Fonte: http://www.lahaine.org/index.php?p=54038

E’ tornato Mel Zelaya e il popolo honduregno è esploso di gioia e entusiasmo. La stessa gente che durante gli ultimi due anni ha dato vita alla più grande Resistenza centroamericana che la mente possa ricordare. Migliaia di uomini, donne e bambini sono scesi per le strade ed hanno affrontato militari e polizia, ostacolando le pallottole con i loro corpi e lasciando perire decine di morti in questa dura battaglia. Per l’occasione sono arrivati a Tegucigalpa da tutte le parti del paese per rivedere il loro leader.

 

E’ tornato Mel Zelaya e l’Honduras si è tinta del rosso della bandiera del Fronte Nazionale di Resistenza Popolare e dell’azzurro della bandiera nazionale. Gli slogan “Sí, se pudo” (una sorta di “Sì, ce l’abbiamo fatta”, “Sì, è stato possibile”; Ndt) e “Fuera el imperialismo” si mescolavano ai fischi rivolti al governo di Porfirio Lobo e all’inno universale che accomuna tutti coloro che lottano in ogni angolo del mondo: “El Pueblo unido jamás será vencido” (Il popolo unito mai sarà sconfitto).

 

E’ tornato Mel Zelaya e subito ha ratificato pubblicamente l’Accordo di Riconciliazione firmato a Cartagena de Indias (Colombia) che include fra i suoi punti, l’investigazione sulle violazioni dei diritti umani (diritti che continuano ad essere calpestati quotidianamente dal governo Lobo), e la possibilità di realizzare un referendum con l’interesse di ottenere la tanto sperata Assemblea Costituente, per la quale il popolo honduregno è sceso in strada tante volte in questi due anni.

 

Eppure, nell’accordo qualcosa non torna, qualcosa che porta a porsi logiche perplessità, che dovrebbero far rimanere in guardia, d’ora in avanti, le migliaia di militanti della Resistenza, e ha a che vedere con quelle persone, ora presenti nel governo, che realizzarono il colpo di stato pro-yankee in Honduras e che, nonostante abbiano permesso il ritorno di Zelaya, non sarà facile che rinuncino a ciò che hanno conquistato tempo fa. Inoltre, uno dei mediatori per la concretizzazione dell’accordo è niente meno che un genocida del popolo colombiano, il presidente Santos, lo stesso che ha reso possibile che gli yankee installassero nove basi militari nel paese con lo scopo di minacciare tutti quei paesi non allineati con gli Stati Uniti.

 

Un altro punto di discordia è il quasi sicuro ingresso dell’Honduras nel OEA (Organizzazione degli Stati Americani), il che dovrebbe attualizzarsi la prossima settimana

(l’articolo è datato 30/05/2011 e l’ingresso è affettivamente già avvenuto; NdT). Non esiste alcuna ragione che possa convincere coloro che hanno lottato tutto questo tempo di un simile sproposito. Nessuno può dimenticarsi, per quanti discorsi politicamente corretti si possano scrivere, che Porfirio Lobo rappresenta il prosieguo della dittatura imposta nel 2009. Perché non provano a chiederlo ai maestri colpiti, torturati e assassinati, o ai giornalisti che poco a poco sono stati riempiti di proiettili dai paramilitari. O ancora peggio, perché non lo provano a chiedere ai contadini del Bajo Aguán che fino a ieri hanno sofferto la morte di decine di militanti. Mese dopo mese si sono scagliate contro di loro le guardie armate di Miguel Facussé (sostenitore finanziario dei golpisti) provocando veri e propri massacri che ancora oggi rimangono impuniti.

 

No, l’Honduras di Lobo non dovrebbe tornare a far parte dell’OEA, sono stati molto chiari a tal proposito i dirigenti della Resistenza Berta Cáceres, Carlos Reyes e Juan Barahona, affermando che sarebbe un “errore ingiustificabile”, visto che ancora non sono state risolte le esigenze popolari che di certo non si esauriscono con il ritorno di Zelaya.

 

E’ tornato Manuel Zelaya ed ha abbracciato il suo popolo che in cambio gli ha mostrato l’affetto guadagnato per essere stato il primo Presidente a pensare alle fasce più umili. Pur provenendo da un passato politico di centro destra è stato in grado di virare correttamente verso sinistra, dando alla luce proposte in gran parte progressiste in un paese che decenni addietro funzionava come enclave strategico di Washington.

 

E’ tornato Manuel Zelaya e ha promesso di approfondire l’avanzo della Resistenza che lui stesso coordina. Durante la manifestazione è stato presentato uno ad uno alla delegazione internazionale che lo ha accompagnato in Honduras dal Nicaragua, rivendicando la solidarietà latinoamericana, sempre presente durante il suo esilio. Valorizzando profondamente il ruolo di Brasile, Ecuador, Argentina ed ovviamente del Venezuela di Hugo Chávez.

 

Un discorso a parte meriterebbero le parole di un’altra sostenitrice di Zelaya, la combattiva senatrice Piedad Córdoba. Quando Mel le ha ceduto il microfono ha elogiato l’Honduras e la Resistenza, e con un gesto incomprensibile ha celebrato il genocida Juan Manuel Santos, invitando i presenti a ringraziarlo per la sua mediazione. Non ha ottenuto risultati: lo stesso saggio popolo che qualche minuto prima, nel momento in cui anche Zelaya aveva menzionato lo stesso personaggio, aveva mantenuto un obbligato silenzio senza avanzare alcun applauso e anzi, lanciando grida di dissenso, ha riproposto lo stesso gesto meritevole. Un istante dopo, senza dubbi, esultava a sentir nominare il nome di Hugo Chávez.
Alcuni dirigenti politici dovrebbero capire che la coscienza della gente comune non si costruisce con simili bruschi cambi di rotta, buoni solo a seminare sconcerto.

 

E’ tornato Manuel Zelaya. Sì, e tutti i lottatori del terzo Mondo potranno festeggiarlo dal momento che, nonostante gli accordi diplomatici, questa lotta si è vinta per strada. Se in tutti questi mesi la Resistenza non avesse mantenuto il braccio fermo e la solidarietà popolare internazionale non avesse dato il suo sostegno, il ritorno di Zelaya sarebbe stato difficile da immaginare.

 

Ora, un’altra volta e come sempre, ma con Zelaya presente, la battaglia contro coloro che due anni fa cacciarono il Presidente dovrà farsi ancora più intensa. Immaginare uno scenario diverso significa non conoscere i numeri di cui dispone il nemico che si affronta. Per i tempi che verranno la mobilitazione sarà la migliore autodifesa popolare. Il che è molto chiaro ai membri del COPINH (Consiglio di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras), una delle organizzazioni coinvolte nella lotta da decenni: “Non ci fermeremo fin quando le strutture golpiste che oggi sono al potere, godendo dell’impunità nazionale e internazionale, saranno dissolte, e contro di loro che continueremo ad alimentare la nostra lotta, perché siamo un popolo dignitoso che non è disposto a retrocedere. Non dimentichiamo, non perdoniamo, non ci riconciliamo”.

 

(Traduzione di Stefano Pistore)

 

 

 

 

 

 


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