Il 19 gennaio 2018 la rivista serba “Pečat” ha pubblicato un’intervista rilasciata a Boris Nad dal direttore di “Eurasia”, Claudio Mutti. Il testo dell’intervista viene tradotto integralmente in italiano qui di seguito.

 

Diversamente da molti osservatori, nel 2012 Lei previde la lunga e dura resistenza della Repubblica Araba Siriana contro l’aggressione antisiriana di “bande terroriste e mercenarie” addestrate dalla CIA soprattutto in Turchia. L’impegno delle forze armate russe al fianco del legittimo governo di Damasco ha portato alla sconfitta dei terroristi. Che cosa è cambiato nel Vicino Oriente?

Sostenendo il legittimo governo siriano e impedendo che Bashar al-Asad facesse la stessa fine di Saddam Hussein e di Gheddafi decretata dall’Occidente nei suoi confronti, la Russia ha acquisito una posizione vittoriosa nel Vicino Oriente. Insieme con la Russia, l’altro vincitore è l’Iran, che adesso esercita la propria influenza in Iraq, in Libano e nella Penisola araba, dove la Repubblica Islamica ha sostenuto gli Houthi contro Riyad.

Ma la sconfitta del cosiddetto “Stato Islamico”, il cui scopo principale consisteva nel combattere contro gli alleati dell’Iran, ha lasciato uno spazio vuoto nel Vicino Oriente, cosicché l’entità sionista adesso deve trovare un’altra pedina per tenere a bada la Repubblica Islamica. Il progetto del Kurdistan indipendente poteva essere un ottimo surrogato dell’ISIS, ma è fallito grazie all’opposizione di Iran e Turchia. Sembra allora che un ruolo di primo piano nella strategia sionista debba essere svolto dall’Arabia Saudita, che con l’Iran si è già scontrata nello Yemen.

 

Quello che è avvenuto in Iran nel mese di gennaio è stato un tentativo di “rivoluzione colorata”? Che cosa è avvenuto?

Secondo quanto ha detto la Guida Suprema, i disordini scoppiati in diverse città iraniane, inizialmente determinati da cause economiche, si sono trasformati in un’azione sovversiva ispirata dai nemici della Repubblica Islamica; Teheran ha esplicitamente accusato gli Stati Uniti di interferire negli affari interni iraniani. E’ significativo che alcuni gruppi di dimostranti gridassero parole d’ordine ostili al sostegno dato dall’Iran ai movimenti di liberazione della Palestina, del Libano e dello Yemen. Ciò fa pensare alla presenza attiva di gruppi eversivi guidati dai principali alleati degli USA nella regione: Israele ed Arabia Saudita. Considerando la situazione complessiva del Vicino Oriente, dove il regime sionista e la monarchia wahhabita hanno stabilito un’alleanza strategica con gli USA per ostacolare l’egemonia di Teheran, è probabile che i tentativi di destabilizzare l’Iran dall’interno si intensificheranno.

 

Il mondo islamico è oggi in preda a un profondo sconvolgimento. Possiamo parlare, come ha fatto Lei su “Eurasia”, di una “guerra civile islamica”? Quali sono i reali protagonisti dello scontro attualmente in atto all’interno del mondo islamico? Si tratta di un conflitto tra musulmani sunniti e musulmani sciiti? Lei ha attratto l’attenzione sul fatto che in The Clash of Civilizations and the Remaking of the World Order Samuel Huntington indica l’Islam come il nemico strategico dell’Occidente, un nemico che è tale per via di un antagonismo tra visioni del mondo, non per via di controversie territoriali. Può spiegare meglio questo punto?  

Propriamente, una “guerra civile” è un conflitto armato fra due fazioni di cittadini appartenenti al medesimo Stato. Il conflitto che in un senso più ampio ho chiamato “guerra civile islamica” è uno scontro che contrappone schieramenti appartenenti alla ummah musulmana.

Non è però assolutamente corretto affermare che questo conflitto contrapponga i sunniti agli sciiti. In Cecenia ed in Libia, dove la “guerra civile islamica” ebbe inizio, la componente sciita dell’Islam era assente. In Siria ed in Iraq i bersagli dei terroristi non sono stati soltanto gli sciiti ed i cristiani, ma anche molti sunniti, in particolare le confraternite sufiche. In Palestina, la resistenza è sostenuta da Hezbollah, che è costituito in grande maggioranza da sciiti, e soprattutto dalla Repubblica Islamica dell’Iran.

Il vero conflitto, perciò, è quello che contrappone l’Islam e l’islamismo, vale a dire la dottrina tradizionale ed ortodossa da un lato e un’ideologia che ne è la caricatura dall’altro. Questa parodistica ideologia è l’eterodossia fondamentalista (wahhabita-salafita), la quale ha prodotto un fenomeno terroristico che è funzionale alla strategia statunitense e sionista ed è stato sostenuto da forze atlantiste e filoamericane.

Ecco perché Huntington afferma che “il vero problema per l’Occidente non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam in quanto tale”. In effetti, mentre i movimenti fondamentalisti sono spesso manipolati ed utilizzati da centrali operative atlantiste, l’Islam rappresenta una visione spirituale della vita e del mondo che è incompatibile con quella occidentale. La modernità infatti non è la tradizione, i diritti umani non sono i diritti divini, lo Stato secolare non è la reggenza esercitata in nome di Dio.

 

Il presidente Trump ha deciso di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Quali saranno nel mondo musulmano le conseguenze di questa decisione e che cosa la ha determinata?

Quando i musulmani capiranno che non possono assolutamente fidarsi degli Stati Uniti, allora gl’interessi americani nel mondo islamico si troveranno esposti a possibili attacchi, soprattutto nella regione del Vicino Oriente. La minaccia di Erdogan di congelare le relazioni col regime sionista, indipendentemente dalla sua credibilità è tuttavia un sintomo della tensione che esiste tra Washington ed alcuni dei suoi alleati. Se finora l’obiettivo degli alleati musulmani degli USA è consistito nell’opporsi all’influenza iraniana, è probabile che da adesso l’attenzione di buona parte del mondo islamico si rivolga alla tragedia palestinese.

In contrasto con le reazioni dei paesi musulmani e anche di molti paesi non musulmani, il regime saudita ha suggerito ai Palestinesi di stabilire la loro capitale ad Abu Dis, un sobborgo di Gerusalemme. L’evidenza dell’alleanza saudita-sionista-statunitense induce a prevedere un futuro conflitto contro Hezbollah e, in definitiva, con l’Iran.

Che cosa  ha determinato la decisione di Trump? Secondo il giornale turco “Yeni Safak”, il miliardario ultrasionista Sheldon Adelson ha devoluto 20 milioni di dollari alla campagna elettorale di Trump in cambio del trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme. Anche secondo il “NewYork Times”, dieci giorni prima di diventare presidente, Trump incontrò Adelson, il quale dichiarò a Morton Klein (presidente dell’organizzazione sionista negli USA) che l’ambasciata americana sarebbe stata trasferita.

Ma questa iniziativa è stata preparata da tempo dai neocon. Gli affari esteri degli USA sono controllati dai sionisti cristiani e dai sionisti ebrei. I primi ritengono che lo “Stato d’Israele” debba essere uno Stato esclusivamente ebraico, come condizione necessaria del Secondo Avvento; i secondi invece vogliono ricostruire il Tempio di Salomone, il che significa demolire la Moschea di al-Aqsa e il Duomo della Roccia, ossia i più sacri luoghi di culto islamici dopo quelli di Mecca e Medina.

 

L’alleanza angloamericana con l’islamismo fondamentalista e settario ha una lunga storia, che risale almeno agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.  

L’alleanza tra l’imperialismo britannico e le correnti eterodosse dell’Islam ebbero inizio anche prima. Già nel secolo XIX eminenti rappresentanti del riformismo islamico quali Muhammad ‘Abduh e Ahmad Khan furono riconosciuti da Sir Cromer, amministratore coloniale dell’Egitto, come “i naturali alleati dei riformatori occidentali”. Nel 1915 la Gran Bretagna stabilì relazioni ufficiali con Ibn Saud, che dell’eterodossia wahhabita aveva fatto l’ideologia del suo sultanato protetto dagli Inglesi e nel 1927 era diventato “Re dell’Hejaz e del Najd e delle sue dipendenze”, secondo il titolo accordatogli dalla Gran Bretagna nel trattato di Gedda. Il principale consigliere di Ibn Saud era l’agente inglese Harry Philby, l’organizzatore della rivolta araba antiottomana.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel corso della quale l’Arabia Saudita aveva osservato una neutralità filobritannica, l’egemonia inglese fu gradualmente sostituita da quella statunitense. La nuova alleanza fu conclusa il 1 marzo 1945 da Ibn Saud e Roosevelt a bordo dell’incrociatore Quincy. Per contrastare il panarabismo nasseriano, la dinastia saudita aveva bisogno di una sorta di “internazionale” che sostenesse la sua egemonia nel mondo islamico. Fu così che i Fratelli Musulmani misero a disposizione di Riyad la loro rete militante, che fu rinvigorita dai finanziamenti sauditi. Attraverso l’Arabia Saudita, nacque l’alleanza tra l’imperialismo angloamericano e il fondamentalismo eterodosso e settario.

 

Negli anni passati, il mondo ha attraversato cambiamenti drammatici, addirittura tettonici; gli Stati Uniti cercano di difendere l’”ordine mondiale” liberale (ossia il mondo unipolare e la loro egemonia), ma sembra che ciò diventi sempre più difficile per loro. La Russia, la Cina e l’Iran svolgono un ruolo sempre più importante sulla scena geopolitica mondiale. In quale direzione, a Suo parere, si svilupperanno gli eventi dei prossimi anni?

Dopo la vittoria in Siria, la Russia e l’Iran hanno indotto la Turchia (sempre ondeggiante nelle sue prospettive geopolitiche) ad assumere una diversa posizione; la Russia sta consolidando le sue relazioni con quei paesi che si oppongono all’unilateralismo statunitense; Mosca e Pechino agiscono come mediatori nella crisi coreana, per allontanare la minaccia di un’aggressione contro la Corea del Nord; la Cina afferma il suo sacrosanto diritto ad essere padrona del proprio spazio. Tutto ciò mostra che la transizione dal sistema unipolare a quello multipolare è già cominciata. Nondimeno l’unipolarismo arriverà ad un termine definitivo solo quando il sistema statunitense si renderà conto che gli USA sono incapaci di governare il mondo e sarà costretto a rinunciare al suo ambizioso progetto di egemonia mondiale. Penso perciò che siamo entrati in una fase intermedia, caratterizzata da una sorta di bipolarismo; il blocco eurasiatico, rappresentato da Russia, Cina e Iran, terrà testa a quello atlantista, non solo resistendogli in termini militari ed economici, ma anche contrastando l’ideologia occidentale.

 

Lo scenario della “balcanizzazione”, che viene applicator non solo nel Vicino Oriente, ma anche nell’Asia centrale, nel Caucaso e nel Nordafrica, inizialmente fu applicator nella Guerra tra le rovine dell’ex Jugoslavia. Come considera quella guerra? La distruzione della Jugoslavia presenta varie analogie con la distruzione dell Siria, della Libia, dell’Iraq o dell’Ucraina?

Nel suo famoso libro The Grand Chessboard, Zbigniew Brzezinski indica gl’imperativi geostrategici degli Stati Uniti. The Eurasian Balkans è il titolo, molto significativo, del capitol in cui l’autore consiglia agli USA di dominare l’intero continente eurasiatico promuovendo l’anarchia etnica, religiosa e politica: “In Europa – scribe Brezinski – la parola Balcani evoca immagini di conflitti etnici e di rivalità regionali. Anche l’Eurasia ha i suoi Balcani, ma i Balcani eurasiatici sono molto più estesi, più popolati, anche più eterogenei sotto il profilo religioso ed etnico. Si trovano entro quell’ampia zona oblunga che coincide con la zona centrale dell’instabilità globale (…) che abbraccia porzioni dell’Europa sudorientale, dell’Asia centrale e parti dell’Asia meridionale, l’area del Golfo Persico e il Vicino Oriente”.

Da queste parole risulta evidente che la Jugoslavia – mi consenta di ripetere quello che scrivevo nel 1999 introducendo una lunga intervista con l’indimenticabile Dragoš Kalajić – fu il laboratorio in cui vennero sperimentate tecniche che dovevano servire per distruggere anche altri paesi. Traendo profitto dall’esperienza acquisita in Jugoslavia, la strategia atlantista ha manipolato e strumentalizzato le divergenze etniche, confessionali e politiche in Siria, in Libia, in Iraq ed in Ucraina per distruggere gli Stati ed asservire i popoli.

 

Lei ha scritto un saggio intitolato Budapest, Praga, Bucarest, sui retroscena geopolitici della demolizione dei regimi socialisti nell’Est europeo e sull’insediamento delle cosiddette democrazie. Insomma, secondo le Sue parole, “i popoli dell’Est europeo furono ingannati ed utilizzati come carne da cannone per la politica statunitense del containment”.

La strategia americana non è cambiata molto: il golpe di Maidan è un altro episodio della stessa serie. Se durante la Guerra Fredda gli Americani cercavano di mantenere l’URSS sotto pressione, dopo l’abbattimento dei regimi socialisti essi strumentalizzano la cosiddetta “New Europe” per tenere sotto pressione la Russia.

In questa nuova fase del “containment”, lo strumento tattico più recente è l’”Iniziativa dei Tre Mari”, che intende riunire dodici paesi dal Mar Baltico al Mar Nero ed all’Adriatico. Si tratta del vecchio Intermarium antirusso, che fu inventato dal Maresciallo Pilsudski ed è stato resuscitato dall’Amministrazione Obama; Donald Trump lo ha patrocinato a Varsavia il 6 luglio 2017. Questa Iniziativa, che prima o poi includerà anche l’Ucraina, avvicina l’Europa centro-orientale più a Washington che a Bruxelles ed a Berlino. Così il cordone sanitario alle frontiere occidentali della Russia si stringe sempre più…

 

Il Suo interesse per l’Europa orientale non è solo politico. Lei ha messo a disposizione del pubblico italiano scritti di Mircea Eliade ed Emil Cioran ed ha fatto conoscere autori quali Vasile Lovinescu, Béla Hamvas e molti altri. Lei ritiene che Mircea Eliade, rifiutandosi di circoscrivere l’Europa entro i limiti della “civiltà occidentale”, confermi la tesi dell’unità del continente eurasiatico. Secondo Eliade, la cultura romena è un ponte fra l’Europa occidentale e l’area slavo-bizantina, tra il Mediterraneo e l’Oriente. Ma questo è vero per tutta l’Europa orientale.

Mircea Eliade ripeteva un concetto che si trova espresso più volte presso gl’intellettuali romeni, cioè che il popolo romeno si trova insediato ad un crocevia, cosicché la sua cultura, influenzata dall’Occidente latino e dall’Oriente bizantino, costituisce una sorta di ponte tra l’Europa occidentale, i Balcani e il Vicino Oriente. Non solo; Eliade diceva che in India si era sentito “a casa”, poiché nelle tradizioni popolari indiane aveva ritrovato le medesime strutture delle tradizioni contadine europee. In ogni caso, nella sua attività scientifica Eliade ha messo in risalto la connessione esistente fra diversi elementi dell’etnografia romena e temi rituali rintracciabili in molti altri luoghi del continente eurasiatico. Per esempio, il suo studio sulla ballata popolare di Mastro Manole ha posto in evidenza un tema che è ben documentato in tutta quanta l’Eurasia, dall’Inghilterra al Punjab al Siam al Giappone: si tratta del tema del sacrificio necessario per costruire un edificio duraturo, tema presente anche nella poesia popolare serba. Potremmo affermare la stessa cosa per quanto concerne gli studi di Eliade sulla divinità celeste adorata dai popoli eurasiatici, sullo sciamanesimo, sull’alchimia ecc.

 

La casa editrice da Lei fondata e diretta, le Edizioni all’insegna del Veltro, ha anche pubblicato un libro di Dragoš Kalajić, Serbia, trincea d`Europa (1999). Può dirci qualcosa di questo autore, che oggi in Serbia non viene apprezzato come meriterebbe?   

La prima volta che incontrai il nome di Dragoš Kalajić fu nel 1992, quando lo trovai nel primo numero della rivista “Elementy”, il cui direttore, Aleksandr Dugin, aveva messo nella redazione sia Kalajić sia me. Conobbi personalmente Dragoš in Italia, dove egli aveva conseguito un diploma in Storia dell’Arte al termine di un corso di studi all’Accademia di Belle Arti di Roma. Dragoš tornò in Italia per difendere la causa del suo paese, aggredito dall’imperialismo anglo-americano; tenne diverse conferenze in varie città italiane, scrisse articoli sulla stampa e prese parti a dibattiti pubblici.  

Nella primavera del 1999 i miei studenti chiesero alla direzione del liceo di Parma in cui insegnavo all’epoca di invitare Dragoš Kalajić ad un’assemblea studentesca, per poter conoscere le ragioni della Serbia nella questione del Cossovo. La presidenza del liceo respinse la richiesta, adducendo il motivo che… Gad Lerner aveva disapprovato il punto di vista di Kalajić durante un dibattito televisivo. Allora gli studenti lessero in assemblea una lunga intervista di Kalajić, che fu immediatamente pubblicata nel libro intitolato Serbia, trincea d’Europa. Nel 2005, alcune settimane prima di morire, Dragoš mi inviò un suo saggio concernente i “pregiudizi russofobici” che pubblicai in “Eurasia”. Dragoš Kalajić non fu soltanto un valido pittore e scrittore, ma soprattutto un uomo di alta statura etica, un militante instancabile, un “buon Europeo” nel senso nietzschiano dell’espressione.

 

Sheikh Imran Nazar Hossein è uno di quei pensatori musulmani che difendono l’idea di un’alleanza tra Musulmani e Ortodossi, un’idea, questa, che incontra incomprensioni da ambo le parti. “Punti nevralgici” nelle relazioni tra le due aree di civiltà (islamica ed ortodossa) rimangono la Bosnia e il Kosovo i Metohija, un territorio che ha seceduto dalla Serbia. In che modo, a Suo parere, si potrebbe cercare una soluzione per la Bosnia e per il Cossovo, sulla cui indipendenza oggi insiste tanto l’Occidente (ovvero gli Stati Uniti)?

Vojislav Kostunica ha dato una corretta definizione del Cossovo “independente”: “uno Stato fantoccio governato dalla NATO e funzionale agl’interessi militari degli USA”. La stessa definizione potrebbe valere per la Bosnia-Erzegovina, la quale, diversamente dai paesi musulmani e dalla Serbia, è rimasta vergognosamente neutrale allorché l’Assemblea Generale dell’ONU ha votato sul riconoscimento americano di Gerusalemme quale capitale del regime sionista. Se esiste una soluzione per questioni come quelle rappresentate dalla Bosnia e dal Cossovo, essa potrà essere trovata solo quando l’Europa sarà realmente indipendente ed unita, al di là delle divisioni che giovano unicamente al nemico americano.

L’alleanza tra Musulmani ed Ortodossi, auspicata da Shaykh Imran Hossein sulla base della Scrittura coranica, è fondamentale a questo proposito.


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