Il 2009 è stato l’anno delle elezioni amministrative nel regno del Marocco. Oltre 29 i partiti candidati, poco più di 7 milioni di votanti con un tasso di partecipazione del 52,4%. Gli eletti sono stati più di 27000, tra i quali più di 3000 donne, che hanno visto per la prima volta, per legge, una quota di posti a loro riservata del 12%. Infatti le scorse elezioni hanno visto la vittoria, per la prima volta nella storia, di una donna come sindaco di Marrakech.

Zahra Mansouri, 33 anni, ha battuto il primo cittadino uscente Omar Jazouli nella votazione svoltasi nel Consiglio municipale. Il nuovo sindaco è stato eletto nelle file del Partito per l’autenticità e la modernità (PAM), che è stata una vera e propria rivelazione, ottenendo ben 6015 dei 27000 seggi in palio.

Il PAM è nato nell’agosto del 2008 dalla fusione di cinque partiti: Al-ahd, il partito per l’ambiento e lo sviluppo, il partito per le libertà ed, il partito per lo sviluppo civile. Il nuovo partito è stato fondato su iniziativa dell’ex ministro Ali El-Himma, molto vicino al giovane re Mohammed VI in carica dal 1999.

Il PAM ha superato, diversamente da ogni aspettativa, lo storico partito conservatore Istiqlal, che insieme al socialisti dell’ USFP e del PS, ai centristi dell’RNI, guida l’attuale coalizione di governo.

Fondato nel dicembre 1943, il Partito dell’indipendenza (PI), ha giocato un ruolo fondamentale sulla scena politica marocchina lottando per l’indipendenza  del paese.  Nel 1956, raggiunta l’indipendenza, il partito si muove nell’ala dell’opposizione alla monarchia di re Hassan II e prende parte a varie coalizioni di governo. Nel 1998 , insieme all’USFP e al PPS, da vita alla prima esperienza politica nel mondo arabo in cui l’opposizione assume il potere attraverso il ballottaggio. Nel 2007 conquista la maggioranza dei seggi in Parlamento e il leader del partito Abbas El Fassi viene eletto Primo Ministro. Di ideologia monarchico-nazionalista e conservatrice, è difensore dell’Islam, ma anche membro dell’Internazionale Democratica di Centro.

Braccio di ferro tra media e politica

Nonostante la cornice multiforme del pluripartitismo e la riforma costituzionale del 1996, che prevede un’estensione dei poteri del Parlamento, quelli del sovrano risultano molto estesi: egli è al tempo stesso leader politico, garante e difensore della fede e capo dell’esercito, presiede il Consiglio dei Ministri e nomina i membri del governo.

A gli inizi degli anni ’90, il Paese aveva mosso i primi passi verso varie riforme in senso democratico. Il re Hassan II aveva concesso aperture sul piano economico e politico. Con l’insediamento di Mohammed VI, nonostante le speranze del popolo, non si è mai dato spazio a un vero e proprio dibattito pubblico e vige una forte restrizione alla libertà di stampa.

Un segno di apertura verso la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero si è avuto durante l’incontro, che si è tenuto nel marzo del 2004 a Beirut , e a cui hanno preso parte 52 organizzazioni rappresentative di 13 paesi arabi. Durante il summit  si è discusso per limitare la censura dei media audiovisivi e della stampa; ridurre il potere delle istituzioni religiose e proibirgli di monitorare la politica, la letteratura e l’arte; riformare le legislazioni arabe, in particolare le leggi che contrastano la libertà di espressione, di informazione e il diritto alla conoscenza;  porre fine al controllo dello stato sui media. [1]

In effetti a seguito di tale incontro ci sono stati dei miglioramenti alle condizioni dei media, in particolare in Egitto, in Giordania e appunto in Marocco. Le pene per chi critica su mezzo stampa  il re, i ministri e l’esercito, sono state limitate ma non sono state abolite in nessun paese.

In Marocco come per la stampa, la situazione non è migliore per la radio e la televisione che hanno visto solo una parziale liberalizzazione. Per cui rimane il divieto di trasmettere programmi  che mancano di rispetto ai valori religiosi,  che possano provocare disordine pubblico o fomentare astio verso i principi fondamentali del regno.

Il canale televisivo nazionale, principalmente in lingua araba, è la RTM (Radio diffusion Television Marocaine) che trasmette programmi di informazione, cultura e intrattenimento.

Esiste anche una televisione privata: 2M che trasmette anche programmi di altri paesi sia sportivi, sia culturali e turistici. Infine è stata creata una televisione pubblica satellitare, Maghribya che ha lo scopo di promuovere l’immagine del regno del Marocco.

Per quanto riguarda la radio, ASW AT e Radio2 sono “generali”, mentre ci sono radio “a tema” come ATLANTIC che si occupa di economia, HIT RADIO, rivolta a un pubblico giovane, CAP 4 che si parla dei problemi del nord del paese, mentre per quelli del sud c’è RADIO SUD. Infine è da ricordare Radio Sawa, nata su pressione di Washington e che trasmette in inglese.

Emblematico è stato il caso di censura della sede di alJazeera a Rabat. Il 29 ottobre scorso è arrivata di colpo la notizia che le autorità marocchine avevano deciso di sospendere le trasmissione della rete televisiva e di ritirare l’accredito dei giornalisti. Il provvedimento è stato motivato sostenendo “la violazione del giornalismo serio e responsabile” più di una volta da quando la rete ha iniziato le sue emissioni in Marocco. Le parole sono del primo ministro El-Fassi.

Ma che cosa viene rimproverato specificamente a al-Jazeera? “Il trattamento irresponsabile riservato alle vicende marocchine, cosa che ha alterato l’immagine del Marocco e pregiudicato i suoi superiori interessi, prima di tutto la questione dell’integrità territoriale”, fa sapere il ministro della comunicazione Acharri. In poche parole: “Il Marocco non è mai stato soddisfatto di come il canale di Doha ha trattato le vicende che lo riguardano. La censura definitiva ha coronato una serie di misure restrittive prese già da qualche mese nei confronti della rete: il rifiuto di rinnovare l’accredito a due giornalisti (attualmente in causa con lo Stato davanti al tribunale amministrativo) l’imposizione della necessità di autorizzazioni speciali per lavorare fuori Rabat.

Facciamo un breve flashback nella storia delle rete. Nel novembre 2006, Nabil Benabdellah, all’epoca ministro della comunicazione, dava il via libera al canale del Qatar per cominciare a irradiare il Journal du Maghreb da Rabat. Dopo un inizio per così dire pacifico, Il canale “ribelle” non è venuto meno alla sua reputazione e ai suoi orientamenti conservatori. Durante le elezioni legislative del 2007al-Jazeera riservò un trattamento di favore agli islamisti del PJD. La rete ha continuato con le sue “provocazioni”, che hanno raggiunto il parossismo con gli attentati terroristi di Casablanca del 2007. Lo stesso è accaduto per gli avvenimenti di Sidi Ifni del 2008. al-Jazeera annunciò otto, poi dieci morti tra i manifestanti. Dopo un momento di esitazione, un comunicato ufficiale ha smentito queste cifre. Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata quasi sicuramente la trasmissione di Maa Haikal, che metteva in cattiva luce il Marocco di fronte a tutto il mondo.

Circa la situazione in cui verte la stampa marocchina,  mercoledì 27 gennaio 2009 la monarchia marocchina ha ordinato la chiusa del settimanale ”Le Journal Hebdomadaire, una delle più autorevoli voci critiche del paese, fondato nel 2006 da Abubakr jamai. Il verdetto del processo è pesante: Aoufiq Bouachrine, direttore del giornale, e Khalid Gueddar, caricaturista, sono condannati a quattro anni di carcere e 5 mila euro di multa, oltre a un risarcimento di 270 mila euro da versare al Principe Moulay Ismail. A scatenare questo inferno una caricatura che ritrae il cugino del Re, pubblicata dal quotidiano nel numero del 28 settembre 2008. Il disegno, secondo la giustizia marocchina, ha violato l’articolo 41 del codice della stampa e l’articolo 267 del codice penale. I due giornalisti sono ritenuti colpevoli di mancato rispetto ad un membro della famiglia reale e di oltraggio alla bandiera nazionale. Il tribunale di Ain Sebaa ha anche decretato la chiusura definitiva del giornale, dopo che i suoi beni erano già sotto sequestro da trentatre giorni per ordine del Ministro dell’Interno.

Il giornale non era finanziato da nessun partito, sopravviveva grazie a qualche raro annuncio pubblicitario e alla professionalità dei suoi giornalisti che non sono mai scesi a compromessi.

La censura definitiva del “Le Journal Hebdomadaire”, non è di sicuro la prima nel paese, ne probabilmente sarà l’ultima. Nel 2000 il Ministero dell’Interno ordina la chiusura definitiva di “Assahifa”, “Le Journal” e “Demain”. Sotto accusa due tra le voci più critiche della stampa marocchina Jamai, al tempo direttore di Assahifa e capo-redattore a Le Journal, e Ali Lmrabet, direttore di Demain. Nello 2001 il giornale di Jamai era stato già protagonista di uno scandalo. Infatti era stato coinvolto in un processo per diffamazione dopo che la testata aveva rivelato un affare di corruzione a carico anche del  ministro degli affari esteri. Nel 2003 è entrato in vigore il codice sulla stampa, che si è rivelato essere un passo indietro rispetto alle norme che regolavano fino a quel momento la libertà di stampa in Marocco. Nello stesso anno Ali Lmrabet è stato condannato a tre anni di reclusione per oltraggio al Re, attacco all’integrità territoriale e al regime monarchico. La sua nuova rivista “Doumanescompare dalle edicole. Graziato nel 2004, Lmrabet finisce di nuovo sotto processo nel 2005. La sentenza: divieto di esercitare l’attività giornalistica per dieci anni all’interno dei confini nazionali. Nell’agosto dello stesso anno il settimanale Tel Quel” è accusato di diffamazione e condannato a pagare 100 mila euro di ammenda, mentre nel 2007 un numero della stessa rivista finisce sotto sequestro per la presenza di un articolo irrispettoso nei confronti del Sovrano. In totale, secondo una stima fatta da Reporters sans frontières, dal 1999 ad oggi, i verdetti pronunciati dalla giustizia marocchina hanno inflitto ai media indipendenti quaranta anni di carcere e oltre un milione di euro, tra multe e risarcimenti.

L’ultimo giornale a cadere vittima delle autorità marocchine, anche se questa volta un po’ più indirettamente è stato “Nichane”, che ha dovuto chiudere i battenti il primo ottobre scorso a seguito di insormontabili problemi finanziari. Motivo: i boicottaggi finanziari dei pubblicitari strettamente legati al regime.

Un regime al quale le posizioni di Nichane non sono mai piaciute, tanto più che esse si esprimevano in una lingua accessibile a tutti (l’arabo). Tra settembre 2008 e settembre 2010, il boicottaggio ha provocato al giornale la perdita di quasi l’ottanta per cento dei suoi introiti pubblicitari. Nichane non è sopravvissuto.
Se l’assassinio di Nichane ha innegabili ragioni politiche, bisogna riconoscere che nessuna legge è stata violata. Nulla obbliga gli inserzionisti ad acquistare spazi pubblicitari in un giornale. Se questo giornale vende bene (nel caso di specie Nichane era il n. 1 della sua categoria), gli inserzionisti che lo boicottano si privano di un’ esposizione ottimale e dell’opportunità di raggiungere il maggior numero di clienti. Sono liberi di farlo, per quanto la cosa sia irrazionale dal punto di vista economico. Ma è una loro scelta, la politica ha delle ragioni che la razionalità economica ignora.

Con una redazione formata da giovani giornalisti, i temi audaci del giornale si susseguivano con ritmo incalzante: “La sessualità nella cultura islamica”, “I Marocchini, l’alcol e l’ipocrisia”, “L’obbligo del matrimonio”, “Legalizzazione della cannabis: apriamo il dibattito”, e molti altri. Ogni tabù infranto portava nuovi lettori, nuovi sostenitori, e nuovi nemici irriducibili, che accusavano il magazine di: “combattere i valori religiosi e tradizionali che sono alla base dell’identità marocchina”.

Conclusioni

In apertura dell’articolo si è parlato delle scorse elezioni amministrative e in particolare dell’elezione come sindaco di Marrakech di una donna. Il caso del Marocco è emblematico in tal senso, dato che in pochi anni il numero delle donne, non solo in politica, ma nelle istituzioni in generale, è passato da 127 a 3428. Ciò ha cambiato radicalmente il modo di fare politica e ha incrementato azioni di economia che agevolano le donne, anche per lo sviluppo di attività commerciali.

Alla fine la parità è anche una questione di numeri. Oggi in Marocco le ministre “con portafoglio” sono cinque, in Italia solo due. Questi dati però rendono più chiara l’enorme contraddizione che affligge il regno del Marocco. Da un lato l’apertura verso le pari opportunità tra uomini e donne, dall’altro la chiusura verso uno dei diritti basilari di una democrazia cioè la libertà di espressione e manifestazione del proprio pensiero.

È lecito domandarsi fino a che punto le due cose riusciranno a convivere pacificamente all’interno della stessa realtà, e quale delle due avrà la meglio sull’altra.


[1] Per visionare il documento completo si rimanda al sito www.cihrs.org

*Oriana Costanzo è studente in Scienze politiche e della comunicazione (Università LUISS di Roma)

Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’Autrice e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”


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