Gli effetti immediati di una guerra, a prescindere dall’oggettività delle fonti giornalistiche in loco e dalla reale possibilità che queste hanno di riferire sugli eventi bellici, sono spesso riportati in termini ponderali, quindi misurabili: numero di morti e di feriti, danni agli edifici e alle infrastrutture, ecc. Un simile approccio è ben più problematico, invece, quando gli effetti sotto studio sono quelli a lungo termine sulla salute dei sopravvissuti. Questo è in gran parte dovuto alla difficoltà intrinseca di studi condotti sul posto, che sono invisi alle forze occupanti, e alla natura stessa di questi studi, i quali necessitano di lunghi periodi di follow-up, un numero elevato di campioni, personale altamente specializzato per la raccolta dei dati ecc. Un gruppo di ricercatori italiani ed esteri ha appena pubblicato su una rivista scientifica internazionale i risultati di una ricerca, del tutto inedita come approccio e sui generis, sugli effetti delle nuove armi usate dall’esercito israeliano a Gaza nelle operazioni militari del 2006 e 2009, e i dati che ne derivano sono allarmanti.

Il 27 dicembre 2008 Israele lanciava sulla striscia di Gaza l’offensiva militare denominata in codice dei servizi di sicurezza israeliani Piombo fuso. Il conflitto, terminato il 18 gennaio 2009, lasciava sul terreno circa 13 israeliani e 1300 palestinesi. ça van sans dire, le vittime furono soprattutto civili. Durante e dopo la guerra di Gaza, molti medici palestinesi hanno riferito sulla presenza di ferite insolite sui cadaveri e i feriti. Le persone con queste ferite insolite non avevano alcun residuo né frammento, facendo pensare all’utilizzo, da parte dell’esercito israeliano, di nuove armi cosiddette directed-energy weapons o senza frammenti. Durante l’operazione di Gaza l’esercito d’Israele ha utilizzato, ad esempio, il fosforo bianco come arma incendiaria, tuttavia, vista la natura delle ferite e delle amputazioni, l’utilizzo di altre armi senza frammenti è una certezza. Per questo motivo, un gruppo indipendente di ricercatori del New-weapon committee (http://www.newweapons.org/) sta conducendo studi in loco per (i) registrare l’impatto immediato di queste armi sulle vittime e l’ambiente e (ii) studiarne gli eventuali effetti a lungo termine sulla popolazione civile. Recentemente il New-weapon committee ha pubblicato una parte dei dati nella rivista scientifica internazionale BMC International Health and Human Rights (http://www.biomedcentral.com/bmcinthealthhumrights/) e questi primi risultati aiutano a gettare luce su quello che è un vero e proprio cono d’ombra sugli effetti di una guerra sul corpo delle vittime.

Durante l’offensiva israeliana sono stati prelevati campioni di tessuto dalle vittime, divisi in classi di ferite, per analizzare la presenza di metalli pesanti, tra cui sono noti molti elementi tossici, cancerogeni e potenzialmente dannosi per le donne incinte e i loro bambini. I campioni sono stati poi analizzati in diversi laboratori indipendenti, italiani ed esteri, per un’analisi in cieco, vale a dire senza saper nulla sull’origine e natura dei campioni. E i risultati non si sono fatti attendere: la maggior parte dei metalli studiati erano presenti nelle ferite in quantità molto sopra la soglia normale ed erano in dosi letali o altamente tossiche (ad esempio nel caso dell’arsenico, l’alluminio e il mercurio). Alcuni di questi metalli possono causare nel tempo delle malattie croniche, come effetti tossici per i feti e problemi riproduttivi, polmonari, cutanei e renali. Trattandosi di metalli pesanti non vanno naturalmente esclusi effetti cancerogeni, del tutto accertati per molti dei metalli analizzati (come per l’arsenico, il cadmio e l’uranio). Molti metalli hanno inoltre un comportamento biologico simile agli estrogeni, e possono quindi interferire con la fertilità, la determinazione del sesso e la riproduzione.

Assieme all’analisi della presenza di questi metalli pesanti nelle ferite provocate da questo tipo di armi – dice Paola Manduca, professoressa di Genetica all’Università di Genova, che è anche tra gli autori dello studio e portavoce del New-weapon committeesarà importante stabilire un’eventuale contaminazione ambientale, specie in quei territori colpiti dai bombardamenti e ad alta densità demografica, in cui c’è agricoltura e i bambini sono liberi di scendere in strada a giocare. Per questo stiamo conducendo studi per evidenziare la presenza di metalli pesanti nella popolazione, nelle donne incinte e i bambini, attraverso l’analisi dei capelli: questi sono, infatti, un ottimo indicatore di contaminazione ambientale. Risultati preliminari, conclude la professoressa Paola Manduca, evidenziano la preoccupante presenza di contaminazione di metalli cancerogeni e tossici nei capelli dei bambini e nella popolazione giovane di Gaza che è stata più esposta ai bombardamenti”.

Riferimenti:
Metals detected by ICP/MS in wound tissue of war injuries without fragments in GazaSobhi Skaik, Nafiz Abu-Shaban, Nasser Abu-Shaban, Mario Barbieri, Maurizio Barbieri, Umberto Giani, Paola Manduca ( http://www.biomedcentral.com/1472-698X/10/17 )

* Domenico Lombardini (Albenga, 1980), laureato in biologia, è redattore e traduttore tecnico. Dopo un’esperienza nella ricerca biomedica, si è dedicato completamente alla redazione e traduzione medico-scientifica. Collabora con agenzie di comunicazione e testate giornalistiche, tra cui Sapere e Il Manifesto. Si occupa anche di storia contemporanea e poesia. Pubblicazioni in volume: Economia (Puntoacapo, 2010), Legenda (Fara editore, 2009 – antologia del premio in cui risulta primo classificato).


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