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XXIII – Geopolitica e Costituzioni

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Una lettura geopolitica degli ordinamenti costituzionali dimostra che le Carte fondamentali degli Stati non egemoni sono sostanzialmente assimilabili alle Costituzioni “concesse”. Nella transizione dalla fase unipolare a quella multipolare occorre formulare nuovi paradigmi costituzionali articolati su base continentale.

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DOSSARIO: GEOPOLITICA E COSTITUZIONI

In una società degli Stati e dei popoli, la condivisione di principi e valori universali contenuti nelle Carte Fondamentali e negli Statuti delle organizzazioni sovranazionali diventano le regole sulle quali si svolge il disegno di un ordine mondiale definito, misurabile nelle dinamiche e disciplinabile nei modi di agire di ogni singolo attore. La collocazione internazionale di uno Stato, il ruolo politico che intenderà giocare come protagonista nella comunità internazionale non potrà che essere espressione, allora, non solo della sua cultura giuridica ma dell’accettare di agire in una comunità politica che si costituzionalizza man mano in un’ottica di universalità del diritto e dei diritti.

Nel presente articolo sono evidenziati i rapporti tra diritto costituzionale e geopolitica. Nel caso specifico del Brasile, il diritto costituzionale attraversa una delle fasi più delicate della sua evoluzione, posto che i principi d’ordine politico liberale mirano a sottrarre alla Costituzione la propria forza normativa a garanzia del benessere e dello sviluppo della collettività locale. Il diritto costituzionale nel mondo postmoderno non può rimanere lontano dalla realtà internazionale che lo circoscrive senza che gli sia assegnato un corretto ruolo di controllo nella protezione dei diritti fondamentali. La Costituzione è dinamica e aperta e deve servire da fondamento materiale per l’elaborazione delle politiche pubbliche all’interno dello Stato Costituzionale di Diritto.

I rapporti di forza internazionali determinano spesso una ricaduta sul piano costituzionale interno dei Paesi carenti di effettiva sovranità. Le cosiddette “guerre di Liberazione” intraprese dalla superpotenza statunitense costituiscono un esempio probante di tale fenomeno: alcune disposizioni costituzionali conformi a tale orientamento figurano nelle Leggi Fondamentali di Italia, Germania, Austria, Giappone, Kosovo, Afghanistan, Iraq, quasi come richiamo e ombra di una più generale occupazione culturale ed economica, dopo e oltre quella militare.

Gli Stati Uniti hanno riscritto la costituzione dei popoli vinti nella Seconda Guerra Mondiale. Negli ultimi due decenni, tuttavia, Washington è riuscita a ristrutturare totalmente gli Stati vinti economicamente e politicamente attraverso un processo di de-centralizzazione e grazie alla legalizzazione della tutela straniera sulle loro strutture politiche e sulle loro economie nazionali. Dalla ex Jugoslavia in Afghanistan e in Iraq, questo processo è andato di pari passo con la guerra e un’immediata ed estesa presenza militare straniera. A tale riguardo le nuove costituzioni nazionali di questi paesi sono state al centro del processo ed hanno aperto la porta per l’integrazione di questi Stati nella costruzione dell’ “impero” di Washington.

Quello che segue è il discorso tenuto al Parlamento tedesco dal deputato socialdemocratico Carlo Schmid l’8 settembre 1948. In esso si toccano i seguenti temi: Che cosa significa “Costituzione”? Che cosa è uno Stato? La situazione della Germania. L’ingiustizia della divisione. Accenno al processo di Norimberga. Il Reich tedesco sopravvive. Il dominio straniero è contrario al diritto delle genti. I vincitori hanno bloccato la sovranità popolare. Non esiste un popolo dello Stato della Repubblica Federale. L’assemblea nazionale tedesca. Un imperativo. Le condizioni dei vincitori. La Legge fondamentale non è una Costituzione. La Costituzione del Reich tedesco non può derivare dalla Legge fondamentale. Nessun riconoscimento della divisione del territorio: è una questione d’onore. L’unità deve essere spezzata con la forza.

L’Ostpolitik del Cancelliere Brandt, che prese l’avvio in seguito all’arrivo della SPD al governo e si sviluppò tra il 1969 e il 1982, perseguì l’obiettivo della riunificazione tedesca. I dirigenti tedesco-occidentali ritenevano che l’atteggiamento aggressivo dell’Occidente avesse indotto gli Stati dell’Est a mostrarsi aggressivi a loro volta nei riguardi dell’Occidente. Essi pensavano che, se la politica di forza fosse stata sostituita da una politica di dialogo, la “distensione” tra gli Stati dell’Est e dell’Ovest avrebbe portato ad una “distensione” tra lo Stato e la società ad Est, dunque all’apertura delle frontiere e quindi al superamento dello statu quo. Ma per superare lo statu quo, bisognava cominciare col riconoscerlo. Un’URSS diventata sicura nel suo impero sarebbe stata incline alla distensione e all’apertura. Così l’Ostpolitik fu una politica “idealista” nei metodi (la cooperazione), “realista” rispetto ai destinatari (i governi), “conservatrice” nelle sue modalità a breve termine (la stabilizzazione), “rivoluzionaria” nei suoi obiettivi a lungo termine (il superamento della divisione).

La Bosnia-Erzegovina è il principale e il più esteso – geograficamente e storicamente – esperimento di ingegneria politica internazionale, un progetto pilota di creazione di uno Stato dall’esterno. Nel corso degli ultimi 15 anni un complesso consorzio di Agenzie internazionali sostenute dai governi occidentali ha tentato di trasformare un territorio post-bellico devastato ed etnicamente partizionato in uno Stato multietnico, democratico ed economicamente stabile. L’attuale impasse politico ed istituzionale del paese ha messo in luce la fallacia della strategia usata, benché essa abbia permesso di uscire da un’imbarazzante guerra e garantire alla Bosnia un futuro europeo.

L’arresto dell’ex Generale serbo-bosniaco Ratko Mladic sancisce, simbolicamente, la fine del capitolo giudiziario inaugurato dal Tribunale dell’Aja, destinato a lasciare il posto ad una nuova macchina burocratica transnazionale più moderna ed efficace: Rekom. Anche se cambiano gli strumenti, i fini rimangono gli stessi: condizionare pesantemente la sovranità nazionale degli Stati balcanici e mantenere i territori appartenenti all’ex Jugoslavia sotto il controllo della NATO e dell’alta finanza internazionale. I diritti umani e la giustizia internazionale al servizio degli obiettivi geopolitici atlantisti.

L’articolo si apre con la constatazione che l’Italia è un Paese a sovranità limitata, condizionato nella sua esistenza da forze esterne e ostili, sicché le classi politiche che si succedono, per quanto corrotte e incompetenti, non possono e non vogliono risolvere i tanti problemi che da decenni lo affliggono. Vengono quindi elencate le prove di tale sudditanza dell’Italia, l’ultima e più plateale delle quali è l’aggressione alla Libia: tale aggressione, alla quale l’Italia partecipa obtorto collo, è contraria ai nostri stessi interessi nazionali. L’autore indica successivamente le cause di tale sudditanza e identifica le forze esterne condizionanti negli USA e nella NATO. La nostra impotenza attuale, che inizia con la sconfitta del 1945 e la perdita dello statuto di Stato sovrano, è da addebitare ai vari trattati di pace (in parte segreti) firmati con gli Alleati, nonché ai successivi accordi bilaterali (anche questi segreti) tra Italia e Stati Uniti.

La mancanza di sovranità nazionale, evidenziata dalla presenza delle basi USA/NATO sulla nostra penisola, impedisce alla Sicilia di svolgere quel ruolo di piattaforma degli scambi e delle relazioni tra i popoli del Mediterraneo che la sua posizione geografica le consentirebbe. Come portaerei atlantista sul Mediterraneo, la Sicilia rischia invece di diventare l’imbuto delle tensioni e delle frustrazioni che scaturiscono dagli interventi militari condotti in nome della “guerra al terrorismo” e dell’ “ingerenza umanitaria”.

Il 25 aprile scorso, giorno di Pasquetta, il “Magyar Közlöny” (la gazzetta ufficiale ungherese) ha pubblicato il testo della nuova “Legge fondamentale dell’Ungheria” (Magyarország Alaptörvénye), firmata in quello stesso giorno dal Presidente della Repubblica Pál Schmitt e approvata dal Parlamento di Budapest lunedì 19 aprile. Scegliendo il Lunedì dell’Angelo per pubblicare il testo della nuova Costituzione, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2012, si è voluto collegare tale evento con la festa cristiana della Resurrezione.

Negli ultimi tre decenni, la Repubblica Popolare Cinese ha adottato politiche e misure che, modificando fortemente la struttura socioeconomica del paese, hanno inaugurato una fase di costante crescita economica. La Cina rappresenta oggi un interessante mercato in  crescente espansione in cui il turismo costituisce uno dei fulcri centrali dell’industria nazionale. Il mercato turistico cinese rappresenta una grande opportunità per l’Europa e per il sistema di offerta italiano in particolare. L’articolo analizza i dati, i ritmi di sviluppo, le tendenze, i profili dei turisti cinesi, individuando criticità e opportunità.

L’Autore intende mostrare come il programma adottato dalla Germania in seguito all’ascesa delle grandi imprese nell’economia politica globale, trovi le sue basi nell’Occidente anglofono del Nordatlantico e nella sua eredità liberale lockiana. Egli ricerca le diverse caratteristiche di questa eredità, che ha consentito al capitale di costituirsi come forza sociale transnazionale ed analizza le incompatibilità strutturali che hanno ostacolato l’integrazione dell’Unione Europea all’interno del più ampio “Occidente” e continueranno ad ostacolarla. L’Autore individua nel cuore dell’Unione Europea una “discrepanza costituzionale”: da un lato, la contraddizione tra un neoliberismo organicamente sviluppato nel contesto dello heartland lockiano e la tradizione dello Stato contendente che ha guidato per secoli lo sviluppo europeo continentale; dall’altro, il relativo vantaggio dell’Europa settentrionale rispetto ai paesi dell’Europa meridionale.

L’operazione Iraqi Freedom che ha abbattuto il regime del Ba‘th di Saddam Husayn ha posto il problema della ricostruzione successiva. Mentre il paese conosceva una disastrosa guerra civile ed una rivincita dei settori della società in precedenza oppressi, le operazioni di State-Building si svolgevano sotto la direzione delle forze occupanti e con una quasi totale assenza delle agenzie internazionali. L’architettura costituzionale che n’è risultata ha acceso un dibattito politico ed accademico, in merito alla genuinità della forma federale che la nuova Repubblica irachena ha assunto. Se da un lato questo principio è stato invocato al fine di garantire l’uguaglianza di tutti i cleavages, dall’altro le istanze autonomiste hanno dato luogo ad un organismo che in alcuni casi può apparire come nient’altro che la somma delle sue parti. Inoltre la scarsa partecipazione dei sunniti alle negoziazioni ha suscitato diversi interrogativi circa la reale legittimità della Costituzione approvata nel 2005.

La Costituzione indiana trasse ampia ispirazione da vari modelli occidentali ed in particolare anglosassoni, e fu inevitabilmente influenzata dalla struttura del Commonwealth britannico, che mirava a mantenere la supervisione della Corona sui territori dell’Impero, come dominî o regni associati. L’India accettò con riluttanza uno statuto ibrido in qualità di repubblica membra del Commonwealth che affermava princìpi socialisti, la volontà di agire da guida dei paesi decolonizzati e di costruire una Terza Forza che lottasse per la pace tra i due blocchi avversari della Guerra Fredda, discostandosi così dagl’interessi britannici e atlantici. Sin dall’Indipendenza la Costituzione è evoluta adottando vari elementi indigeni e modificando il preminente carattere legislativo angloamericano.

Nell’Atene del V secolo a. C. non esistette ovviamente una “Costituzione” nel senso che tale termine ha oggi in relazione allo Stato di diritto, vale a dire una carta di norme fondamentali intese a garantire gli ordinamenti politici ed a stabilire i diritti e i doveri dei cittadini. L’opera di Aristotele che viene comunemente intitolata “Costituzione degli Ateniesi” è in realtà un trattato che, dopo aver esaminato la storia di Atene sotto il profilo dei cambiamenti politici, descrive il sistema così come si presenta all’epoca dell’Autore. Se il capitolo 23 di quest’opera aristotelica presenta un certo interesse sotto il profilo geopolitico, ancor più marcato da una tale prospettiva è l’omonimo scritto pervenutoci assieme al corpus senofonteo, perché riconduce la “costituzione degli Ateniesi” e il regime democratico ad una causa eminentemente geografica: la vicinanza del mare.

L’articolo descrive il punto di vista giuridico applicato alle prigioni statunitensi in territori occupati o non facenti parte dello Stato nordamericano. In particolare si sofferma sui casi di Guantanamo e Bagram, ne analizza la giurisprudenza e l’interpretazione e manipolazione delle sentenze ad opera del potere politico. Le corti di appello e la Corte Suprema degli Stati Uniti hanno, con alcune sentenze, riconosciuto l’estensione della Costituzione e delle norme internazionali che regolano il trattamento dei detenuti anche alle prigioni di Guantanamo e Bagram, ma le autorità statunitensi continuano a rifiutarsi di applicare tali norme giuridiche, compreso l’habeas corpus, comparando l’Afghanistan o Cuba, alla Germania occupata dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale o ad altri casi precedenti dove la prassi e la giurisprudenza, nel passato, hanno di fatto avvallato il rifiuto dell’applicazione di qualsiasi elementare diritto, compresi quelli derivanti dai trattati internazionali, da parte delle Autorità nordamericane.
La Carta del Carnaro, che Gabriele d’Annunzio promulgò l’8 settembre 1920 in una delle fasi più “rivoluzionarie” del periodo in cui ebbe i pieni poteri a Fiume, è stata a lungo ritenuta una composizione poetica aulica e barocca del poeta abruzzese, invece si tratta di un documento concepito soprattutto da Alceste De Ambris, sindacalista rivoluzionario che vi traspose concetti giuridici all’avanguardia per i tempi e che si rifacevano al filone repubblicano e mazziniano del Risorgimento italiano. Il federalismo, la riorganizzazione del lavoro attraverso le corporazioni per evitare l’annichilimento dell’individuo, i nuovi diritti che vi si prospettavano ed i compiti dello Stato, tutto in questo documento, di cui fin da principio i suoi estensori sapevano che poco sarebbero riusciti a realizzare nel contesto fiumano, voleva essere soprattutto un esempio per i popoli usciti dalla temperie della Grande Guerra per rispondere alle loro istanze sociali.

CONTINENTI

Il continuo deterioramento, negli ultimi due decenni, della situazione politico-sociale in Somalia ha dato luogo ad un fenomeno dalle dimensioni crescenti e dalle conseguenze imprevedibili e difficilmente controllabili: si tratta della fuga da parte di migliaia di cittadini somali verso i Paesi africani confinanti e verso le coste dello Yemen, attraverso il Golfo di Aden. Questo flusso incessante coglie impreparato il Governo yemenita e favorisce, suo malgrado, i contatti tra militanti di gruppi armati islamisti somali e yemeniti, nonché attività di traffico internazionale e di sfruttamento di esseri umani, coinvolgendo a vari livelli attori locali, regionali e internazionali. La questione si configura attualmente come una delle crisi umanitarie più gravi al mondo.

Un teatro caldissimo. E a settanta miglia nautiche dalla costa un nuovo motivo di contesa tra Libano e Israele. Un motivo da miliardi di dollari. Tel Aviv ha investito tempo e risorse per garantirsi una indipendenza energetica fondamentale per la sua sopravvivenza. E non cederà tanto facilmente alle pretese libanesi. La legge nazionale per lo sfruttamento delle risorse petrolifere catapulta il Libano sulla scena come un attore non più disposto a subire passivamente lo strapotere dell’ingombrante vicino, ma deciso a far valere le sue ragioni, forte dello storico supporto francese e tedesco ma anche della mutata linea politica statunitense nell’area, che vede nel rafforzamento della leadership economica e politica libanese una chiave di volta nel processo di stabilizzazione dell’area e nella contemporanea eliminazione o ridimensionamento di Hizballah.

Per “internazionalizzazione” si intende il fenomeno che riguarda specificatamente l’attività di impresa oltre i confini nazionali. L’analisi della dinamica delle variabili interne ed esterne all’impresa rappresenta il punto di partenza per la comprensione del modo in cui questa può porsi o si pone rispetto ai suoi interlocutori internazionali. Se non capito e gestito, come per lo più è avvenuto in questi anni, il fenomeno della globalizzazione può avere tra suoi effetti conseguenze devastanti, soprattutto per le economie occidentali sviluppate, quella italiana compresa.

INTERVISTE

Tair A. Mansurov è segretario generale della Comunità Economica Eurasiatica (EvrAzES). Politologo, studioso dei rapporti russo-kazaki, è stato ambasciatore del Kazakistan nella Federazione Russa.

Antonio L. Palmisano è professore associato in Antropologia culturale ed in Antropologia politica all’Università degli Studi di Trieste, corso in Scienze internazionali e diplomatiche. Tra la fine del 2002 e l’inizio del 2004 ha operato in Afghanistan come “Senior advisor” per la riforma giudiziaria all’interno del programma “Rebuilding the Justice System”, assegnato al Governo italiano dagli Accordi di Bonn del 5 dicembre 2001.

DOCUMENTI E RECENSIONI

A. Carandini, La leggenda di Roma (Claudio Mutti)

N. Irti, Norma e luoghi (Giacomo Guarini)

P. Longo e D. Scalea, Capire le rivolte arabe (Giacomo Guarini)

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