Vitalij Bilan (Ucraina), New Eastern Outlook, 23 marzo 2012, Oriental Review

 
Uno stato fallito


La decisione del cosiddetto “Congresso del Popolo della Cirenaica”, tenutosi nei pressi di Bengasi, di stabilire la regione unitaria federale di Barqa, ha nuovamente attirato l’attenzione dei media sulla Libia. Naturalmente, il motivo principale di questa decisione da parte del cirenaici è il desiderio di accaparrasi i due terzi delle risorse petrolifere della Libia, che si trovano nel loro territorio. Soprattutto dopo che la nuova Assemblea Costituente ha deciso di dare alle province orientali solo 60 dei 200 seggi, e Zintan, Misurata e altre regioni occidentali e centrali del paese hanno ottenuto le posizioni chiave nell’esecutivo e nella regione della capitale. Tuttavia, le associazioni tribali della Cirenaica non sono state le uniche ad essere insoddisfatte. In questo contesto, potremmo ricordare la rivolta anti-governativa a Bani Walid, all’inizio di quest’anno, quando le unità armate del Consiglio nazionale di transizione (CNT) e la burocrazia fedele ad essa, sono state espulse dalla città.

Inoltre, appena il giorno dopo il Congresso del Popolo della Cirenaica, l’amministrazione della terza città più grande della Libia, Misurata, la cui posizione nel paese è cresciuta in modo significativo, in conseguenza degli eventi dello scorso anno, ha imposto delle restrizioni sulle persone provenienti da altre regioni, per poter accedere alla città. Inoltre, diversi gruppi armati che operano in modo autonomo come “distaccamenti rivoluzionari”, hanno il controllo di intere regioni della capitale Tripoli. Così, il tentativo del CNT e del suo leader Mustafa Abdul Jalil, di rimanere “al di sopra della mischia” nel conflitto di interessi che coinvolge tutte le tribù e i clan del paese, può essere considerato un fallimento da questo punto. Inoltre, questa politica di “equidistanza” sempre più desta il sospetto che il CNT sia una tipica struttura compradora al servizio degli interessi dell’Occidente. C’è un motivo per cui il leader del CNT comincia ad essere conosciuto come “Mustafa Abdul NATO”, nella società libica. A quanto pare, il lobbista capo europeo nel nuovo governo libico, la Francia, attrae la maggior parte dell’attenzione.

 


 

La lotta per il petrolio … e contro Parigi


Parigi, naturalmente, crede di aver svolto un ruolo di primo piano nel rovesciare il regime di Gheddafi, e quindi di avere il diritto di rivendicare la “parte del leone” delle ricchezze della Libia. Una lettera ampiamente pubblicizzata che un membro del CNT ha inviato all’emiro del Qatar al-Thani (di per sé molto rivelatore!), all’inizio dello scorso aprile, forniva la conferma di ciò. Vi sarebbe scritto che la Francia otterrà il 35% del greggio libico in cambio del sostegno alle forze dell’opposizione. Poi c’è stata campagna elettorale presidenziale in Francia, durante il quale l’attuale leader del paese, Nicolas Sarkozy, ha ripetutamente sottolineato il “forte contributo” della diplomazia e dell’aviazione francesi durante gli eventi dello scorso anno in Libia.

Naturalmente, i leader tribali libici, in particolare nella Cirenaica ricca di petrolio, sono irritati sia dalle ambizioni di Parigi che dai giochi dietro le quinte del CNT con essa. La morte di due dirigenti di un’azienda della sicurezza privata francese in Libia, lo conferma. Inoltre, non è sorprendente che l’annosa questione del cosiddetto “debito francese”, di cui  Saif al-Islam, il più loquace dei figli di Gheddafi, aveva parlato lo scorso marzo, sia appena riemerso.

Il 12 marzo, l’agenzia Mediapart inviava un documento che indicava che Gheddafi aveva donato 50 milioni di euro, che erano stati riciclati attraverso dei conti bancari svizzeri e panamensi, a favore della campagna elettorale di Sarkozy nel 2007. Il fatto che i negoziati per il finanziamento della campagna siano stati decisi da nessun altro che Saif al-Islam e Ziad Takieddin, un controverso uomo d’affari francese di origine libanese, che la polizia francese tiene nel mirino per il suo ruolo ambiguo nella cooperazione tecnico-militare tra la Francia e il Pakistan, hanno ottenuto molta attenzione.

Ovviamente è in corso una ben pianificata campagna anti-francese. Sia Parigi che Tripoli sembrano capirlo. Questo è evidente dalla dichiarazione di Jalil, secondo cui dei paesi stranieri sono responsabili di aver incitato il sentimento autonomista nelle regioni ad est, e di altrove, del paese. E anche se nessun paese viene nominato, è del tutto chiaro quali paesi potrebbero beneficiarne.

 

Ancora il Qatar?

 

La decisione di Parigi degli ultimi anni di rinvigorire le sue relazioni con i paesi dell’Africa e mediorientali, sfruttando sia i legami personali che il suo preferito, ma ancora incompleto “giocattolo” della politica estera, l’Unione per il Mediterraneo, ha prodotto un’irritazione malcelata tra coloro che hanno lo stesso tipo di “piani napoleonici” per la regione. Il primo paese che viene in mente è l’attuale “amico giurato” della Francia, la Turchia, così come, naturalmente, il nuovissimo giocatore attivo regionale, il Qatar.

Doha e Ankara hanno tollerato l’attivismo di Parigi in Africa per lungo tempo. Particolarmente degni di nota sono le decisioni prese al summit Africa-Francia a Nizza, durante il quale i francesi fecero attenzione particolare ai paesi leader nella Africa non-francofona, Sudan e Libia in primo luogo, a causa dei loro giacimenti di idrocarburi (il primo in base al suo potenziale e l’ultimo sulla base della sua produzione petrolifera effettiva). L’emiro del Qatar non è stato particolarmente felice che la società francese Total sia diventata l’”operatore” petrolifero chiave nel Sudan meridionale, che ha già annunciato l’intenzione di triplicare l’attuale livello di produzione di petrolio nel Sudan meridionale e di costruire rapidamente un gasdotto verso l’oceano Indiano, attraverso il Kenya, come alternativa al percorso nel Sudan settentrionale (la Cina progetta di costruire una raffineria di petrolio in Kenya, al costo di circa 1,5 miliardi di dollari US).

Doha sta anche cominciando a vedersi l’erba tagliata sotto i piedi in Libia. L’accordo sulla sicurezza marittima e di frontiera libico firmato dai ministri della difesa della Libia e della Francia a Tripoli, a fine febbraio, è degno di nota in questo senso. Il ministro della difesa della Libia ha sottolineato che la Francia le avrebbe dato assistenza tecnica per stabilire controlli efficaci alle frontiere e, soprattutto, una difesa contro i militanti di al-Qaida nel paese (leggasi i mercenari del Qatar). Sembra che Doha stia cominciando a rendersi conto che la distrazione della campagna siriana possa provocare la perdita della Libia, dove ha investito tanti sforzi e tanto denaro lo scorso anno. I commenti caustici sempre più frequenti che al-Jazeera  rivolge a Sarkozy e al CNT, nonché i crescenti sentimenti separatisti in tutto il territorio libico e, soprattutto, ad est, che è ancora nell’orbita del Qatar, lo indicano.

Ci sono stati numerosi esempi di ex alleati che hanno avuto  diverbi su come dividere il bottino, dopo aver raggiunto il loro obiettivo. Pertanto, se coloro che hanno combattuto il regime di Gheddafi non addivengono presto ad un accordo sulle sfere d’influenza in Libia, si potrà assistere a una  futura “sfilata di sovranità” nella ex-Jamahiriya che trasformerà il paese in un’altra Somalia.

 

Vitalij Bilan ha una laurea in Storia ed è un esperto del Medio Oriente.

 

 

Traduzione di Alessandro Lattanzio
http://sitoaurora.altervista.org/home.htm
http://aurorasito.wordpress.com


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