Il Giappone, che nel 1937 occupò gran parte dell’aria orientale della Cina più prospera economicamente (seconda guerra sino-giapponese), è pronto a utilizzare la forza militare per difendere le isole Senkaku (in cinese Diaoyu), considerate “territorio integrante del Giappone”, e in prossimità delle quali ci sarebbero ricchi giacimenti petroliferi.
 

 
Il ministro della Difesa nipponico, Satoshi Morimoto, ha infatti dichiarato di voler impiegare le Forze di Autodifesa per preservare l’integrità territoriale del Paese i cui confini si estenderebbero per un centinaio di miglia più ad ovest di Okinawa Trough dove, per l’appunto, sarebbero stati scoperti i giacimenti petroliferi. Ma anche la Cina rivendica l’appartenenza di queste isole, che si trovano a metà strada tra Taiwan e Okinawa, poiché le considera una naturale estensione geografica dell’isola di Taiwan, che è parte integrante e inalienabile del suo territorio.

Il revanscismo, combinato con le enormi potenzialità militari del Giappone e della Cina, potrebbe deteriorare i loro rapporti improntati a una cooperazione economica vantaggiosa per entrambe, oltre che, naturalmente, destabilizzare l’Asia Orientale.

In ogni caso, mentre la Cina continua a svilupparsi economicamente e militarmente, il Giappone è alle prese con una serie di problemi; dalla diminuzione dei consumi e della produzione per la catastrofe nucleare di Fukushima causata dallo tsunami del marzo 2011 ai continui avvicendamenti alla guida del governo, -dopo la vittoria del Partito Democratico del Giappone che nel 2009 ha posto fine al pressoché incontrastato dominio del Partito Liberale del Giappone nella storia politica del Giappone postbellico-, alla revisione della Costituzione «pacifista», il cui art. 9 proibisce al Paese del Sol Levante di riarmasi.

Il governo di Tokyo, impegnato in altre dispute territoriali, vuole, ad ogni costo, avere il pieno controllo delle isole Senkaku che si trovano nel Mar Cinese Orientale. Ma è soltanto una questione di rivalità storica con la Cina e di «priorità economiche» poiché deve assicurarsi le risorse energetiche di cui ha bisogno il paese o vi sono altre ragioni che spiegherebbero l’acrimonia con il governo di Pechino?

In realtà, le isole Senkaku costruirebbero per il Giappone un avamposto militare importante dal punto di vista strategico, soprattutto se la Cina provasse ad annettere l’isola. Il Paese del Sol Levante, che aveva occupato Taiwan dopo aver inflitto una pesante sconfitta militare al Paese del Centro nel 1894 (prima guerra sino-giapponese), dovette, in seguito, rinunciare a qualsiasi pretesa territoriale (l’art. 2, paragrafo (b), del Trattato di San Francisco, entrato in vigore il 28 aprile 1952, sancisce che il Giappone «renounces all right, title and claim to Formosa and the Pescadores»).

Il Paese del Centro sta costruendo mezzi aeronavali in grado di intervenire rapidamente nelle zone marittime asiatiche dove sono proiettati i suoi enormi interessi economici. È tra queste vi è, quindi, l’area geografica costituita dallo sparuto gruppo delle isole Diaoyu, ma che un rapporto della Commissione Economica dell’ONU per l’Asia e l’Estremo Oriente del 1969 indica come potenzialmente ricca di giacimenti di petrolio.

Il presidente taiwanese Ma Ying-jeou ha proposto, al fine di preservare la sicurezza e la pace nella regione, di sfruttare congiuntamente le risorse dei fondali marini che si trovano in prossimità delle Senkaku (Diaoyutai, in taiwanese). Queste isole piccole e disabitate sono, in effetti, geograficamente più vicine all’isola di Taiwan da cui distano appena 100 miglia nautiche. Per questa ragione, anche la Repubblica della Cina ne rivendica il possesso.

Il livello di tensione tra il Giappone e la Cina è, in effetti, salito notevolmente negli ultimi anni soprattutto per le sempre più frequenti incursioni dei pescatori cinesi nelle acque che bagnano le Senkaku, nonché a causa degli attivisti filocinesi di Hong Kong che cercano di raggiungere le isole contese per issare la bandiera a cinque stelle della Repubblica Popolare Cinese. Nel settembre del 2010, dopo l’arresto di Zhan Qixiong, il capitano del peschereccio cinese che aveva speronato due guardiacoste giapponesi, il governo di Pechino aveva esercitato pressioni economiche sul governo di Tokyo sospendendo le esportazioni in Giappone di lantanio (delle terre rare), un metallo bianco simile all’alluminio usato per particolari leghe nella costruzione di apparecchi elettronici, turbine eoliche, di auto ibride et cetera.

Intanto l’Esercito di Liberazione Popolare mostra i suoi muscoli con le «spettacolari» esercitazioni militari nel Mar Cinese Orientale (luglio 2012), nel tentativo, forse, di intimidire il Giappone poiché il governatore di Tokyo, Ishihara Shintaro, ha annunciato pubblicamente l’intenzione del Governo Metropolitano della capitale di voler acquistare dai suoi proprietari giapponesi (e cioè dalla famiglia Kurihara) tre delle cinque isole dell’arcipelago delle Senkaku (Uotsurijima, la più grande, e le attigue Kita Kojima e Minami Kojima), abitate da alcuni pescatori prima del 1945. Gli fa eco il primo ministro Yoshihiko Noda.

Indiscutibilmente, però, i rapporti economici tra i due paesi restano solidi. Il Giappone, tra l’altro, ha avuto un ruolo importante nell’ingresso della Cina nella Banca Mondiale e nel Fondo Monetario Internazionale. Mentre la prima visita ufficiale del presidente Hu Jintao nel Paese del Sol Levante (2008) conclusasi con la firma dell’”Accordo congiunto sino-giapponese sul miglioramento della relazione strategica di mutuo vantaggio”-dopo che dal 2001 al 2006 i contatti a livello più alto erano stati sospesi per l’omaggio reso dal primo ministro giapponese Junichiro Koizumi ai criminali di guerra sepolti nel tempio di Yasukuni-, ha dato un nuovo impulso alle loro relazioni. Nel documento si sottolinea, in sostanza, il contributo del Giappone alla pace e alla sicurezza internazionale e regionale dalla fine della seconda guerra mondiale e si evidenzia, inoltre, che i due paesi non costituiscono affatto l’uno una minaccia per l’altro. Dal 2009, infine, la Cina è diventata il principale partner commerciale del Giappone, mentre il Giappone è il secondo partner commerciale della Cina dopo gli Stati Uniti.

 

Conclusioni

I rapporti economici tra il Giappone e la Cina hanno resistito alle turbolenze politiche dell’Asia Orientale per più di trent’anni. Infatti le relazioni diplomatiche tra i governi di Tokyo e di Pechino sono periodicamente logorate da spinte irredentistiche e da un acceso revanscismo. E, in questo momento, quando sono trascorsi 67 anni dalla sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, ogni iniziativa unilaterale per ottenere la sovranità sulle isole Senkaku (altrimenti Diaoyu/Diaoyutai) non fa che rendere più «esplosivo» il Mar Cinese Orientale.

 


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