Sono passati oltre trent’anni da quando Robert Mugabe, dopo anni di lotta contro l’apartheid e lo sfruttamento coloniale, si è instaurato per la prima volta alla guida dello Zimbabwe, fresco di indipendenza. Dal 1980 ad oggi la vita politica del Paese è dominata esclusivamente dalla sua persona, sette mandati consecutivi, l’ultimo ottenuto pochi mesi fa in seguito a contestate elezioni da parte del suo rivale e dei Paesi occidentali. Ciò che lo porta ad essere amato da alcuni lo rende inviso ad altri: è infatti malvisto da buona parte del mondo occidentale, il quale non digerisce le politiche anti-imperialiste – riforma agraria in primis – ma soprattutto il fatto di aver rivolto lo sguardo a est, verso la Cina, per aiuti economici e accordi commerciali, in particolare per quanto concerne lo sfruttamento delle miniere. Eroe nazionale o dittatore? Il dibattito è aperto.

 

 

 

Le origini: la lotta politica per l’indipendenza. Era il 1980 quando il regime di apartheid di Ian Smith veniva smantellato e l’ex colonia britannica della Rhodesia del Sud otteneva l’indipendenza, divenendo Zimbabwe. Uno dei grandi leader della rivolta anti-colonialista era l’allora 66enne Robert Mugabe, che divenne il primo capo di governo dello Stato africano. In un Paese in cui vigeva una segregazione razziale non diversa da quella sudafricana, Robert Mugabe venne incarcerato dal 1964 al 1974 per le sue azioni anti-governative. Una volta libero, emigrò per poi tornare in patria per combattere ancora una volta l’abolizione dell’apartheid, divenendo un vero e proprio eroe nazionale. Nonostante i numerosi anni al potere e le forti critiche che circondano la sua figura, l’affetto di una buona parte del popolo zimbabwese è ancora saldo proprio in virtù del ruolo decisivo e determinante che Mugabe ebbe per l’indipendenza nazionale, tanto da essere considerato un simbolo della lotta contro l’apartheid.

 

I primi anni di potere. Dopo un primo decennio di potere segnato dalla prudenza, dove nonostante l’ideologia socialista di Mugabe non ci furono né nazionalizzazioni né esperimenti socialisti in campo economico, la situazione cominciò a cambiare durante gli anni ‘90. Prima di allora Mugabe aveva lasciato inalterato l’inquadramento bianco dell’esercito, mantenendo al loro posto gli agenti bianchi dei servizi di informazione e di sicurezza. Inoltre, accettò di inserire dei ministri bianchi nel suo governo e venti seggi parlamentari vennero riservati ai bianchi.

Nonostante tutto questo, però, il tentativo di riconciliazione fallì miseramente, anche di fronte all’ostilità inglese. I britannici, infatti, finanziati dalla comunità del Sudafrica, tentarono più volte di togliere di mezzo Mugabe. Non riuscendoci con vari attentati, alimentarono le ostilità all’interno del governo, finanziando fino ai giorni nostri i suoi oppositori: Nkomo, Edgar Tekere e, più recentemente, Morgan Tsvangirai e il suo Movimento per il cambiamento democratico, uscito sconfitto dalle elezioni di luglio.

 

La riforma agraria. A partire dalla riforma costituzionale del 2000 cominciò la temuta, da parte dei coloni bianchi, riforma agraria. Dopo aver atteso diversi anni poiché gli accordi di Lancaster House impedivano di modificare lo status quo, il governo zimbabwese cercò la mediazione, proponendo ai latifondisti britannici di acquistare lui stesso le fattorie ad un prezzo negoziato. Di fronte al rifiuto di questi ultimi, Mugabe irrigidì poco a poco le sue posizioni e alla fine decise di mandarli via rimborsando niente altro che le infrastrutture che avevano costruito loro stessi.

All’epoca dell’indipendenza, nel 1980, più del 70% delle terre coltivabili era in mano a poche migliaia di proprietari terrieri bianchi. Per correggere questa stortura derivante dal periodo coloniale, il nuovo governo di Mugabe redistribuì le terre a favore della popolazione locale, a fronte di circa 6 mila precedenti proprietari bianchi si sostituirono circa 245 mila zimbabwesi1.

Da questo momento le relazioni fra Gran Bretagna e lo Zimbabwe non saranno più le stesse. Una sorta di guerra fredda, nella quale Mugabe sentiva di farsi promotore non solo delle rivendicazioni nazionali, ma di tutto il continente: “La nostra causa – disse – è la causa di tutta l’Africa e di ogni Africano”.

Se questa riforma abbia avuto ripercussioni favorevoli o meno sull’economia nazionale non c’è accordo fra gli studiosi: da una parte chi sostiene che essa si sarebbe rivelata come uno spinoff positivo per il settore primario, come sostenuto in un recente libro da parte di alcuni analisti2,  dall’altra chi invece sostiene che i benefici derivanti dalla redistribuzione terriera sarebbero limitati ai soli fedelissimi di Mugabe, che si sarebbero dunque sostituiti ai vecchi coloni bianchi. Inoltre, si ribatte soprattutto che i nuovi proprietari terrieri non abbiano né mezzi né capitali per potersi veramente sostituire ai vecchi, avendo come effetto diretto non un miglioramento, bensì una sensibile crisi del settore agricolo.

Quello che è certo è che la riforma agraria era necessaria. La situazione latifondistica di epoca coloniale era diventata insostenibile, bisognava riorganizzare e redistribuire le terre in modo da permettere anche alla popolazione nera di avere accesso al settore primario e al cibo. Discutibile resta però l’organizzazione di essa, tanto che la produzione sul breve periodo crollò in maniera significativa.

 

I rapporti con le potenze occidentali: le sanzioni economiche. In seguito alla nazionalizzazione delle terre agricole, i rapporti con l’Occidente subiranno un ulteriore inasprimento.

I rapporti tesi con il Regno Unito risalgono già all’indomani dell’indipendenza del Paese africano nel 1980, quando, in base agli accordi di Lancaster, infatti, i britannici avrebbero dovuto contribuire economicamente alla riforma agraria3e alla riprogrammazione economica di uno Stato in cui la minoranza bianca aveva in mano gran parte delle ricchezze. Tutto ciò non è mai avvenuto e, anzi, a nel 2002 il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso per delle misure restrittive nei confronti dello Zimbabwe e della sua leadership4; a breve distanza – nel 2003 – anche gli Stati Uniti adottarono un provvedimento analogo. Questi provvedimenti, se da un lato hanno l’obiettivo di indebolire il governo e la sua leadership, dall’altra hanno avuto un effetto diretto nei confronti dell’intera popolazione, già allo stremo a causa dell’insufficienza alimentare e hanno impedito al Paese di risollevare un’economia disastrata, in cui il tasso di disoccupazione raggiunge picchi elevatissimi – intorno al 70% nel 20115– e quello di occupazione è inferiore al 1980.

Solo di recente queste sanzioni sembrano allentarsi: alcune settimane fa, infatti, l’embargo UE nei confronti dei diamanti – di cui lo Zimbabwe possiede molti giacimenti – è stato rimosso6, e ciò permetterà al Paese di riprendere il commercio delle pietre preziose sul mercato più grande del mondo di questo settore, ad Anversa, Belgio.

 

Sguardo verso est. Viste le difficoltà con l’Occidente, Robert Mugabe ha scelto di rivolgere il proprio sguardo in cerca d’aiuto a est, alla Cina in particolare, ma anche verso le cosiddette “tigri asiatiche”, economie in forte crescita e desiderose di mercati in cui espandersi per aumentare la propria egemonia. Già nel 2005, l’attuale 89enne presidente zimbabwese riferì: “Ci siamo girati ad Est, dove sorge il sole, dando le spalle all’Ovest  dove il sole tramonta”7, un’affermazione dura che rende manifesta la sua intenzione di guardare al mercato asiatico per le future collaborazioni economiche. La Cina, Paese che non mette bocca, al contrario dei suoi omologhi europei e degli Stati Uniti, in materia di rispetto di diritti civili e politici, è diventato in pochi anni il primo partner economico dello Zimbabwe, ricco di risorse naturali.

 

Il settimo mandato. Nelle recenti elezioni presidenziali del 31 luglio, Robert Mugabe ha ottenuto la riconferma per il settimo mandato consecutivo alla guida dello Zimbabwe. Un risultato, però, messo in dubbio sia dal suo avversario politico, Morgan Tsvangirai, che dalle potenze occidentali, in particolare da Stati Uniti e Regno Unito che “auspicano” un’indagine indipendente per chiarire e confermare la credibilità del processo elettorale8. Numerose le critiche avanzate da parte del mondo occidentale – e in particolare dagli inglesi – circa la credibilità e la validità delle elezioni. Il presidente è stato molto chiaro circa l’ingerenza straniera negli affari interni: “Tu punisci me. Io punisco te. Abbiamo una nazione da guidare e dobbiamo essere liberi di farlo”9.

Oggi, dopo sette mandati consecutivi, Robert Mugabe prosegue nella sua politica anti-imperialista spingendo per l’indigenisation, nel tentativo di costringere le aziende straniere a cedere le loro quote ai neri africani. Questa scelta, se da un lato lo rende popolare fra la popolazione – in modo che il Paese possa riappropriarsi di ciò che in passato era stato perso a causa della colonizzazione – non è vista di buon grado dalle potenze straniere che in Zimbabwe fanno affari. Ed è perciò in quest’ottica che devono essere lette le condanne verso la leadership del Paese africano che a più riprese sono giunte da Paesi europei e dagli Stati Uniti alle quali l’eterno presidente Mugabe risponde per le rime. Nel giorno del giuramento per l’inizio del settimo mandato, Mugabe ha infatti sottolineato che non accetterà critiche da parte della Gran Bretagna e dei suoi domini Canada e Australia, nè tanto meno dagli Stati Uniti e dalla loro “storia di schiavitù”10 ,chiedendo di rispettare “la voce dell’Africa che ha parlato”.

 

Il futuro. Dopo aver ottenuto nuovamente la conferma alla guida del Paese, Mugabe è chiamato a far fronte a importanti questioni che riguardano il suo popolo: oltre alla già ricordata disoccupazione e alle varie storture economiche che attanagliano il Paese, vi è un’altra, ancor più grande problematica che deve essere affrontata.

Secondo recenti stime da parte dell’ONU e del WFP, infatti, oltre 2,2 milioni di zimbabwiani non avranno accesso a sufficiente cibo nel primo semestre del 201411. Una crisi alimentare dovuta sia all’instabilità climatica, ma soprattutto a scelte – economiche e politiche – che sono state prese negli ultimi decenni.

 

Eroe nazionale o dittatore? Trarre un giudizio finale sulla discussa figura di Robert Mugabe non è semplice. Se da una parte la sua persona si è legata indissolubilmente alla lotta per l’indipendenza dalla Gran Bretagna e soprattutto contro l’apartheid, dall’altra, una volta acquisito il potere, questo è sfociato troppe volte in abusi e violenze contro dissidenti e personaggi scomodi. Una realtà che l’Occidente non ha mancato di sottolineare e che ha condannato ripetutamente, evidenziando però a sua volta una lettura delle vicende zimbabwesi eccessivamente occidentalizzata, spingendo affinché il processo democratico portasse verso l’elezione di un candidato – in questo caso l’avversario politico di Mugabe, Morgan Tsvangirai – decisamente più ben disposto nei loro confronti.

Una buona parte degli zimbabwiani crede ancora molto nel suo eroe nazionale, in cui colui che li ha portati all’indipendenza e che si è battuto contro i soprusi di epoca coloniale. Sono ancora tanti gli africani che lo difendono a spada tratta. Secondo loro, non è tollerabile che l’Occidente si arroghi il diritto di dettare le sue condizioni imperialiste e di imporre i loro dirigenti per depredare il sottosuolo africano.  E l’Unione Africana e il Southern African Development Community (SADC), infatti, a fronte di una linea dura e intransigente da parte di Stati Uniti e Unione Europea,  portano avanti una politica più tollerante: fra i sostenitori maggiori di Mugabe troviamo il Sudafrica, importante partner economico, ma soprattutto la Cina, il cui veto al Consiglio di Sicurezza ONU ha permesso al Paese di evitare sanzioni ancora più pesanti di quelle già messe in atto nel 2003 12.

 

 

 

* Carlomaria Bottacini ha conseguito la laurea triennale in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano ed è attualmente studente in Sciences Politiques, orientation Relations Internationales presso l’Universitè Libre de Bruxelles.

 

 

Note Bibliografiche e Riferimenti Multimediali

 

1  http://www.cairn.info/article.php?ID_ARTICLE=PE_083_0653#no15 , ultimo accesso ottobre 2013

2  Zimbabwe takes back its land, Joseph Hanlon, Jeanette Manjengwa e Teresa Smart, Kumarian Press, Sterling,    Virginian, 2013

3 http://www.monde-diplomatique.fr/carnet/2008-04-03-Tournant-au-Zimbabwe, ultimo accesso ottobre 2013

4 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2002:050:0001:0003:FR:PDF, ultimo accesso ottobre 2013

5 http://www.bloomberg.com/news/2011-04-18/zimbabwe-s-unemployment-rate-estimated-at-70-daily-news-says.html , ultimo accesso settembre 2013

6 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:252:0023:0024:IT:PDF, ultimo accesso ottobre 2013

7 http://www.worldsecuritynetwork.com/Africa/no_author/Mugabe-turns-back-on-West-and-looks-East, ultimo accesso settembre 2013

8 http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/zimbabwe/10259014/Britain-calls-for-investigation-into-Zimbabwe-vote-as-Robert-Mugabe-is-sworn-in.html , ultimo accesso settembre 2013

9 http://www.theguardian.com/world/2013/aug/25/robert-mugabe-foreign-firms-zimbabwe , ultimo accesso settembre 2013

10 http://www.liberation.fr/monde/2013/08/22/zimbabwe-mugabe-investi-pour-un-sixieme-mandat_926307 , ultimo accesso settembre 2013

11 http://www.wfp.org/countries/zimbabwe/overview , ultimo accesso settembre 2013

12 http://www.cairn.info/article.php?ID_ARTICLE=PE_083_0653#no15 , ultimo accesso ottobre 2013


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