Nelle ultime settimane si sono registrati interessanti sviluppi riguardanti il processo di riconciliazione tra il governo afgano ed i talebani.

In passato, il governo afgano ha tentato più volte di avviare un percorso che conducesse alla pacificazione del Paese tramite la ricomposizione delle fratture interne alla società. A tal proposito, è utile ricordare l’esperienza dell’Afghan Peace and Reconciliation Commission, organismo guidato da Sibghatullah Mujaddedi e tuttavia incapace di dare luogo a successi di un certo rilievo. Tra i maggiori limiti di tale commissione vi erano probabilmente la ridotta disponibilità di risorse e l’incapacità del governo afgano di fornire protezione e possibilità a chi avesse deciso di deporre le armi.

L’High Peace Council1 (HPC), inaugurata lo scorso 7 ottobre, sostituisce proprio l’Afghan Peace and Reconciliation Commission e si propone di reintegrare i combattenti talebani all’interno della società afgana, attraverso una serie di incentivi (protezione, beni materiali, posti di lavoro) che facilitino la cooptazione degli insorti.

L’HPC si compone di 70 membri ed è guidato da Burhanuddin Rabbani, uno dei maggiori protagonisti della lotta contro i sovietici prima e contro gli stessi talebani durante la guerra civile afgana. La creazione dell’HPC è figlia di una decisione presa in occasione della National Consultative Peace Jirga, tenutasi a Kabul nel giugno 2010 ed ha ottenuto l’approvazione della comunità internazionale il mese successivo, in occasione della Conferenza di Kabul.

Diverse critiche sono state mosse all’HPC, le più importanti delle quali, da una parte sottolineano la sua mancanza di autorità politica e giuridica e dunque, la sua relativa impotenza, e dall’altra, puntano il dito contro i suoi membri, ritenuti più avvezzi all’arte della guerra che alla pace (su 70 membri, 53 hanno fatto parte di gruppi armati attivi durante gli anni della guerra civile – tra questi, Abdul Rabb Rasul Sayyaf e Haji Mohammad Mohaqeq) e ritenuti poco rappresentativi dei settori più sani della società afgana.

I contatti tra il governo afgano ed i gruppi talebani vi erano già stati in passato: nel 2009, ad esempio, l’Arabia Saudita aveva offerto la sua mediazione per tentare di avvicinare le parti, ma con scarsi risultati. L’Arabia Saudita, pur non essendo un paese confinante con l’Afghanistan, costituisce un attore molto importante ai fini della risoluzione della questione afgana. Non a caso, subito dopo l’insediamento, l’HPC ha sollecitato un ruolo attivo da parte dei sauditi, adducendo a giustificazione di ciò: le sue precedenti attività di mediazione, il suo precedenti sostegno ai talebani ed il fatto di rappresentare un punto di riferimento per il mondo islamico.

Una delle maggiori novità concernenti le attività dell’HPC rispetto a quelle della precedente commissione guidata da Mujaddedi, consiste nell’aver rinunciato alla distinzione tra talebani moderati e non-moderati, allargando a tutti i gruppi di insorti la possibilità di negoziazione con il governo. Inoltre, Burhanuddin Rabbani si sarebbe mostrato alquanto flessibile circa le pre-condizioni necessarie per l’avvio del dialogo, affermando che l’HPC è un organismo indipendente a cui non può negarsi un certo spazio di manovra per le trattative. Tuttavia, alla base del processo di riconciliazione restano: il rispetto della Costituzione afgana, la recisione di ogni tipo di legame con Al Qaeda e l’impegno a non utilizzare il territorio afgano come base o rifugio per gruppi terroristici.

Tutto questo però, ha creato non poche tensioni tra i vari attori coinvolti sulla scacchiera afgana. Gli Stati Uniti infatti, si sono mostrati poco propensi ad allargare il dialogo al Mullah Omar, guida suprema della cosiddetta Shura di Quetta, affermando che non vedrebbero di buon occhio tale eventualità. Decisamente più negativa è stata però la reazione dell’India, la quale ha sempre ostacolato ipotesi di dialogo coi talebani e teme che ciò potrebbe ledere in maniera significativa gli interessi nutriti in Afghanistan.

Proprio pochi giorni fa (2-3 febbraio), si è registrata la visita di Karzai in India. In tale occasione, il Presidente afgano ha incontrato le massime autorità del governo indiano e si sono discusse tematiche legate alla sicurezza ed all’economia, settore in cui i rapporti sono particolarmente proficui. Tali incontri inoltre, sono stati l’occasione per New Delhi di aggiornarsi sull’andamento dei negoziati con i talebani e sulle strategie che Karzai intende mettere in atto per portare avanti il processo di riconciliazione. Quest’ultimo ha cercato di rassicurare gli indiani circa la solidità delle relazioni tra i due Stati e l’importanza dell’India per l’economia afgana. Tuttavia, non possono non sottolinearsi i crescenti timori nutriti da New Delhi per quel che riguarda il futuro del governo afgano e conseguentemente, il destino degli ingenti investimenti effettuati in Afghanistan. È infatti evidente come il Pakistan stia tentando di allentare il legame tra New Delhi e Kabul, in modo da limitare l’influenza indiana sull’Afghanistan e porsi in una condizione di relativa forza rispetto all’India. Tra le numerose dimostrazioni di tale strategia attuata da Islamabad, vale forse la pena mettere in evidenza un aspetto dell’appena concluso “Afghanistan-Pakistan Transit Trade Agreement”, il quale permette ai prodotti afgani di essere esportati sul mercato indiano, ma impedisce alle merci indiane di intraprendere il percorso inverso. Giustificata come temporanea e legata a questioni concernenti la cosiddetta “riesportazione” (merci importate in Afghanistan a basso prezzo e riesportate sul più ampio mercato pakistano), questa misura si pone invece l’intento di limitare l’esportazione dei prodotti made in India, soprattutto relativamente al mercato centro-asiatico, da sempre bersaglio delle ambizioni pakistane.

RECENTI EVOLUZIONE DEI RAPPORTI TRA PAKISTAN E AFGHANISTAN

Da tutto ciò emerge come il Pakistan detenga una posizione di assoluta centralità relativamente alle questioni riguardanti l’Afghanistan.

La nascita del concetto strategico dell’Af-Pak non fa altro che sottolineare la difficoltà di trattare la questione afgana ignorando politiche e volontà del vicino pakistano.

Negli ultimi anni, c’è stata un’evoluzione molto interessante delle relazioni tra questi due Stati e ciò sta influendo in maniera importante sull’andamento delle vicende interne all’Afghanistan.

Se si esclude la parentesi del governo guidato dai talebani, si può affermare, con relativa certezza, che i rapporti tra questi due Paesi sono stati sempre contraddistinti da forti dissapori e tensioni legate soprattutto alla questione relativa al mancato riconoscimento afgano della cosiddetta Linea Durand prima, ed al tentativo pakistano di utilizzare il territorio afgano per ottenere quella “strategic depth” considerata fondamentale nell’eventualità di un conflitto con l’India.

Negli anni successivi all’occupazione americana dell’Afghanistan, non vi è stato alcun miglioramento ed anzi, la situazione si è fatta spesso molto delicata e non sono mancati accesi scambi di accuse. In particolare, il governo guidato da Karzai si è spesso lamentato del rifugio offerto dalle autorità pakistane ai gruppi talebani che abbandonavano il territorio afgano poiché pressati dagli attacchi degli americani e dei loro alleati. L’Afghanistan ha spesso accusato l’ISI pakistana di condurre una politica di appoggio segreto agli insorti afgani e ciò ha minato le relazioni tra i due Stati, già segnate da decenni di frizioni e dissapori.

Nel mirino delle autorità di Kabul e delle capitali indiane ed occidentali invischiate nel pantano afgano, vi sono le FATA (Federally Administrated Tribal Areas), regione tribale pakistana al confine con l’Afghanistan, dove si pensa che si nascondino i maggiori gruppi talebani.

Tuttavia, sebbene tali tensioni siano tuttora presenti (si veda, ad esempio, la continua pressione della comunità internazionale affinché le forze armate pakistane intervengano nel Nord-Waziristan – luogo dove si crede che il network degli Haqqani risieda ormai da anni), non si può non notare un miglioramento delle relazioni tra Kabul ed Islamabad.

Nonostante le pessime relazioni personali tra Karzai e Musharraf, già alla fine del 2007, vi era stato un segno di distensione da parte del Pakistan, con l’ammissione, da parte dello stesso Generale, della presenza, sino ad allora negata, di gruppi talebani nei territori delle FATA.

I crescenti attacchi terroristici contro il governo pakistano, e contro lo stesso Musharraf, avevano infatti spinto il Pakistan ad adottare una nuova strategia riguardo alla questione afgana.

L’elezione di Zardari, avvenuta nel 2008, ha contribuito ad un ulteriore avvicinamento tra i governi dei due Paesi, i quali sono diventati sempre più coscienti della necessità di collaborare per far fronte ai problemi che attanagliano entrambi gli Stati.

Il 2009 è stato un anno molto importante nell’ottica delle relazioni afgano-pakistane. In occasione delle elezioni presidenziali afgane infatti, mentre gli USA adottavano toni molto critici nei confronti di Karzai – ritenuto corrotto ed incapace di governare e coagulare attorno a sé il consenso della popolazione – il Pakistan, data soprattutto la mancanza di alternative gradite (il maggiore esponente, Abdullah Abdullah, era ritenuto troppo vicino ai gruppi etnici costituenti la cosiddetta Alleanza del Nord), decideva di sostenere proprio l’attuale Presidente afgano, guadagnandosi la sua riconoscenza ed incrementando la fiducia tra le parti.

Nel marzo 2010, in occasione delle conferenza stampa seguita alla visita di Karzai alle autorità pakistane, il Presidente afgano si è spinto sino a definire Afghanistan e Pakistan alla stregua di “conjoined twins”, definendo invece l’India semplicemente come Paese amico. Sebbene si tratti solo di parole, questa dichiarazione ha suscitato molti dibattiti ed è stato accolta dal Pakistan come una sorta di legittimazione dello speciale ruolo che ricopre sullo scenario afgano.

Inoltre, pochi mesi dopo (giugno 2010), vi è stata una rottura tra Karzai e Amrullah Saleh, direttore dell’Afghan National Directorate of Security dal 2004 ed inviso ai servizi segreti pakistani (ISI) per le posizioni di forte critica assunte da Saleh nei loro confronti. Nei mesi precedenti, le tensioni tra quest’ultimo e Karzai erano aumentate proprio a causa del nuovo approccio adottato dal governo afgano in relazione ai talebani ed al Pakistan. In particolare, Saleh rimproverava al Presidente afgano di fare troppo affidamento sul sostegno dei pakistani e di assumere un atteggiamento troppo morbido nei confronti della lotta al terrorismo.

Questa vicenda è parsa a molti come una vittoria del Pakistan ed un ulteriore segno della sempre maggiore influenza esercitata da Islamabad sulle vicende afgane.

Con l’avvio dei contatti tra il governo afgano ed i talebani, si è aperta una nuova importante pagina delle relazioni tra Pakistan e Afghanistan.

Da subito, è apparso a tutti evidente come non si potesse prescindere da un coinvolgimento del Pakistan per un esito positivo del processo di riconciliazione.

Il governo di Islamabad, in seguito alla creazione dell’HPC, ha affermato di apprezzare tale iniziativa, dichiarando di essere disposto a facilitare in ogni modo le sue attività, lavorando dunque per il buon esito dei negoziati.

L’Afghanistan ed i suoi alleati fanno molto affidamento proprio sul Pakistan per ottenere qualche rilevante risultato sul fronte della riconciliazione e si è dunque deciso di formalizzare il ruolo di Islamabad all’interno di tale processo.

Lo scorso 4 gennaio, si è registrata la visita di una delegazione dell’HPC alle autorità pakistane.

Tale delegazione era composta da 17 membri ed aveva come obiettivo quello di ottenere l’aiuto dei pakistani nel processo di riconciliazione appena avviato, rassicurando le autorità di Islamabad circa l’atteggiamento dell’HPC nei loro confronti. I trascorsi del leader dell’HCP, Burhanuddin Rabbani, avevano infatti spinto il Pakistan a guardare con un certo scetticismo alla composizione, e dunque all’efficacia, di tale organismo. La visita di Rabbani era proprio tesa a dissolvere questi timori ed assicurare le autorità pakistane circa il ruolo di primaria importanza attribuita loro dall’Afghanistan, nell’ottica del dialogo con i talebani. Il leader dell’HCP ha sottolineato come il Pakistan rappresenti il Paese più importante per l’Afghanistan, cercando in questo modo di ottenere il suo sostegno.

In passato infatti, Islamabad è stata accusata di boicottare i tentativi di riconciliazione messi in atto dalle autorità afgane e a dimostrazione di ciò, si citano spesso gli arresti di membri di spicco dei talebani, poiché ritenuti in contatti con Kabul.

Oggi sembra che la situazione sia differente ed il governo pakistano si vede oramai riconosciuto il ruolo da sempre reclamato sullo scacchiere afgano. L’esito dell’incontro tra la delegazione dell’HPC e le autorità pakistane è stato positivo e si sono poste le basi per la creazione di un organismo a partecipazione comune, il quale dovrà giocherà un ruolo molto importante nel processo di riconciliazione.

In occasione della visita in Pakistan dello scorso 25 gennaio, da parte del ministro degli esteri afgano, Zalmai Rassoul, è stata formalizzata la creazione di una Joint Commission, la quale sarà guidata dai ministri degli esteri dei due Paesi e vedrà la presenza, tra i suoi membri, di alti ufficiali delle forze armate e dell’intelligence, a dimostrazione della volontà di dare vita ad un organismo dall’alto profilo e dalle molteplici competenze. Ne farà parte anche il vice-capo dell’HPC, Ataullah Ludin.

Oltre alla creazione di questa Joint Commission, le parti si sarebbero accordate anche per dare vita a vari gruppi di lavoro che permettano di approfondire la collaborazione in quei settori in cui finora è stata piuttosto debole, a dimostrazione del costante miglioramento delle relazioni tra Pakistan ed Afghanistan.

La visita del ministro degli esteri afgano è inoltre servita ai due Paesi per coordinarsi in vista dell’incontro trilaterale con gli Stati Uniti, in programma questo mese a Washington, dove si cercherà di concentrarsi sull’elaborazione di progetti di sviluppo di cui entrambi possano beneficiare. Alcune delle aree identificate per tali progetti sono: comunicazioni, energia, gestione delle acque e agricoltura.

COMPLICATI EQUILIBRI REGIONALI

Paiono dunque delinearsi dinamiche regionali nuove e cariche di implicazioni geopolitiche. Il Pakistan, ad esempio, per bocca del suo ministro degli esteri, Shah Mehmood Qureshi, non ha nascosto la volontà del suo Paese di restringere la cerchia degli attori coinvolti nella risoluzione politica delle problematiche afgane, affermando di esser grato ai Paesi amici per aver contribuito ad avvicinare Islamabad a Kabul, ma lasciando poi intendere che, fatta eccezione per gli Stati Uniti, gli altri Paesi dovrebbero adesso farsi da parte e limitarsi ad un ruolo secondario.

La volontà statunitense di limitare i danni e lasciare l’Afghanistan, lascia pensare che la prospettiva pakistana abbia alcune possibilità di successo. Tuttavia, nel caso in cui questo totale ribaltamento della logica adottata nel 2001, in occasione della Conferenza di Bonn (esclusione totale dei talebani dal tavolo delle trattative e marginalizzazione del Pakistan) dovesse realizzarsi, si potrebbe assistere ad un ripetersi di quel che è già accaduto in seguito al ritiro dei sovietici.

Diverse fonti indicano che la cosiddetta Alleanza del Nord si stia preparando a nuovi conflitti armati contro i talebani, una volta che gli Stati Uniti ed i suoi alleati avranno abbandonato il territorio afgano. Al momento, tale ipotesi appare piuttosto remota, ma non può trascurarsi il malcontento dei gruppi etnici non-pashtun, i quali si sentono sempre più minacciati dalle ipotesi di riconciliazione coi talebani. D’altra parte però, non può nemmeno ignorarsi lo stato d’animo della popolazione di etnia pashtun, la quale continua a sentirsi sottorappresentata nelle istituzioni del Paese2 e spinta a sostenere i gruppi dei militanti.

Affinché l’Afghanistan non cada in una situazione di aperta guerra civile, occorre la massima cautela ed una grande capacità di mediazione istituzionale tra i vari gruppi etnici. Per limitare ulteriormente una tale evenienza, occorre inoltre che i vari attori regionali trovino un modus vivendi e rinuncino ad interferire nelle questioni afgane.

In Pakistan, è parso a molti che gli accordi e le promesse fatte da Washington a New Delhi (nucleare civile; seggio nel Consiglio di Sicurezza; accordi economici) servissero proprio a compensare la perdita di influenza dell’India, sullo scenario afgano.

Aldilà di tali speculazioni, resta il fatto che sarà sempre più difficile, sia per l’Afghanistan che per gli Stati Uniti, riuscire a mantenere un certo equilibrio tra Pakistan ed India.

Numerosi esperti afgani affermano che gli avvenimenti degli ultimi mesi, sarebbero legati più a calcoli tattici che a cambiamenti sostanziali nei rapporti tra Pakistan ed Afghanistan.

Essi affermano che scetticismo e sfiducia caratterizzano tuttora le relazioni tra le due parti, ma che allo stesso tempo, le autorità di Kabul avrebbero deciso di adottare un approccio maggiormente pragmatico che le spinge ad avvicinarsi alle posizioni di Islamabad. Si tratterebbe dunque, di una scelta figlia della consapevolezza che senza il sostegno pakistano, la lotta al terrorismo diverrebbe un obiettivo a dir poco irrealizzabile.

L’Afghanistan continua dunque a costituire il terreno sul quale tensioni e strategie regionali si concretizzano; una postazione privilegiata da cui è possibile osservare l’evoluzione delle dinamiche asiatico-mediorientali.

Decenni di politiche errate ed interessi troppo divergenti tra gli attori coinvolti rendono estremamente complicato venire a capo del pantano venutosi a creare.

L’avvicinamento tra Pakistan ed Afghanistan rappresenta certamente un fattore positivo e potenzialmente capace di contribuire alla stabilità del Paese e della regione. Tuttavia, perché ciò avvenga, è necessaria la predisposizione di misure tali da incrementare la cooperazione tra i vari Stati ed implicitamente, la loro fiducia reciproca.

A tal proposito, gli accordi raggiunti sulla costruzione del TAPI ed a proposito del transito delle merci tra Pakistan ed Afghanistan, rappresentano passi importanti che vanno nella giusta direzione.

Solo una maggiore cooperazione tra le parti ed il supporto dei principali attori statali internazionali potranno far sì che si metta in moto un meccanismo di progressiva stabilizzazione regionale.

Per quel che riguarda l’Afghanistan, lo spettacolo offerto dalle ultime due tornate elettorali ha ulteriormente incrinato la fiducia nutrita dalla popolazione nelle principali istituzioni, elemento indispensabile per un qualsivoglia tentativo di pacificazione. La dilagante corruzione presente all’interno del governo centrale e di numerose istituzioni locali, non fa che peggiorare la situazione e contribuire al deterioramento della situazione in cui versa il Paese. Una capillare lotta alla corruzione, specie all’interno degli enti di governo più vicini alla popolazione, rappresenterebbe un segnale importante nei confronti degli afgani e ridurrebbe l’appeal di cui godono oggi i talebani.

Per quel che riguarda invece la dimensione regionale, sarebbe importante dare vita a luoghi di dialogo che permettessero alle varie parti di confrontarsi e convergere verso posizioni comuni. In questi ultimi anni, si è dato vita a numerosi fora di dialogo e ciò ha permesso un certo miglioramento nei rapporti tra alcuni degli Stati coinvolti. Tuttavia, non si può non notare come pochissimo sia stato fatto per dare slancio al dialogo tra Pakistan ed India, il quale costituisce la principale fonte di tensioni all’interno della regione. In quest’ottica, la costruzione del TAPI sarebbe di grande importanza, ma ulteriori misure andrebbero intraprese per spingere le parti ad una più stretta collaborazione.

Al momento, gli Stati Uniti sembrano attenti ad evitare di invischiarsi in un’eventuale opera di mediazione tra le parti e le stesse condizioni interne ai due Stati – e qui mi riferisco soprattutto alla debolezza dell’esecutivo pakistano – lasciano poco spazio alla speranza di un avvicinamento.

La difficoltà di un dialogo tra India e Pakistan sembra aver spinto le varie parti ad adottare un approccio pragmatico, fondato sulla convinzione che la sola strada percorribile sia quella di un approfondimento della collaborazione economica e sui conseguenti effetti benefici che essa avrebbe sulle relazioni politiche dei due Stati.

Trattasi dunque di un approccio funzionalista che potrebbe funzionare anche nel caso dei rapporti tra Pakistan ed Afghanistan.

Decenni di scontri ed incomprensioni hanno alimentato un fitto strato di scetticismo e ci vorrà molto tempo prima che i due Paesi, ma soprattutto le loro popolazioni, comincino a fidarsi l’uno dell’altro e un nuovo capitolo possa aprirsi nella storia dell’Asia meridionale.


* Daniele Grassi è dottore in Scienze Politiche e specializzando in “Relazioni Internazionali” presso la LUISS Guido Carli. Ha svolto uno stage di ricerca presso lo “Strategic Studies Institute” di Islamabad.


1 Nello svolgimento delle sue attività, l’HPC si avvale del sostegno e dell’assistenza logistica fornitagli dal “Saalam Group”. L’UNAMA ne ha annunciato la creazione lo scorso 31 ottobre. Si tratta di un gruppo di esperti delle Nazioni Unite che metterà la proprie competenze a disposizione del processo di riconciliazione e contribuirà ad un maggiore coinvolgimento dell’ONU in questa delicata fase.

2 In occasione delle ultime elezioni parlamentari, i pashtun hanno perso decine di seggi in favore degli altri gruppi etnici.


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