Nel suo “The Geographical Pivot of History” del 1904, Sir Halford Mackinder teorizzò la presenza sul globo terrestre della pivot area, riferendosi in particolare al blocco eurasiatico, e spiegando che chi avesse conquistato quella fetta di dominio globale sarebbe riuscito a esercitare il potere sul resto del mondo. Nel suo saggio conferì una certa importanza anche alla Cina, nell’affermare che attraverso la costruzione di una politica di potenza tale Stato avrebbe potuto fungere da contrappeso allo strapotere euroasiatico. A più di un secolo di distanza, l’analisi di uno dei padri della geopolitica prende sempre più forma: la Cina, in queste ultime settimane, ha raggiunto il secondo posto nella classifica mondiale dei paesi più ricchi, dimostrando di essere una grande potenza non solo in campo finanziario ed economico, ma anche diplomatico e politico. A discapito di chi vorrebbe sfatare questo mito, considerando l’ingente numero di abitanti cinesi e le reali condizioni del paese, è necessario prestare attenzione allo scacchiere geopolitico asiatico, per notare quali siano i mutamenti nelle sfere di influenza. Il grande sconfitto è il Giappone, che slitta al terzo posto tra le economie mondiali e risente del pressing esercitato da parte degli Stati Uniti d’America, i quali continuano a voler usufruire dell’alleanza con il paese del Sol Levante come trampolino di lancio sull’intera regione. Il governo di Hatoyama si è dimesso il 2 giugno anche per via della questione della base militare statunitense stanziata ad Okinawa, divenuta ormai impopolare, mentre poco dopo l’attuale premier Naoto Kan, durante il vertice del G8 in Canada, avrebbe affermato di fronte ai grandi della terra di voler al prossimo tavolo delle trattative anche la Cina. Nonostante quest’ultima informazione non sia stata confermata da voci ufficiali, la tendenza ad un avvicinamento tra Cina e Giappone sempre più consolidato nel tempo lascia presagire la nascita di nuove alleanze e un’inversione di tendenza dei flussi finanziari e commerciali mondiali.


La Guerra Fredda tra Cina e Giappone

I rapporti politico-diplomatici sino-giapponesi sono stati fortemente segnati da episodi che, storicamente, hanno incrinato il già precario balance of power regionale. Gli scambi bilaterali tra i due paesi hanno tuttavia condotto a risultati positivi in vari settori, in particolare nello sviluppo e nella cooperazione. Giappone e Cina sono entrambi importanti interlocutori commerciali della controparte, e quest’ultima è ormai il secondo maggiore mercato per il Giappone. Il deterioramento delle relazioni bilaterali tra Tokyo e Pechino, avvenuto durante la Guerra Fredda e protrattosi negli anni successivi, non è dipeso solo da questioni storiche e dalla querelle su alcuni episodi che hanno coinvolto entrambi gli Stati, ma si è palesato con riguardo ad alcune istanze che potrebbero ben costituire un casus belli. Una di esse riguarda lo status dell’isola di Taiwan: la Cina non è contraria alla concessione di visti e ai flussi migratori con il Giappone, ma si oppone fortemente affinché non ci siano scambi ufficiali, e chiede a Tokyo di non includere Taiwan nel piano di sicurezza comune al quale lavora con gli Stati Uniti. L’arcipelago delle isole Diaoyu, situato nel Mar cinese orientale e appartenente fin dall’antichità alla Cina, che ne controlla anche le acque circostanti, rappresenta un’ulteriore questione spinosa. Tutto ciò ben si collega con la crescente preoccupazione cinese riguardante la forza militare giapponese.


Il Giappone oggi

Durante la Guerra Fredda, il Giappone si è reso promulgatore di una visione d’insieme che ha aiutato il paese ad uscire fuori da una crisi a tratti ingovernabile, dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale che fu solo apparentemente militare. Ha inoltre cercato di entrare nell’orbita occidentale, conquistando un primato dal punto di vista monetario. Tuttavia, nonostante il rilancio effettivo del paese, ad oggi Tokyo non possiede una filosofia in grado di imprimere un nuovo indirizzo ed una nuova visione politica, culturale e sociale utile a risollevare le sorti di un paese impegnato a superare il difficile impasse della crisi finanziaria. L’attuale classe dirigente giapponese si trova a fronteggiare dinamiche che sembrano aver impresso al paese una pericolosa inversione di tendenza: l’invecchiamento della popolazione, l’impatto della globalizzazione e il tentativo di confrontarsi con una politica estera più stabile e sicura, hanno creato un vuoto di potere nient’affatto irrisorio, nonché una forte perdita di consenso da parte della popolazione. La crisi d’identità interna allo Stato di certo non giova alla sua competitività con il resto del mondo industrializzato, e anzi rallenta la soluzione ai problemi. Sebbene le capacità militari giapponesi siano considerevoli, anche più di quanto l’Occidente riesca a stimare, il suo bilancio per la difesa ha subito forti tagli negli ultimi anni.

L’economia giapponese è in controtendenza: nonostante abbia ricevuto un rallentamento, dopo un periodo in cui non sembrava vacillare, lo yen tende a rafforzarsi. La moneta giapponese è considerata internazionalmente una valuta rifugio in un contesto di incertezza che ancora aleggia sulla ripresa globale. Il quotidiano Nikkei ha riferito che la Dieta giapponese richiederà il prossimo 7 settembre al governo di attuare una politica monetaria espansiva, attraverso un intervento pubblico sui cambi che Tokyo non applica dal 2004, il quale dovrebbe essere utile anche per evitare una ricaduta nella recessione.


L’orizzonte asiatico all’ombra cinese

La struttura economica dei paesi dell’Asia dell’est dovrebbe puntare all’integrazione e al rafforzamento dei rapporti tra i singoli Stati. Nel tempo si sono susseguite diverse iniziative finanziarie: ad esempio, l’accordo commerciale tra la Cina e i paesi dell’ASEAN, firmato all’inizio del 2010, il quale, tuttavia, non potrà determinare da solo il prossimo corso economico regionale.

La crisi economica iniziata nel 2008 ha aiutato l’Asia ad imporsi nell’economia globale. I paesi asiatici emergenti (Cina, India, Indonesia, Malesia, Tailandia, Vietnam, Filippine) sono in testa alla ripresa dalla depressione, che ha impresso nel PIL un calo fortissimo.

La crisi attuale ha dimostrato quanto sia stratificato il contesto asiatico, ma anche il fatto che il mondo non può più dipendere dai consumatori americani che acquistano i prodotti asiatici. La sfida più grande per l’Asia è espandere la domanda all’interno della regione così da aiutare le fluttuazioni dell’economia globale. L’integrazione economica gioca un ruolo primario in questo caso: la Cina, dal canto suo, si sta imponendo sempre di più nell’orizzonte economico regionale, proponendosi come nuovo snodo nevralgico, stringendo accordi economici, ma soprattutto attraverso la diaspora della sua popolazione presente massicciamente in Africa, America Latina ed Europa.

A seguito di questi cambiamenti, il Giappone non può trascurare ulteriormente il suo ruolo di grande potenza regionale. La spesa militare cinese raddoppia annualmente, e la modernizzazione del suo arsenale è decisamente orientata all’estensione del proprio potere e della propria influenza. Il Giappone guarda alla crescita di tale forza con attenzione e con ansia per il controllo sul Mare cinese orientale, continuando a tessere relazioni diplomatiche con la Cina, e dando una risposta chiara agli Stati Uniti, dai quali continua ad allontanarsi dopo la questione di Okinawa. D’altro canto, rimane trincerato dietro la forza della sua moneta, e non può permettersi di cedere ulteriormente il passo alla valanga cinese.

L’economia globale potrebbe tornare a manifestare una tendenza positiva grazie agli accordi stipulati tra i tre grandi della finanza mondiale, ma per fare ciò il Giappone dovrebbe applicare una strategia economica maggiormente liberista. La Cina, dal canto suo, potrebbe giocare un ruolo determinante attraverso la liberalizzazione degli investimenti e dei prodotti di cui è previsto l’aumento della domanda da parte delle classi medie. Pechino, tuttavia, non agisce sul sistema dei cambi, e c’è chi ha ancora delle remore sulla sua forza e sulla sua stabilità economica per via del numero di abitanti e per l’economia sommersa.

L’equilibrio di potenza, non solo globale ma anche regionale, sta dunque cambiando radicalmente, e il Giappone ha un ruolo strategico determinante su entrambi i livelli. Pechino e Tokyo debbono far svanire la tensione nel Mar cinese orientale, senza dimenticare lo sguardo attento degli Stati Uniti.


* Alessia Chiriatti è dottoressa in Sistemi di comunicazione delle relazioni internazionali (Università per stranieri di Perugia)


Le opinioni espresse nell’articolo sono dell’Autrice, e potrebbero non coincidere con quelle di “Eurasia”


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