Il suddetto titolo si vuole porre come sostegno analitico a un’ottica sudamericana che abbiamo sviluppato per esaminare il conflitto nell’atlantico Sud, tra l’Argentina e il Regno Unito, il quale ha più di duecento anni. La novità che contraddistingue questa nuova fase del conflitto è che non colpisce solo il nostro paese, ma le sue ripercussioni nuociono l’integrazione, l’organizzazione e lo sviluppo dei paesi iberoamericani. Asseriamo ciò perché, oltre alla crisi finanziaria mondiale e le sue conseguenze economiche, il sistema formato dai paesi della Triade (USA, Unione Europea e Giappone), per conservare la loro supremazia, necessariamente abbisognano controllare le risorse energetiche, mediante l’unipolarismo o il multipolarismo o meglio, con il policentrismo, come lo definiscono i francesi. Per quanto concerne il settore energetico, la Triade è totalmente d’accordo nel controllare le risorse naturali per impedire o minimizzare la loro dipendenza dalle stesse.

Dipendenza energetica della Triade, poiché gli USA sono il principale consumatore del pianeta in materia di petrolio crudo e di prodotti derivati, con un 22,5% del consumo mondiale, l’Unione Europea con il 17,9% e Cina con il 10%. L’Europa dipende dalle risorse che importa dalla Russia, dal Medio Oriente e dall’Africa per sostentare il proprio sviluppo e il Giappone, che è il più dipendente, le importa dall’Medio Oriente, dall’Afrrica e dal sudest asiatico. Questo tallone di Achille energetico, rappresenta la causa dei maggiori conflitti bellici attuali (Iraq e Afganistan) e, sicuramente, di quelli futuri. Così come lo sono anche l’incentivazione delle guerre civili in Africa per imporre governi vicini ai loro interessi strategici. John Abizaid, generale americano, di nell’Università Stanford affermava che: “La guerra d’Iraq, ma certo che si fa per ril petrolio, è più che evidente che non possiamo ricusare ciò”.

Il conflittivo mondo d’oggi può essere inteso sotto l’ottica delle grandi domande energetiche e dal forte inalzamento del prezzo delle stesse, e che la lotta per il controllo delle stesse si sviluppa tra la Triade e le potenze emergenti, in particolare quelle del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), il fatto è che, rimanendo al margine dei tecnicismi e delle limitazioni che impongono gli accordi internazionali, l’avidità delle grandi potenze per la conquista di maggiori territori e risorse energetiche non ha limiti. Ed è da qui che ha inizio questa nuova tappa del conflitto bicentenario con il regno Unito.

America latina, ora o mai più

Mentre il conflitto mondiale e il suo riordinamento si sta sviluppando nella scacchiera instabile internazionale per accogliere il Nuovo Ordine Mondiale, America latina e i Caraibi giocano un nuovo ruolo in questa lotta globale e, dal momento che lo affermiamo, nel settore energetico l’America del Sud si è diventata una grande fornitrice. Colombia, Ecuador e Venezuela contribuiscono con il 14,63% del petrolio che importa gli stati Uniti e, dei tre, il Venezuela rappresenta il paese che possiede le più importanti riserve di petrolio del continente. Infatti, si stima che, una volta che si siano attestate le riserve della Fascia dell’Orinoco, “il paese caraibico si trasformerà nella maggiore riserva di greggio del mondo, con 313.000 milioni di barili (Arabia Saudita annovera 264.000 milioni di barili). In materia di gas naturale, se si dovessero confermare i volumi contenuti nel megagiacimento di gas recentemente scoperto, il Venezuela automaticamente scalerebbe dalla nona alla quarta posizione come maggiore riserva mondiale di questa risorsa (1). È questa la spiegazione della permanente e sistematica aggressione che soffre la Repubblica del Venezuela con l’insediamento di basi militari americane nel territorio colombiano, le quali si vanno ad aggiungere a quelle della NATO insediate ad Aruba, Curaçao, Guyana, mentre la IV Flotta naviga il “mare nostrum” caraibico per controllare il cortile posteriore, queste vicende hanno obbligato il presidente Chávez a riequipaggiare le sue forze armate e la popolazione per una lotta di tipo asimmetrico.

A tutto ciò si devono aggiungere le grandi riserve di petrolio che ha recentemente scoperto il Brasile al largo, il che ha determinato che il presidente del Brasile, Lula Da Silva, avviasse un forte sviluppo per quanto concerne il suo complesso militare tecnologico, al fine di dissuadere gli altri concorrenti e potenze che nei loro piani è previsto l’usurpazione di quelle riserve, con l’acquisto di sottomarini, uno dei quali nucleare, il che gli consente di spiegare la sua forza dissuasiva nell’Atlantico Sud e, inoltre, mediante il rafforzamento delle sue forze armate per proteggere le riserve acquifere e la biodiversità dell’Amazzonia. Questo perché la Triade ha cercato di trasformare queste risorse in “riserva dell’umanità” e, pertanto, non potrebbero essere sfruttate dai loro legittimi proprietari, gli abitanti del bacino amazzonico.

All’interno di questa strategia di controllo mondiale delle risorse s’inserisce quella della crisi delle Isole dell’Atlantico Sud e la sua grandezza marittima (350 miglie nautiche, cioè più di 500 chilometri). Nel 2007, si era giunti alla conclusione che l’Inghilterra si sarebbe riproposta nell’Atlantico Sud, per varie ragioni: primo, perché i suoi pozzi nel mar del Nord si stavano esaurendo, secondo, perché come affermava il quotidiano “The Guardian”, la nuova guerra fredda sarebbe stata con la Russia per il controllo del polo Nord e isuoi mari adiacenti, terzo, perché i prezzi internazionali del petrolio adesso sì che producevano una rendita importante e, quarto, perché l’alleanza anglosassone, USA-Inghilterra, è una alleanza strategica e serve alla loro politica di controllo delle risorse energetiche a scapito delle potenze emergenti (la dichiarazione americana di neutralità verso il conflitto è simile a quella adottata nel conflitto scorso del 1982).

Per questo l’Inghilterra ha fatto passi concreti per consolidare la sua occupazione: incrementando unilateralmente la zona di esclusione da 200 a 350 miglia nautiche, ha proseguito con il rafforzamento della sua base militare, l’ampliamento della sua pista di atterraggio e l’invio di aerei tecnologicamente più avanzati, spiegando unità navali di ultima generazione. Il regno Unito ha incluso le Malvine nel Trattato di Lisbona dell’unioe Europea come territorio di oltremare di uno stato membro dell’Unione. E, recentemente, ha trasformato la sua base militare in una base militare della NATO; una delle principali situata fuori dall’emisfero Nord. Per questa ragione, quello che è in gioco non è solo la risorsa petrolifera, ma tutto un movimento che da Nord a Sud racchiude l’America meridionale, il suo sviluppo autonomo, il controllo dell’accesso ai mari degli attuali concorrenti economici, ma che all’occorrenza possono diventare anche nemici dell’alleanza NATO.

Già nel 1975 le relazioni scientifiche informavano sulla presenza di riserve di petrolio nel sottosuolo marittimo e il giornalista Enrique Lacolla assicura: “Nel 1982 innumerevoli rapporti scientifici internazionali avevano messo in rilievo che le riserve di petrolio del bacino sedimentario che circonda le Malvine supererebbero di gran lunga quelle presenti nel Mar del Nord. La guerra, quindi, non è stata l’effetto di una saturazione etilica di Gualtieri né da uno scompenso ormonale del primo ministro Margaret Thatcher; inece è stata la manifestazione di trovare una via di uscita alla persistente impasse che l’atteggiamento inglese infondeva all’Argentina e, allo stesso tempo, l’esternalizzazione dell’astuzia e della volontà britanniche sono servite per provocare quella reazione con l’obiettivo di comminargli alla questione un taglio favorevole”. (2)

Oggi, un’Argentina indebolita dalla sconfitta del 1982, senza un dispositivo di difesa che si possa chiamare tale, priva di un complesso industriale-tecnologico-militare, ha poche possibilità per opporsi a questo nuovo saccheggio delle sue risorse, e che è bene ricordare, è un saccheggio che nella parte continentale si svolge attraverso il modello agrominerario di sfruttamento primario che ci è stato imposto dalle multinazionali della Triade sin dal 1976 e che solo si può ricorrere a porre dei limiti verso quelle aziende che operano con le ditte che estraggono petrolio nelle Malvine e che hanno sede in Argentina.

Il petrolio è un passo ulteriore del conflitto, sicuramente nuovi pericoli e sfide per gli interessi nazionali s’insedieranno a breve termine come il tema della sovranità nel mare argentino e la sua proiezione sull’Antartide da parte dei britannici.

L’alternativa che possiede l’Argentina è quella della lettera di approfondimento dell’integrazione, in particolare con paesi come il Brasile, il Venezuela e l’Uruguay per proteggere il fronte marittimo e invitare agli stessi a sfruttare le risorse minerarie energetiche nella nostra area dove la sovranità non è in discussione. L’Argentina e l’America meridionale sono dotate di ipotesi di conflitto per evitare il saccheggio delle risorse naturali. L’Argentina deve costantemente insistere nei fori regionali sulla gravità della base militare nelle Malvine, in quanto minaccia continentale.

In quest’impresa dovrebbe partecipare anche il Cile per rafforzare le organizzazioni continentali come il MERCOSUR e l’UNASUR; continuare a pressionare il regno Unito, mediante il Gruppo di Rio e i paesi dei Caraibi, per raggiungere un negoziato, come recentemente è accaduto nel summit di Cancun, dove sono stati riconosciuti i legittimi diritti sovrani del paese delle isole dell’Atlantico Sud. Questa è una politica di Stato. La società argentina affinché possa avere un futuro pronosticabile e non dettato dai gruppi di potere mondiale, deve iniziare un processo di dibattito strategico su un modello di apese che includa i suoi cittadini, difenda l’interesse nazionale, protegga e sfutti le proprie risorse naturali, spingendo quello liberista e predatore che ci è stato imposto. I tempi che corrono, così ce lo esigono, e anche la nostra sopravvivenza. Perché ora sono giunti per portarsi via tutto – America latina ora o mai più.

(Traduzione di Vincenzo Paglione)

* Carlos A. Pereyra Mele è un politologo argentino membro del Centro de Estudios Estratégicos Suramericanos. “Eurasia” ha pubblicato i suoi saggi Difesa nazionale e integrazione regionale (nr. 3/2007) e La guerra infinita in America (nr. 4/2008).

Note:

(1) Federico Bernal: La clave está en Caracas, Le Monde Diplomatique, enero de 2010.

(2) Dall’Afganistán alle Malvine, Enrique Lacolla.


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