All’indomani del collasso dell’alleanza cino-sovietica, Mao Zedong rigettò l’interpretazione dicotomica dell’ordine mondiale governato da imperialisti e socialisti, prospettando una nuova concezione teorica degli equilibri, anticipata dall’ingresso del Terzo Mondo nello scenario internazionale durante la conferenza afroasiatica di Bandung nel 1954 e mirata ad esaltare il potenziale rivoluzionario di quei paesi non allineati facenti parte della zhongjian jidai, la zona intermedia.

È all’interno di questa zona intermedia che si consolida l’asse Pechino-Islamabad e si spiegano gli obiettivi decisi a Bandung di promozione della solidarietà, condivisione di mutui interessi e cooperazione per la soddisfazione dei reciproci orientamenti strategici.

Ottenuta l’indipendenza dal Regno Unito nel 1947, il Pakistan è stato il primo Paese musulmano a riconoscere la Repubblica Popolare Cinese, stabilendo relazioni diplomatiche con Pechino già nel 1951.

Nel decennio di isolamento della Cina e di arretramento della sua influenza nella regione asiatica (1960-1970), il Pakistan ha riconfermato la speciale amicizia con il Paese di Mezzo operando attivamente in favore della rimozione del veto statunitense all’accesso della Cina alle Nazioni Unite. È stato cospicuo anche il contributo profferto per la riuscita della missione di Henry Kissinger a Pechino nel luglio 1971, che l’anno dopo aprì le porte della città alla visita del Presidente Nixon conclusasi con il Comunicato di Shanghai attraverso il quale gli americani riconobbero la “One China policy”, l’indivisibilità della Repubblica, quindi la sovranità del paese su Taiwan.

In quegli anni a rafforzare l’alleanza cino-pakistana è stata la stipula del Trattato di amicizia e cooperazione tra l’Unione Sovietica e l’India, che portò Pechino a sostenere Islamabad respingendo le prime istanze scissioniste del Pakistan orientale e criminalizzando l’ingerenza dell’India nel Bengala.

L’importanza strategica della costruzione della Karakoram Highway nel 1978, la cessione di armamentari bellici cinesi al Pakistan e l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979 hanno orientato le relazioni bilaterali verso una identità di interessi nel contesto regionale asiatico.

Il legame storico tra i due Paesi trova il suo riscontro giustificativo, di fatto, nella competizione per l’egemonia sulla regione, quindi nella necessità di scongiurare l’ascesa dell’India quale potenza dominante e di restringere il potere di influenza dell’Unione Sovietica nell’area per impedirne l’accesso all’Oceano Indiano e al Golfo Persico.

L’interferenza indiana sulla questione tibetana e la demonizzazione della politica cinese di assimilazionismo delle minoranze etniche e religiose sono il riflesso dello storico antagonismo cino-indiano, che raggiunse l’acme della violenza nel 1962 con l’invasione dei territori siti oltre quei confini indiani disconosciuti dai cinesi e decisi in epoca coloniale.

Il Pakistan rappresenta per la Cina uno sbocco per il Golfo Persico, un ponte per la comunicazione con il mondo islamico e con i paesi mediorientali. La Cina è per il Pakistan il bilanciere dell’Asia, un baluardo della stabilità interna e della sicurezza regionale, un supporter per lo sviluppo economico e militare nazionale. La Cina non si intromette nella questione kashmira e baluci, il Pakistan asseconda le hard policies praticate dal governo centrale cinese in Xinjiang e Tibet.

Nel 2008 è stato siglato il primo accordo tra i due Paesi sul libero scambio, che ha accresciuto gli interessi cinesi in Pakistan attraverso il trasferimento di personale tecnico e la costruzione di nuovi impianti industriali, quindi di capitali, know-how e tecnologia.

L’intesa cino-pakistana è il risultato di una cooperazione economica e commerciale iniziata nel 1963 con la stipula di una convenzione bilaterale sul commercio, settore che nel 2010 ha capitalizzato 7 miliardi di dollari.

Le diffidenze cinesi sulle amicizie statunitensi del presidente pakistano Asif Ali Zardari e sul carattere filoccidentale del Pakistan People’s Party si sono quietate con il viaggio di Zardari a Pechino nel luglio 2010, durante il quale le parti hanno pattuito un potenziamento dell’azione comune contro il terrorismo e hanno definito importanti trattati di cooperazione nei settori della difesa, dell’energia, della giustizia, dell’economia, dei trasporti e dell’agricoltura.

Nel dicembre 2010 l’incontro tra Wen Jiabao e il premier Syed Yousuf Raza Gilani a Islamabad, seguito alla visita del leader cinese a Nuova Delhi, ha cementato la collaborazione tra i due governi con la firma di 36 accordi economici del valore di decine di miliardi di dollari. Gli investimenti cinesi, che nel solo comparto delle infrastrutture pakistane ammonterebbe a 229 milioni di dollari, rispondono ad un approccio multidimensionale, impostato sugli obiettivi nazionali decisi nel dialogo strategico tra i due paesi e diretti prioritariamente allo sviluppo del settore minerario, della produzione energetica e dell’industria pesante.

Indubbiamente, il numero sempre crescente degli impegni intrapresi dai due paesi e le 40 visite reciproche tenutesi a livello vice-ministeriale nel 2009 ostentano il rivingorimento di quella che Pechino ha definito una “all-weather friendship” con Islamabad, una duratura partnership strategica che si consolida in proporzione allo sviluppo dell’intesa indo-statunitense.

Si conferma la centralità dell’amicizia con il Pakistan nello scacchiere asiatico, anche se è imperativo rilevare che la Cina sta approfondendo i contatti con molti paesi dell’Asia meridionale come il Myanmar, lo Sri Lanka e il Bangladesh.

La cooperazione militare e nucleare

I prodromi della cooperazione cino-pakistana nel settore bellico si ritrovano nei primi anni sessanta con la cessione di informazioni di intelligence e di tecnologia missilistica e spaziale al Pakistan, con la modernizzazione dei cicli di produzione di massa delle armi, con l’addestramento dei soldati e l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte.

Le sanzioni economiche imposte al Pakistan da Stati Uniti e NATO nel 1998, in risposta ai primi esperimenti nucleari, non arrestarono l’aiuto militare della Cina, paese che nel 2007 ha raggiunto il primato di più grande fornitore di armi di Islamabad.

La collaborazione cino-pakistana ha portato a risultati notevoli quale, ad esempio, nel settore aeronautico la coproduzione del caccia da combattimento JF-17 Thunder e dell’aeromobile K-8 Karakorum, e nel settore marittimo militare la consegna di 8 fregate cinesi F-22P.

La Cina, che ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare nel 1992, supporta il programma nucleare del Pakistan contribuendo allo sviluppo della tecnologia attraverso la fornitura dei materiali occorrenti per accrescere la capacità di arricchimento dell’uranio, quali centrifughe e magneti ad anello, e la cessione dei reattori ad acqua pesante per la produzione di plutonio, il primo dei quali è attivo dal 1998 nel sito militare di Khushab. La nuclearizzazione del Pakistan, che secondo il Bulletin of the Atomic Scientists nel 2010 ha raggiunto le 70-90 testate strategiche, è stata la risposta al programma nucleare indiano e ha consentito al paese di divenire il primo esportatore di tecnologia nucleare nel mercato nero.

È infatti addebitata al Pakistan e all’azione del “signore del nucleare pakistano”, Abdel Qadeer Khan, la cessione della tecnologia all’Iran, alla Libia e al Nord Corea. Gli esperti del settore paventano l’ipotesi che parte di questa tecnologia possa esser stata acquisita dalle cellule qaediste per un utilizzo a fini terroristici.

Sviluppo economico e lotta al terrorismo in Balucistan e Xinjiang: un freno alle istanze secessioniste

Gli interessi economici, commerciali ed energetici sono fattori primari di coesione per la Cina e il Pakistan, tuttavia, come ribadiscono i due governi, alla base dell’intesa soggiace un elemento di carattere politico: la neutralizzazione del separatismo.

La lotta contro il separatismo promossa dalla Cina in Xinjiang converge con linteresse pakistano di sedare le pulsioni secessioniste dei nazionalisti del Balucistan guidate dal Baluchistan Liberation Army. La stessa realizzazione del porto di Gwadar è strettamente interconnessa con la repressione delle istanze indipendentiste e consente ai cinesi e ai pakistani di espandere capillarmente il controllo politico e militare su quelle regioni attraverso l’incalzante sviluppo economico e commerciale.

La posizione del porto di Gwadar affacciato sul mar arabico, con il Golfo Persico ad occidente e il Golfo di Oman a sud-est, ha inoltre facilitato le esportazioni cinesi e le importazioni di risorse energetiche dallAsia centrale.

I 200 milioni di dollari di investimenti cinesi impiegati nella costruzione della strada che unisce Karachi a Gwadar spiegano il progetto strategico del dragone ed evidenziano la necessità della crescita economica del Pakistan per rinforzare la sicurezza interna e per sedare le pulsioni secessioniste e gli estremismi dell’Islam radicale.

Pechino ha richiesto ad Islamabad maggior tutela per gli 8500 lavoratori cinesi che sono oggetto di rapimenti e uccisioni ad opera del Baluchistan Liberation Army. L’attacco dinamitardo che nel 2004 uccise 3 operai nel cantiere di Gwadar e il sequestro di 7 cinesi imprigionati nella Lal Masjid (la Moschea Rossa della capitale pakistana) sono solo un esempio della politica anticinese promossa dai militanti baluci.

Dopo l11 settembre 2001 è accresciuta la possibilità di una penetrazione nel territorio nazionale di movimenti sobillatori di disordini interni e fomentatori dellestremismo nazionalista e religioso, tanto più consapevoli del sicuro impiego da parte dei terroristi delle risorse di soft power per cooptare, reclutare nuovi adepti ed accattivarsi il consenso delle masse. Le richieste dei baluci e degli uiguri sono divenute una fonte di indebolimento dellegemonica vis persuasoria del governo centrale cinese e di quello pakistano.

Il terrorismo transnazionale islamico potrebbe servirsi della fragilità del consenso conseguito dai governi cino-pakistani nelle due regioni per insinuarsi più agevolmente e accentuare incisivamente la frattura tra periferia e centro, sostenendo il separatismo.

La Shanghai Cooperation Organization e la cooperazione multilaterale

La cooperazione strategica per la sicurezza regionale si sviluppa su due distinti ma convergenti piani di potenziamento: a livello bilaterale attraverso la ratifica del Patto antiterrorismo che ha coinvolto la Cina e il Pakistan nella lotta congiunta contro il terrorismo internazionale per limitare l’influenza che le cellule qaediste potrebbero esercitare sui movimenti scissionisti; a livello multilaterale attraverso la partecipazione della Cina alla Shanghai Cooperation Organization (SCO), che tra il 2004 e il 2005 ha accolto anche la Mongolia, il Pakistan e l’India, in qualità di observer states.

La Dichiarazione istitutiva della SCO/OCS fu sottoscritta a Shanghai il 15 giugno 2011 dai Presidenti Putin per la Russia, Jiang Zemin per la Cina, Akayev per il Kirghizistan, Rakhmonov per il Tajikistan, Karimov per l’Uzbekistan e Nazarbaev per il Kazakistan, con l’obiettivo di intensificare gli sforzi per rendere effettivo il coordinamento multilaterale delle politiche nazionali in materia di sicurezza e lotta al terrorismo, crescita economica e sviluppo commerciale ed energetico.

Nel 2006 il Pakistan ha caldeggiato la propria candidatura a divenire membro effettivo della SCO e anche l’India ha puntato allo stesso obiettivo.

Se l’ingresso del Pakistan nella SCO è sostenuto dalla Cina, quello dell’India è incoraggiato dalla Russia e probabilmente non scontenterebbe neppure gli Stati Uniti, che potrebbero sfruttare l’ascendente che esercitano sull’India per frenare l’autonomia e lo sviluppo dell’Organizzazione, improntata senza dubbio ad una prospettiva esclusivista finalizzata a neutralizzare qualsivoglia mira espansionistica di Stati Uniti e Giappone nell’area.

Anche se la competizione tra la Russia e la Cina per la supremazia in Asia centrale rischia di aprire una falla nel sistema di coordinamento multilaterale in favore delle relazioni bilaterali tra i singoli stati membri dell’Organizzazione, la partecipazione di un rappresentante degli Stati Uniti al Summit annuale della SCO, tenutosi a Tashkent nel giugno 2010, ha manifestato il rafforzamento dell’istituzione e la sua rilevanza internazionale. Durante il Summit di Tashkent sono state discusse e puntualizzate le nuove regole per le ammissioni di member states, che hanno escluso la possibilità di accoglimento dei Paesi su cui gravano sanzioni dell’ONU come l’Iran, e hanno invece aperto la porta a Pakistan e India.

Come recita la Dichiarazione istitutiva della SCO, i principi a cui gli Stati membri si devono attenere sono: “il mutuo rispetto per l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale, l’eguaglianza di diritti e il mutuo vantaggio, la risoluzione di tutte le questioni attraverso le consultazioni comuni, la non-interferenza negli affari interni, il non utilizzo o la minaccia dell’uso della forza militare, e la rinuncia del vantaggio militare unilaterale nelle aree contigue”.

Per alcuni il timore è che la SCO possa divenire una nuova arena nella quale riaccendere la conflittualità tra l’India e il Pakistan, una diversa dimensione di confronto e antagonismo; tuttavia questo è un rischio che è necessario accollarsi, perché l’incalzante crescita economica dell’India e il controllo della stabilità interna del Pakistan sono fattori di primario interesse per Cina e Russia, determinanti per mantenere il controllo sulla regione e per la crescita e l’integrità della stessa Organizzazione di Shanghai; a sua volta quest’ultima è evidentemente un’istituzione che potrà dare l’opportunità a Islamabad e Nuova Delhi di dialogare amichevolmente.

Il Pakistan, dal 2003, sta cooperando attivamente nel settore della sicurezza attraverso la supervisione e la partecipazione ad alcune esercitazioni antiterroristiche della SCO, quale la missione in Kirghizistan nota come “Issyk Kul Anti-Terror-2007”, che ha coinvolto anche l’India, la Mongolia e l’Iran. L’apporto pakistano alla SCO e al mantenimento dell’ordine regionale non si è esaurito nella sola dimensione militare, ma anche nella pratica dell’estradizione e dell’arresto di numerosi ricercati uiguri, che avevano varcato il confine per acquisire una formazione religiosa nelle madrasse di Karachi o Lahore. La lotta che unisce Paesi membri ed osservatori della SCO è diretta ad annientare al contempo le spinte centrifughe interne e i movimenti islamici ceceni, uiguri, baluci, uzbechi, ingusci e osseti, nonché ad affrontare la sfida per la costituzione di un nuovo equilibrio geopolitico multipolare.

Fonti:

Declaration of the establishment on the Shanghai Cooperation Organization, in: http://missions.itu.int/~kazaks/eng/sco/sco02.htm.

AsiaNews, La Sco apre a India e Pakistan, ma non all’Iran, 12 giugno 2010, in: http://www.asianews.it/notizie-it/La-Sco-apre-a-India-e-Pakistan,-ma-non-all%E2%80%99Iran-18664.html

Rajeev Sharma, Chinese Military Assistance to Pakistan and its Implications to India, South Analysis Group, Paper no.3996, in: 24 agosto 2010. http://www.southasiaanalysis.org/papers40/paper3996.html

Jamal Afridi e Jayshree Bajoria, China-Pakistan relations, Council on Foreign Relations, 6 luglio 2010, in: http://www.cfr.org/publication/10070/chinapakistan_relations.html

Jayshree Bajoria, Intensfying China-Pakistan Ties, Council on Foreign Relations, 7 luglio 2010, in: http://www.cfr.org/publication/22603/intensifying_chinapakistan_ties.html

Jayshree Bajoria, Pakistan’s All Weather Ally, Council of Foreign Relations,18 settembre 2008, in: http://www.cfr.org/publication/17267/pakistans_all_weather_ally.html

*Maria Dolores Cabras è laureata in Relazioni internazionali (Università di Firenze)


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