Il Pakistan è scosso da una considerevole spirale di violenza. Ai bombardamenti statunitensi lungo il confine con l’Afghanistan si sono aggiunti gli scontri etnici nelle province del Belucistan e del Sindh. Per quanto riguarda quest’ultima regione, il carattere d’indiscriminata conflittualità contraddistingue soprattutto la sua capitale, Karachi. L’estrema violenza caratterizzante la città potrebbe comportare delle conseguenze imprevedibili per l’intero Pakistan, mettendo in seria discussione l’unità e l’intregrità territoriale del paese. La conflittualità interna è strettamente connessa agli interessi dei paesi limitrofi e degli Stati Uniti, con potenziali ripercussioni anche per l’Afghanistan.

 

Karachi rappresenta il centro urbano e portuale economicamente più importante del Pakistan. La città è il traino dell’industria, del commercio e delle comunicazioni, in particolar modo per quanto riguarda i settori tessile e automobilistico, l’editoria, l’informatica e la ricerca medica. Il centro urbano è, inoltre, un fondamentale nodo geostrategico affacciato sul Mar Arabico. Data l’importanza economica di Karachi, già florido centro prima della nascita del Pakistan, la capitale del Sindh ha attirato nel corso degli ultimi due secoli un gran numero di migranti provenienti da diverse aree del Subcontinente, trasformandosi in una città multietnica e multilinguistica. Nella città, prima del 1947, convivevano diverse etnie, attirate dalle possibilità commerciali; erano presenti differenti comunità religiose, principalmente musulmani, hindu, parsi e cristiani. Karachi e il Sindh intero, in seguito alla partizione tra India e Pakistan, sono stati contraddistinti da una massiccia migrazione di musulmani provenienti dall’India, demominati mohajirs e di lingua urdu (mohajirs in urdu significa “migrante”). Rispetto ad altre aree del Pakistan, nel Sindh la migrazione urdu è stata più evidente ed ha generato una situazione di maggiore criticità. Mentre nelle restanti zone del paese la minoranza dei mohajirs è stata assimilata perché il suo numero era inferiore rispetto alla popolazione autoctona, nel Sindh, molto più vicino geograficamente all’India, i nuovi arrivati di lingua urdu superarono numericamente le etnie locali, modificando considerevolmente il carattere etnico della provincia.

Una delle cause scatenanti l’attuale stato di violenza della città è da ricercare nel composito carattere etnico del Sindh, complicato a partire dal 1947. La conflittualità tra etnie a Karachi e nella regione circostante non è, infatti, un problema che caratterizza il Pakistan da pochi anni, ma è invero una situazione perdurante da decenni. Tra gli anni ’50 e ’80 la regione era contraddistinta in particolare dagli scontri tra la popolazione di lingua urdu, rappresentanti solitamente la classe urbana, commerciale e maggiormente istruita della provincia, e i sindhi, gruppo etnico per la maggior parte dei casi rurale e meno istruito, trasformatosi minoranza nel proprio territorio storico. Gli scontri vennero, inoltre, utilizzati a seconda dei mutevoli interessi delle autorità centrali di Islamabad, tradizionalmente intenti a privilegiare l’etnia punjabi. La presenza a Karachi dei mohajirs è, inoltre, considerevolmente aumentata a partire dal 1971, in seguito alla migrazione di ulteriori gruppi musulmani di lingua urdu provenienti dall’ex Pakistan orientale dopo l’indipendenza del Bangladesh.

 

I motivi degli scontri etnici a Karachi e le possibili conseguenze per l’integrità territoriale del Pakistan

 

Le violenze quotidiane che hanno trasformato Karachi in un pericoloso centro, teatro di scontro tra bande, mafie locali e gruppi armati artefici di rapimenti, estorsioni ed esecuzioni sommarie, è dovuto principalmente alla conflittualità tra i mohajirs e i pashtun, questi ultimi di recente immigrazione. Il nesso tra criminalità e politica è molto forte, mentre le forze di sicurezza locali e le autorità centrali di Islamabad non sono in grado, per il momento, di riportare la città in una situazione di normalità. I partiti politici più importanti di Karachi, il Muttahida Quami Movement (MQM) rappresentante gli urdu, 45% della città, e l’Awami National Party (ANP), partito della minoranza pashtun, 25% degli abitanti di Karachi, si accusano a vicenda per la responsabilità delle violenze; i due gruppi politici, assieme al partito nazionale e governativo del Pakistan People’s Party (PPP), che a Karachi rappresenta gli interessi sindhi, sono i diretti responsabili delle violenze. Queste sono esplose soprattutto a partire dal 27 giugno, quando l’MQM decise di uscire dalla coalizione di governo del Sindh per l’avversione nei confronti dell’ANP e per incompresioni politiche con il governo nazionale di Islamabad guidato dal PPP. Il carattere etnico della città è complicato ulteriormente dalla presenza di altre minoranze, in particolare balochi, punjabi, kashmiri, saraiki e numerose altri gruppi etnici. A Karachi è presente anche una minoranza sciita, la quale si è sovente scontrata con la maggioranza sunnita. I sindhi, 60% della popolazione di Karachi nel 1947, oggi rappresentano il 7% della città.

La massiccia presenza pashtun a Karachi è recente ed è dovuta soprattutto alla considerevole migrazione verso sud delle popolazioni provenienti dalle regioni settentrionali del Pakistan, soprattutto dalla provincia di Khyber Pakhtunkhwa e dalle Federally Administered Tribal Areas (FATA), ma anche dall’Afghanistan; le migrazioni sono state causate dall’invasione sovietica del 1979, da quella USA nel 2011 e dai bombardamenti statunitensi lungo la linea Durand. Le recenti migrazioni di pashtun, ma anche di tagiki, hazara, turkmeni e uzbeki provenienti dall’Afghanistan, hanno modificato considerevolmente il carattere etnico di Karachi, la quale unitamente alle violenze tra urdu e sindhi, è diventata teatro di scontri tra urdu e pashtun, e tra questi ultimi e i sindhi. Senza dimenticare i punjabi, rappresentanti gli interessi dei militari e delle autorità centrali pakistane, attente a favorire una o l’altra etnia a seconda delle circostanze politiche. La recente storia del paese è caratterizzata da questa particolare linea di politica interna.

L’attuale importanza dell’MQM, terzo gruppo politico a livello nazionale, è derivata, infatti, dall’azione governativa del regime di Zia ul-Haq tra anni ’70 e ‘80. Avendo come fine l’indebolimento del PPP e del suo capo, Zulfiqar Ali Bhutto, di etnia sindhi e il cui governo venne rovesciato proprio da Zia, il generale favorì la nascita e il consolidamento politico del partito urdu. L’MQM si rafforzò nel corso degli anni ’80, trasformandosi in un’importante forza di equilibrio nel panorama politico pakistano, alleandosi, a seconda delle circostanze, con il PPP o con la conservatrice Pakistan Muslim League (PML). Dopo il crollo di Zia, l’ISI accusò l’MQM di essere una forza cospirativa filo-indiana, finanziata dai servizi segreti di Nuova Delhi e avente come obiettivo primario la creazione di uno Stato autonomo di lingua urdu, il Jinnahpur con Karachi capitale. Durante gli anni ’90, infatti, l’MQM ha subito una violenta repressione da parte del governo centrale di Islamabad, in particolar modo quando salirono al potere Nawaz Sharif (PML-N) e Benazir Bhutto (PPP). Il partito degli urdu contò invece sull’appoggio del generale Pervez Musharraf, anch’esso di etnia mohajirs. Nell’ultimo decennio, infatti, l’MQM ha registrato una considerevole espansione, aumentando la propria influenza nell’intero paese, ma soprattutto in Punjab, cuore politico e militare del Pakistan. Diversi analisti sostengono il fatto che l’MQM possa contare attualmente sul decisivo appoggio dell’apparato militare pakistano e dell’ISI, vicini all’etnia punjabi, in modo da poter controbilanciare l’influenza pashtun nel Sindh, ma soprattutto nell’intero Pakistan.

Le violenze a Karachi sono dunque legate alla complicata situazione della politica interna pakistana, ricalcante le differenze etnico-linguistiche del paese. La forza politica dell’MQM non è attualmente riscontrabile solo nella città portuale, ma è evidente nell’intero paese. In questa fase politica è necessario per gli altri partiti, soprattutto per il PPP, scendere a patti con l’MQM, il quale si è trasformato in un indispensabile partito, garante del mantenimento dell’equilibrio politico del Pakistan. A Karachi le violenze sono aumentate in seguito all’abbandono da parte dell’MQM del governo federale del Sindh: i mohajirs accusano Zardari e il PPP di essere troppo vicini all’ANP. Lo scontro tra MQM e governo centrale è legato anche ai recenti arresti di attivisti mohajirs di Karachi accusati di terrorismo.

Una spiegazione delle violenze che stanno attraversando Karachi è connessa certamente alle migrazioni di popolazione pashtun nella città. Non si tratta solamente di un problema sociale ed economico, per l’evidente accresciuta competizione tra etnie diverse nella ricerca di lavoro e nell’acquisto di terre. Una questione fondamentale riguarda una problematica di tipo politico, ovvero quale gruppo etnico assumerà il controllo di Karachi, la città economicamente più importante del Pakistan che garantisce il 68% delle entrate nazionali. Le preoccupazioni dei diversi gruppi etnici sono evidenti: gli abitanti di lingua urdu temono la “talebanizzazione” della città ad opera della minoranza pashtun; questi ultimi denunciano l’eccessiva violenza dei mohajirs; i sindhi osservano negativamente sia i pashtun sia i mohajirs. Tutti e tre i gruppi etnici maggioritari di Karachi accusano il governo centrale di Islamabad di privilegiare l’etnia punjabi, favorendo lo sviluppo del solo Punjab a discapito degli altri territori dello Stato.

Le violenze fra etnie, fomentate dall’MQM, dall’ANP e dal PPP, possono portare a della serie conseguenze non solo per la città, ma anche per il resto del paese, generando una potenziale situazione d’instabilità. Se si pensa all’attuale situazione del Belucistan, tale scenario non sembra lontano dalla realtà. Di fondamentale importanza sono i risvolti geopolitici connessi alla stabilizzazione del paese e l’azione che intraprenderanno i diversi attori internazionali attenti alle sorti del Pakistan e dell’Afghanistan.

 

I collegamenti internazionali delle violenze a Karachi e nel Pakistan

 

Secondo l’ottica pakistana, una delle cause della situazione di completa anarchia e settarismo di Karachi deriva dall’appoggio esterno alle diverse fazioni in lotta. Questo sarebbe garantito in primo luogo dall’India, ma anche da Stati Uniti e Israele. Una delle spiegazioni offerte dal governo nel passato per descrivere la conflittualità del Sindh, ripresa recentemente, è connessa all’azione svolta da attori esterni, i quali aizzano le diverse etnie del paese una contro l’altra, in modo da favorire la destabilizzazione e lo smembramento del Pakistan.

La situazione in Belucistan, zona ricca di gas naturale e minerali, ma molto povera, è particolarmente tesa. Secondo Islamabad, i servizi segreti dell’India appoggerebbero le spinte indipendentiste dei beluci e le violenze anti-punjabi. Il Belucistan è teatro, inoltre, del violento scontro tra governo centrale e movimenti sciiti della regione. Secondo la visuale pakistana, oltre ai servizi segreti indiani, agirebbero in Belucistan la CIA e l’MI6 britannico, i quali fomenterebbero le azioni anti-governative dei beluci. Il Pakistan guarda con sospetto all’attivismo indiano nella città iraniana di Chabahar, anch’essa beluca. L’azione statunitense potrebbe avere dei chiari risvolti negativi per gli interessi cinesi nell’area e per l’Iran, dato l’indipendentismo beluco presente nella provincia iraniana del Sistan-Belucistan.

Sempre secondo Islamabad, la RAW indiana, il Mossad e la CIA favorirebbero il traffico illegale di armi nell’emporio di Karachi, la cui zona portuale è controllata dall’MQM. All’indomani della visita di Karzai e Zardari a Tehran lo scorso giugno, il ministro degli interni pakistano Rehman Malik ha riferito pubblicamente alla stampa del ritrovamento di armi di fabbricazione israeliana a Karachi.

Il Pakistan, se da una parte ha visto deteriorarsi i propri legami con gli Stati Uniti, ha migliorato i propri rapporti con l’Iran, testimoniati concretamente dal possibile avvio dei lavori in territorio pakistano del gasdotto di collegamento tra Tehran e Islamabad. L’Arabia Saudita osserva con particolare preoccupazione l’avvicinamento tra i due paesi, foriero di una pericolosa messa in discussione del teorema dell’inevitabile scontro e competizione tra sunniti e sciiti nel mondo musulmano. Un problema comunque di primo piano da risolvere nel dialogo iraniano-pakistano sarà legato al finanziamento del gruppo terroristico Jandullah, il quale opera nel Sistan-Belucistan e, secondo l’Iran, ha legami diretti con l’ISI. L’Iran ha sospetti anche sull’Afghanistan, mentre la stessa Islamabad ritiene che ci siano dei collegamenti tra Tehran e l’indipendentismo beluco in Pakistan. Islamabad ha, inoltre, intensificato i propri rapporti con la Cina. In questo modo il governo pakistano, legandosi maggiormente a Tehran e Pechino, sta aumentando considerevolmente il proprio potere negoziale nei confronti degli Stati Uniti. Un altro fattore da considerare è, inoltre, il crescente interesse di Russia, Iran e Cina per la questione afghana. Gli Stati Uniti guardano naturalmente con estremo interesse l’evolversi della situazione interna del Pakistan, un paese del quale non possono fare a meno per la propria strategia in Afghanistan. Vista la recente intenzione di mantenere una base militare a Kabul fino al 2024 è necessario, nell’ottica statunitense, sostenere un dialogo con i talebani, i quali non appaiono comunque troppo favorevoli alla presenza di truppe nordamericane in Afghanistan; del medesimo parere sono Russia, Cina, Pakistan e Iran. Islamabad, possibile canale privilegiato per il dialogo con i talebani, diventa dunque fondamentale per l’azione statunitense in Afghanistan, data anche l’attuale debolezza politica di Karzai.

La destabilizzazione del Pakistan e il suo potenziale controllo si collegano alle recenti violenze di Karachi, connesse a una strategia volta al favorire lo smembramento del paese asiatico discussa in diversi think tank nordamericani (vedi l’articolo http://www.eurasia-rivista.org/gwadar-la-competizione-sino-statunitense-e-lo-smembramento-del-pakistan/9828/). Tutto ciò è collegabile alla notizia secondo la quale gli Stati Uniti avrebbero come obiettivo il controllo diretto dell’arsenale nucleare pakistano, alle richieste di Islamabad di poter disporre del diritto di veto per gli unilaterali bombardamenti statunitensi sul proprio territorio e alle schermaglie tra CIA e ISI, con l’insolito avvicendarsi nel giro di pochi mesi di tre diversi capi del servizio segreto statunitense a Islamabad. Se da una parte, inoltre, gli Stati Uniti vogliono ricercare un dialogo con i talebani, dall’altro lato non si curano dei bombardamenti nei confronti di quei gruppi che hanno già raggiunto una pacificazione con il Pakistan, ma che operano in Afghanistan, vedi la rete Haqqani, con possibili ripercussioni negative per la sicurezza interna di Islamabad. Un’altra fondamentale questione riguarda il temine degli aiuti finanziari di Washington nei confronti del Pakistan, uniti alla crisi finanziaria e all’impossibilità da parte degli Stati Uniti di mantenere un costoso apparato militare in Afghanistan, vista anche l’attenzione crescente per il Vicino Oriente e il Nord Africa. Resta da capire se le strategie sul Pakistan discusse nei think tank statunitensi verranno concretamente messe in azione. Sta di fatto che un’interpretazione dell’attuale fase critica del Pakistan è connessa al teatro afghano, poiché il carattere di estrema precarietà del paese può essere valutato come una diretta conseguenza dell’invasione e destabilizzazione dell’Afghanistan, propagatasi successivamente in territorio pakistano. Il collasso del sistema statale è concretamente in atto lungo il confine tra i due paesi e le migrazioni dei pashtun verso Karachi degli ultimi anni rendono la situazione della città e del paese in generale sempre più complicata.

E’ da valutare, inoltre, quanto le violenze a Karachi possano favorire gli interessi statunitensi, vista la sua posizione strategica come unico porto in grado di supportare le truppe NATO in Afghanistan. Kabul non ha collegamenti via mare e risulta essenziale l’attenzione nordamericana su Karachi, importante porto sul Mar Arabico e attualmente punto strategico per il riformimento di mezzi e truppe via mare da indirizzare in Afghanistan. Nell’emporio di Karachi si può individuare un ulteriore elemento che testimonia l’importanza del Pakistan per gli Stati Uniti. Collegato alla questione della città e alle sue minoranze, saranno da valutare anche gli impatti sull’etnia pashtun del potenziale dialogo che potrebbe stabilirsi tra i talebani e gli Stati Uniti, così come il ruolo che ricoprirà il Pakistan nei colloqui.

Dialogo valutato negativamente dall’India e dall’Iran. Per quanto riguarda Nuova Delhi è da valutare quanto convenga all’India fomentare l’indipendentismo delle minoranze etniche presenti in Pakistan. La destabilizzazione dell’Afghanistan, avvenuta a partire dal 2001, con la successiva caotica situazione pakistana, non è detto che non si espanda anche in India. Se da una parte, con l’annichilimento del Pakistan si conorerebbe il sogno della definitiva sconfitta del nemico, da una diversa prospettiva tutto ciò potrebbe comportare delle serie ripercussioni per l’autonomismo e l’indipendentismo di vaste aree interne del paese, soprattutto in Kashmir e nel nord-est indiano. Se da una parte gli Stati Uniti hanno come obiettivo il caos per poi controllare la situazione, sembra che recentemente Nuova Delhi stia addontando una politica più accorta nei confronti del Pakistan.

 

*Francesco Brunello Zanitti, Dottore in Storia della società e della cultura contemporanea (Università di Trieste). Ricercatore dell’ISaG per l’area Asia Meridionale, è autore del libro Progetti di egemonia (Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2011). In “Eurasia” ha pubblicato Neoconservatorismo americano e neorevisionismo israeliano: un confronto (nr. 3/2010, pp. 109-121).

 

 


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