roma un controllo politico e/o economico su una vasta regione che si estende dall’Algeria al Kenya, che a sua volta potrebbe separare politicamente il Nord Africa di lingua francese dall’Africa centrale.
L’Algeria, la Tunisia, il Mali, la Mauritania e il Burkina Faso, che sono stati una zona tradizionale di influenza francese, non sono stati trascurati da Roma, che non a caso ha previsto l’apertura di una un’ambasciata in Burkina Faso.

La proiezione politico-economica di Roma in Kenya e Somalia non potrà che approdare in Madagascar sulla costa orientale dell’Africa, dove la Francia ha i suoi interessi.
La conflittualità tra Italia e Francia sia in questo scacchiere che in quello libico – alludiamo ad esempio a quella tra Eni e la Total – sarà certamente destinata ad aumentare; proprio per questo, avere un efficace dispositivo di intelligence economica diventa per l’Italia sempre più urgente e necessario per tutelare i suoi interessi nazionali.


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