Generalmente si ritiene che l’interesse per il pensiero di Carl Schmitt in Cina sia iniziato a partire dagli anni ’90 del secolo scorso: ovvero, in un momento in cui il “modello cinese”, nonostante il fallimento del “tumulto” filooccidentale di piazza Tian’anmen, sembrava destinato alla sconfitta ed a venir schiacciato dall’istante unipolare. In questo contesto, l’elaborazione teorica del giurista tedesco venne percepita come uno strumento utile per ricostruire l’unità nazionale attorno alla figura sovrana rappresentata dal Partito. L’ascesa della Repubblica Popolare al rango di grande potenza ha placato i timori di una possibile spinta esterna verso la sua dissoluzione (che rimane comunque il principale obiettivo strategico dell’“Occidente”); tuttavia le idee di Schmitt sono rimaste ed hanno continuato ad influenzare la filosofia politica e la geopolitica cinese, soprattutto in riferimento allo schema della “Cina unica” ed al confronto con gli Stati Uniti. Qui si cercherà di affrontare il tema dell’influenza del pensiero di Carl Schmitt in Cina in due contesti diversi (sebbene interconnessi): il costituzionalismo cinese ed il rapporto tra il governo centrale e la Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong[1].

 

Da Berlino a Pechino.

L’influenza di Carl Schmitt in Cina va ben oltre il circolo dei filosofi politici. Gao Quanxi e Chen Duanhong, eminenti esponenti del costituzionalismo politico cinese, hanno utilizzato l’elaborazione teorica schmittiana per comprendere nel suo intimo la natura della Costituzione della Repubblica Popolare.

Il costituzionalismo politico è una scuola di pensiero che utilizza una metodologia di interpretazione costituzionale del tutto nuova. Questa, infatti, è fondata su un’interpretazione “politica” e non normativa del testo costituzionale.

La teoria costituzionale cinese, tradizionalmente, era (e sotto molti aspetti è ancora) fondata su un approccio ideologico, impostato sul modello marxista, che ritiene la Costituzione l’inevitabile prodotto della classe egemonica/dominante. Ad essa si associa una teoria costituzionale normativa (influenzata dal modello “occidentale”) secondo cui il nucleo centrale dei valori del costituzionalismo è la protezione delle libertà individuali. Di conseguenza, le norme volte alla protezione dei diritti individuali assumono un ruolo di rilievo all’interno del disegno costituzionale. Tuttavia, l’obiettivo della teoria costituzionale normativa non consiste nell’esplorare il fenomeno dietro la norma, ma la norma in sé. Dunque, la natura di “classe” della Costituzione, in questo caso, essendo “fenomeno dietro la norma”, non viene indagato in modo particolarmente approfondito.

Gao Quanxi, dal canto suo, afferma che nessuna di queste tesi è capace di afferrare la natura del reale ordine costituzionale cinese[2]. Il costituzionalismo politico, infatti, si concentra principalmente sull’istante della creazione costituzionale (non sulle norme) ed esplora le radici politiche della Costituzione. In questo senso, il costituzionalismo politico ha due obiettivi: a) chiarire la realtà della Costituzione cinese (ovvero, le regole del potere che operano nella realtà politica); b) esaminare la questione della giustizia nella Costituzione (ovvero, l’eventuale creazione di un sistema normativo capace di tenere a freno il potere politico).

L’obiettivo del costituzionalismo politico, così, è scoprire come porre fine alla “Rivoluzione”: o meglio, come assoggettare le politiche rivoluzionarie alla politica costituzionale e sottoporre il potere guida del Partito alla sovranità del Congresso Nazionale del Popolo.

La Costituzione cinese del 1982 è una Costituzione in cui l’elemento politico gode di uno status dominante. Questo elemento politico si riferisce naturalmente al momento della fondazione politica della Costituzione come esito di una “decisione politica” nel senso schmittiano del termine: dunque, come “atto sovrano”. La Rivoluzione, come “atto di violenza”, è il fondamento della Costituzione. Tuttavia, secondo Gao, al suo interno si ritrovano sia elementi rivoluzionari che “de-rivoluzionari”[3]. Essa pone (o cerca di porre) un freno allo slancio rivoluzionario ed alla teoria radicale della lotta di classe del maoismo, stabilendo, tramite il diritto, l’ordine sociale e politico. La Costituzione, di fatto, rappresenta il passaggio tra il momento eccezionale della decisione e l’ordinarietà politica volta alla conservazione.

Secondo Schmitt, ogni Costituzione positiva nasce da una decisione politica fondante. La Costituzione si riferisce direttamente al momento politico (alla decisione da parte del Soggetto in possesso del potere costituente), mentre il diritto costituzionale fa riferimento alle norme della Costituzione.

Ora, la Costituzione cinese pone come organizzazione suprema dello Stato il Congresso Nazionale del Popolo in qualità di diretta espressione della sovranità popolare. Ma il Partito non risulta sottoposto alla Costituzione. Per questo motivo, alcuni studiosi hanno parlato dell’esistenza di una doppia Costituzione in Cina: quella dello Stato e quella del Partito[4]. Di conseguenza, il ruolo del costituzionalismo politico è stabilire (o istituzionalizzare) la relazione tra Stato e Partito, così come tra Partito, Costituzione e popolo.

Gao, a questo proposito, afferma che la volontà politica (la decisione sovrana nello “stato d’eccezione”) è superiore all’elemento normativo della Carta costituzionale, che si riferisce principalmente al momento dell’ordinarietà. L’elemento politico è fondamentale nello stato d’eccezione, mentre l’elemento normativo/legale è più importante in un contesto di normalità. La società deve essere governata dalle norme, ma, allo stesso tempo, deve rimanere ben chiaro come tali norme hanno avuto origine.

Anche Chen Duanhong sostiene che la teoria costituzionale di Schmitt è il modello più sistematico di costituzionalismo politico e, su queste basi, adotta il concetto schmittiano assoluto di Costituzione come “modo concreto di esistenza che si dà ogni unità politica”[5]. Sulla base di tale assunzione, Chen ritiene che la “guida del Partito al di sopra del popolo” rappresenti la perfetta incarnazione di Costituzione assoluta[6]. La teoria costituzionale normativa, secondo il pensatore cinese, si concentra solo sul potere costituito e non sul potere costituente politico, l’unico realmente fondamentale per comprendere la natura della Costituzione. Il potere costituente si riferisce direttamente alla sovranità. Esso è il potere supremo all’interno dell’unità politica. È un potere eccezionale legato al suo essere applicato nello stato d’eccezione. Attraverso il suo esercizio, il Sovrano crea la Costituzione e sancisce il passaggio a quella normalità che si genera comunque dall’eccezionalità.

A questo proposito, Chen individua una sostanziale differenza tra “potere creativo” e “potere politico”. Il potere creativo è una forma di potere che agisce all’interno della società e che può assumere natura politica quando un determinato gruppo sociale diviene consapevole della necessità del cambiamento attraverso l’azione rivoluzionaria.

Sia Gao Quanxi che Chen Duanhong sostengono la tesi che la Costituzione cinese si trovi in una sorta di terra di mezzo tra eccezionalità ed ordinarietà. Tuttavia, se il primo cerca di ridurre lo spazio di azione del Partito rispetto alla Costituzione in vista della definitiva “normalizzazione”, il secondo (e questo lo rende più vicino al modello di guida teorizzato da Xi Jinping) esalta il ruolo ed il potere costituente permanente del Partito. Tale potere coesiste con il “potere costituito” del Congresso Nazionale del Popolo. Il Partito, così, esercita il potere decisionale; le sue scelte, qualora si rivelino vantaggiose, vengono inserite come emendamenti alla Costituzione o, in caso contrario, possono venire sospese.

In questo senso, la Costituzione cinese assume un carattere puramente schmittiano, non solo perché il politico non si esaurisce mai nell’economico, ma soprattutto perché il momento della decisione politica rimane sempre presente (il potere costituente permane e non si ritira ponendosi al di sotto della Costituzione). La legittimità di questo potere politico-costituente non viene mai messa in discussione da Chen, che la giustifica attraverso la massima hegeliana secondo la quale tutto ciò che esiste deve necessariamente essere razionale.

Dunque, se è vero, come affermò Schmitt a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, che Hegel si era trasferito da Berlino a Mosca, è altrettanto vero che, oggi, lo stesso Schmitt si è trasferito da Berlino a Pechino.

Il caso emblematico di Hong Kong

Chen Duanhong, come si è avuto modo di constatare, al pari di Jiang Shigong è un sostenitore della tesi della “Costituzione cinese non scritta”, secondo la quale il Partito possiede una forma di autorità sulla Carta. Sulla base di tale approccio, sia Duanhong sia Shigong hanno ritenuto valida l’imposizione della Legge di Salvaguardia della Sicurezza Nazionale ad Hong Kong, stabilita dal Congresso Nazionale del Popolo il 22 maggio 2020 dietro direttiva dello stesso Partito.

Tale scelta, altrettanto schmittiana, nella prospettiva di Chen deriva dalla constatazione che lo Stato è un sistema di sicurezza necessario per garantire la salvaguardia dell’individuo all’interno della comunità. I vertici di Hong Kong hanno fallito nel mettere in moto un’appropriata legislazione di sicurezza, generando una situazione di precarietà che ha portato i cittadini a non riuscire più a distinguere tra “amici” e “nemici”. Così, il clima di confronto ha reso inevitabile lo stato d’eccezione e l’intervento politico e sovrano, in quanto il secessionismo fomentato dall’“Occidente” ha rappresentato (e continua a rappresentare) una grave minaccia all’unità nazionale. 

In questo caso, l’approccio teorico di Chen assume una prospettiva hobbesiana. Secondo Hobbes, l’uomo crea lo Stato (inteso come “potere comune”) in primo luogo per ragioni di sicurezza, perché nello stato di natura egli vive in una condizione di guerra di tutti contro tutti. Nel pensiero dell’autore del Leviatano si possono ritrovare due fili conduttori: a) lo stato di guerra porta alla formazione del potere che, a sua volta, conduce alla pace; b) la sicurezza personale porta alla formazione dell’idea di sovranità che, a sua volta, conduce alla sicurezza nazionale. La sovranità, dunque, genera lo Stato che è in sé un sistema di sicurezza.

La fedeltà al potere sovrano è un sentimento morale attraverso il quale il soggetto si autoidentifica col potere stesso e si rende disponibile a lavorare per esso e, in caso di necessità,  a sacrificarsi per esso. La distinzione schmittiana tra “amico” e “nemico” è il fondamento di tale sistema di fedeltà che comporta la costruzione del sistema di sicurezza.

Chen, a questo proposito, formula tre tesi sull’idea di fedeltà e sicurezza nazionale: a) la sicurezza sovrana è necessaria per la vitalità della Costituzione; b) la Costituzione è legge di autopreservazione; c) la fedeltà costituzionale è la fonte della forza e della stabilità della sicurezza nazionale[7]. La prima tesi, a sua volta, si basa su due presupposti: a) lo Stato come sistema di sicurezza; b) la validità e vitalità della Costituzione è conferita dal potere sovrano[8].

Il compito della Costituzione, in questo senso, è quello di tradurre l’autorità sovrana in ordine legale oggettivo per formare un’identità comune: definire chi è il popolo, chi i “nazionali” e chi gli “stranieri”. In caso di minaccia all’integrità nazionale è la Costituzione stessa a stabilire lo stato d’eccezione, ad autosospendersi in favore della decisione politica, per prendere le misure necessarie alla difesa dello Stato.

A differenza di Jiang Shigong (il cui pensiero sul tema si cercherà di analizzare in seguito), Chen è piuttosto critico rispetto alla teoria “un Paese, due sistemi”. A suo modo di vedere la fedeltà politica dei cittadini cinesi di Hong Kong si deve costruire su una struttura composita di fedeltà: la fedeltà ad Hong Kong come Regione Amministrativa Speciale; la fedeltà allo Stato centrale. E tale fedeltà deve essere coltivata in modo assoluto per fare in modo che il popolo di Hong Kong riconquisti quel sentimento di unità nazionale perduto con l’occupazione coloniale britannica e con quella nefasta influenza occidentale che ha indotto una sua parte a considerarsi alla stregua di “cittadini globali”.

In base alla constatazione del fatto che i sentimenti più forti tra gli uomini sono quelli di natura religiosa, Chen afferma che la Costituzione deve divenire la base di una religione civile: il “fondamento emozionale della Nazione capace di costruire un legame spirituale tra rappresentante e rappresentato”[9].

Il giuramento di fedeltà alla Costituzione diviene così il rito per eccellenza di una religione civile che pone una sovrastruttura teologica a fondamento di uno Stato secolare. In altre parole, diviene la forza che porta il popolo insieme e lo tiene unito. L’infedeltà, la menzogna, oltre a negare il valore del giuramento, distorce il significato ed il ruolo che nella cultura cinese è attribuito al linguaggio. Di fatto, nel pensiero tradizionale cinese, ogni singola parola ha un carattere speciale, ed ogni singolo termine implica una conseguente azione[10]. Il giuramento/rito non solo restituisce al linguaggio la sua funzione originale di tramite tra il pensiero e l’azione, ma rappresenta un atto sacro. Di conseguenza, l’infedeltà a tale giuramento equivale alla blasfemia ed all’apostasia (aspetto che ricorda da vicino anche la tradizione islamica).

Un Paese, due sistemi

Jiang Shigong ha definito la scelta del Congresso Nazionale del Popolo sulla Legge per la Salvaguardia della Sicurezza Nazionale ad Hong Kong come una “pietra miliare nel processo di costruzione del meccanismo ‘un Paese, due sistemi’”[11].

Il pensatore cinese, già autore di una potente interpretazione della storia come confronto tra “grandi spazi” geografici tellurici e talassocratici, ha affrontato il problema di Hong Kong attraverso una metodologia differente rispetto a quella di Chen Duanhong. Shigong, infatti, riconosce l’esistenza di due approcci diversi alla questione all’interno della stessa Regione Amministrativa Speciale: uno fondato sulla mera “immaginazione” e l’altro sulla “realtà”.

A tal proposito, Shigong fa notare come ancora negli anni ’80 del secolo scorso alcuni cittadini dell’allora colonia britannica, anche in virtù di forme più o meno subdole di propaganda, continuavano a pensare che la Cina ed il Partito comunista fossero gli stessi del Grande Balzo e della Rivoluzione Culturale. Altri, al contrario, compresero da subito che il “matrimonio” tra i due sistemi avrebbe potuto generare prosperità su entrambi i lati[12].

Tale tensione tra “mondo immaginario” e “mondo reale”, secondo Shigong, si riflette anche nell’attualità. Dunque, si rende necessario in primo luogo “pensare razionalmente”: ovvero, convincere i cittadini di Hong Kong, assuefatti dalla propaganda occidentale, ad abbandonare quel “mondo immaginario” che presenta la città come una “metropoli cosmopolita” parte integrante dell’“Occidente”. Questo “mito”, fondato su una visione sempre più ristretta della Repubblica Popolare e del suo ruolo nel mondo, oltre ad essere un mero prodotto della propaganda, continua ad avvalorare gli schemi di quel capitalismo commerciale che, di fatto, frena la mobilità sociale generando malcontento, senza considerare che questo modello propagandistico di matrice “globalista” ignora totalmente la realtà della Cina continentale ed il ruolo del Partito come forza radicata nella società cinese (oltre 90 milioni di iscritti).

Ora, Shigong, nel passaggio di consegne tra Londra e Pechino, sottolinea la fondamentale importanza della Legge di Base adottata nel 1990 ed entrata in vigore nel 1997 con il trasferimento di sovranità su Hong Kong alla Repubblica Popolare. Questa è una norma costituzionale che attribuisce al governo centrale il potere di restaurare l’esercizio della sovranità su Hong Kong e di incorporare la città nel sistema costituzionale nazionale. Questa Legge garantisce ad Hong Kong un alto grado di autonomia sotto l’egida della struttura unitaria della Nazione. Tuttavia, è stata interpretata dall’“opposizione” di Hong Kong in due modi diversi e temporalmente successivi: uno difensivo (impostato sul tentativo di salvaguardare e garantire lo statuto autonomo della città) e l’altro offensivo.

Shigong riconosce l’evidente influsso “occidentale” nel passaggio dallo schema difensivo a quello offensivo che, attraverso l’utilizzo reiterato di forme di protesta sempre più violente, ha cercato di trasformare Hong Kong nel trampolino di lancio per un’offensiva su scala nazionale e continentale.

Di conseguenza, la questione di Hong Kong non è più un problema economico, di incremento del benessere della popolazione o di commistione tra due sistemi differenti all’interno dello stesso spazio politico. È una questione di difesa o meno della sicurezza, dell’integrità e della sovranità nazionale dalla quale, di riflesso, dipende l’evoluzione verso un ordine globale multipolare[13]. Hong Kong, infatti, nella prospettiva di Shigong, rappresenta il fulcro con il quale fare leva sull’“Occidente” per dare vita ad un nuovo nomos della terra impostato sull’idea di unità nella molteplicità.


NOTE

[1]    Sul sito informatico di “Eurasia” è già stato trattato l’argomento dell’influenza del pensiero di Carl Schmitt in Cina in un precedente articolo dal titolo L’influenza di Carl Schmitt in Cina. Chi scrive, inoltre, è autore anche di un’analisi sul pensiero di uno dei principali teorici schmittiani cinesi contemporanei, Jiang Shigong. Questa analisi, dal titolo Il concetto di Impero nel pensiero di Jiang Shigong, è stata pubblicata sulle colonne del sito informatico “Osservatorio Globalizzazione”.

[2]    G. Quanxi, Principles of Political Constitutionalism, Zhongyang Bianyi Chubanshe, Pechino (2014), p. 3.

[3]    Ibidem, p. 96.

[4]    J. C. Mittelstaedt, Understanding China’s two Constitutions. Re-assessing the role of the Chinese Communist Party, Discorso alla Conferenza “New perspectives on the development of law in China”, Istituto di Studi dell’Asia Orientale, Università di Colonia (a5-27 settembre 2015).

[5]    C. Schmitt, Dottrina della Costituzione, Giuffrè Editore, Milano 1984, p. 59.

[6]    C. Duanhong, Constituent Power and fundamental laws, Zhongguo Fazhi Chubanshe, Pechino 2010, p. 283.

[7]    C. Duanhong, National security and the Constitution, Discorso tenuto al Simposio sulla Giornata Nazionale della Costituzione (Hong Kong, 2 dicembre 2020). Il discorso si può trovare sul sito www.cmab.gov.hk.

[8]    Ibidem.

[9]    Ibidem.

[10]  Si veda M. Granet, Il pensiero cinese, Adelphi Edizioni, Milano 1917, pp. 37-45.

[11]  Si veda J. Shigong, Probing the imaginary world and the real world to understand the internal legal logic of Hong Kong’s National Security Law, www.bau.com.hk.

[12]  Ibidem.

[13]  Sulla questione di Hong Kong si veda anche J. Shigong, China’s Hong Kong: a political and cultural perspective, Chinese Academic Library, Pechino 2017.


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Daniele Perra a partire dal 2017 collabora attivamente con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici” e con il relativo sito informatico. Le sue analisi sono incentrate principalmente sul rapporto che intercorre tra geopolitica, filosofia e storia delle religioni. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha conseguito nel 2015 il Diploma di Master in Middle Eastern Studies presso ASERI – Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nel 2018 il suo saggio Sulla necessità dell’impero come entità geopolitica unitaria per l’Eurasia è stato inserito nel vol. VI dei “Quaderni della Sapienza” pubblicati da Irfan Edizioni. Collabora assiduamente con numerosi siti informatici italiani ed esteri ed ha rilasciato diverse interviste all’emittente iraniana Radio Irib. È autore del libro Essere e Rivoluzione. Ontologia heideggeriana e politica di liberazione, Prefazione di C. Mutti (NovaEuropa 2019).