Fonte:  http://www.voltairenet.org/ 5 Novembre 2009

Uno degli aspetti più notevoli del programma presidenziale di Obama è che, in tutti gli Stati Uniti, poche persone, nei media o altrove, hanno rimesso in causa l’impegno del Pentagono nell’occupazione militare dell’Afghanistan. Ci sono due ragioni fondamentali, nessuno delle quali può essere apertamente divulgata al pubblico.

Dietro tutti gli ingannevoli dibattiti ufficiali sul numero di truppe necessarie per “vincere” la guerra in Afghanistan, se 30000 soldati sono più sufficienti o se la necessità è di almeno 200000, il vero scopo della presenza militare americana in quel paese pivot dell’Asia centrale viene oscurato.
Durante la sua campagna presidenziale del 2008, il candidato Obama ha anche detto che l’Afghanistan, non l’Iraq, è la regione dove gli Stati Uniti devono fare la guerra. La sua ragione? Perché crede che siccome è lì che Al Qaida si è radicata, lì vi è la “vera” minaccia alla sicurezza nazionale. Le ragioni del coinvolgimento degli americani in Afghanistan sono molto diverse.
L’esercito Usa occupa l’Afghanistan per due motivi: in primo luogo per ripristinare e controllare la più grande fornitura mondiale di oppio per il mercato internazionale dell’eroina; e usare la droga come arma contro i suoi avversari geopolitici, in particolare la Russia. Il controllo del mercato della droga afgano è capitale per la liquidità della mafia finanziaria, in bancarotta e depravata, di Wall Street.

La geopolitica dell’oppio afgano
Secondo un rapporto ufficiale delle Nazioni Unite, la produzione di oppio in Afghanistan è aumentata considerevolmente, dopo la caduta del regime dei taliban nel 2001. I dati dell’Ufficio sulla Droga e i Crimini delle Nazioni Unite mostrano che vi sono state più coltivazioni di papavero in ognuna delle ultime quattro stagioni di crescita (2004-2007), che in un solo anno sotto i taliban. Vi sono più terreni destinati all’oppio in Afghanistan ora, che per la coltivazione di coca in America latina. Nel 2007, il 93% del mercato globale degli oppiacei era di origine Afgana. Non è una coincidenza.
E’ stato dimostrato che Washington ha scelto con cura il controverso Hamid Karzai, un signore della guerra pashtun, della tribù Popalzai, a lungo al servizio della CIA, e appena tornato dal suo esilio negli Stati Uniti, costruito come un mito hollywoodiano, intorno alla sua “coraggiosa autorità sul suo popolo.” Secondo fonti afgane, Hamid Karzai è oggi il “Padrino” dell’oppio afgano. Non è evidentemente un caso che egli sia stato, e sia ancora, l’uomo preferito di Washington a Kabul. Eppure, anche con l’acquisto massiccio di voti, le frodi e le intimidazioni, i giorni di Karzai come presidente potrebbe essere contati.
Molto tempo dopo che il mondo ha dimenticato il misterioso Usama bin Ladin e Al Qaida, la sua presunta organizzazione terroristica – o si chiede perfino se esistono – la seconda ragione per stabilire l’esercito americano in Afghanistan, apparirebbe come un pretesto per creare una forza di attacco militare permanente degli Stati Uniti, con una serie di basi fisse in Afghanistan. Lo scopo di queste basi non è quello di rimuovere le cellule di Al Qaida che potrebbero essere sopravvissute nelle grotte di Tora Bora o eliminare i mitizzati “taliban” che, secondo i resoconti dei testimoni oculari, sono ora composta in gran parte da comuni cittadini afgani che lottano, ancora una volta, per liberare la loro terra degli eserciti di occupazione, come hanno fatto negli anni ’80 contro i sovietici.
Per gli Stati Uniti, la ragione delle basi afgane è avere nel loro mirino, ed essere in grado di colpire, entrambe le nazioni che nel mondo, insieme, costituiscono oggi l’unica minaccia al loro potere supremo mondiale, la ‘America’s Full Spectrum Dominance’ (Dominio Totale degli Stati Uniti), come il Pentagono lo definisce.

La perdita del “mandato celeste”
Il problema per l’élite di Wall Street e Washington, è il fatto che ora sono impantanate nella più grave crisi finanziaria della loro storia. Questa crisi è fuor di dubbio per tutti, e tutti agiscono per la propria sopravvivenza. Le élite statunitensi hanno perso ciò che è conosciuto, nella storia imperiale cinese, come il mandato celeste. Questo mandato era conferito a un sovrano o a una classe dirigente, a condizione che dirigessero il loro popolo con giustizia ed equità. Quando regnano tirannicamente e come despoti, opprimendo ed abusando i loro popoli, perdono il mandato celeste.
Se l’élite potente e ricca che controllava le politiche chiave, finanziarie ed estere, almeno per la maggior parte del secolo scorso, ha avuto un giorno il mandato celeste, è chiaro che l’ha perso. L’evoluzione interna verso la creazione di uno stato di polizia ingiusto, con i cittadini privati dei loro diritti costituzionali, l’esercizio arbitrario del potere da parte di non eletti, come il ministro delle Finanze Henry Paulson, e ora Tim Geithner, rubando miliardi di dollari dei contribuenti senza il loro consenso, per salvare dalla bancarotta le maggiori banche di Wall Street, banche considerate “troppo grandi per correre”, tutto ciò dimostra al mondo che hanno perso il mandato.
In questa situazione, le élites dominanti sono sempre più disperate dal mantenere il loro controllo sull’impero mondiale parassitario, erroneamente chiamato “globalizzazione” dalla loro macchina mediatica. Per mantenere il loro dominio, è essenziale che gli Stati Uniti siano in grado di interrompere ogni cooperazione economica, energetica e militare, tra le due emergenti grandi potenze dell’Eurasia, che, in teoria, potrebbero costituire una minaccia al controllo futuro dell’unica superpotenza: la Cina alleata alla Russia.
Ogni potenza eurasiatica completa il quadro dei fattori di produzione essenziali. La Cina è l’economia più forte del mondo, ha una enorme forza lavoro giovane e dinamica, e una classe media istruita. La Russia, la cui economia non s’è ripresa dalla dissoluzione catastrofica dell’era sovietica e dai saccheggi durante il cupo periodo Eltsin, ha ancora risorse importanti per l’alleanza. Il deterrente nucleare della Russia e il suo esercito sono l’unica minaccia, nel mondo di oggi, per il dominio militare degli Stati Uniti, anche se questi sono, in gran parte, residui della Guerra Fredda. L’elite dell’esercito russo non ha mai abbandonato questo potenziale.
La Russia detiene anche i più grandi giacimenti al mondo di gas naturale ed enormi riserve di petrolio, di cui la Cina ha urgente bisogno. Queste due potenze stanno convergendo sempre più, attraverso una nuova organizzazione da esse creata nel 2001, nota come l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO). Oltre a Cina e Russia, la SCO comprende i più grandi paesi dell’Asia centrale, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.
Lo scopo presunto della guerra degli Stati Uniti, sia contro i taliban che contro Al Qaida, consiste, in realtà, nel creare un loro potere militare direttamente in Asia centrale, al centro della zona geografica dell’emergente SCO. L’Iran è una diversione. L’obiettivo principale sono la Russia e la Cina.
Ufficialmente, Washington certo dice di aver stabilito la sua presenza militare in Afghanistan dal 2002, per proteggere la “fragile” democrazia afgana. Si tratta di un argomento strano, quando si vede la realtà della sua presenza militare.
Nel dicembre del 2004, durante una visita a Kabul, il ministro della difesa Donald Rumsfeld, ha finalizzato i piani di costruzione di nove nuove basi in Afghanistan, a Helmand, Herat, Nimruz, Balkh, Khost e Paktia. Le nove si aggiungono alle tre grandi basi militari già installate dopo l’occupazione dell’Afghanistan, durante l’inverno del 2001-2002, presumibilmente per isolare ed eliminare la minaccia terroristica di Osama bin Ladin.
Il Pentagono ha costruito le sue prime tre basi negli aeroporti di Bagram, a nord di Kabul, il principale centro logistico militare; di Kandahar nel sud dell’Afghanistan e di Shindand, nella provincia occidentale di Herat. Shindand, la loro base più grande in Afghanistan, è stata costruita a soli 100 chilometri dal confine con l’Iran, ed è a distanza di tiro della Russia e della Cina.
L’Afghanistan è storicamente il cuore del Grande Gioco anglo-russo, la lotta per il controllo dell’Asia centrale, nel 19° secolo e agli inizi del 20°. La strategia britannica era quello di impedire a tutti i costi il controllo russo dell’Afghanistan, cosa che sarebbe stata una minaccia per il gioiello della corona imperiale britannica, l’India.
L’Afghanistan è ancora considerato dai pianificatori del Pentagono come altamente strategico. Costituisce una piattaforma da cui la potenza militare statunitense potrebbe minacciare direttamente la Russia, la Cina, l’Iran e gli altri paesi petroliferi del Medio Oriente. Poco è cambiato nella geopolitica, in oltre un secolo di guerre.
L’Afghanistan è in una posizione estremamente vitale, a cavallo tra l’Asia meridionale, l’Asia centrale e il Medio Oriente. L’Afghanistan si trova anche lungo il percorso proposto per l’oleodotto che va dai giacimenti petroliferi del Mar Caspio verso l’Oceano Indiano, dove le compagnie petrolifere statunitensi, Unocal, Enron e l’Halliburton di Cheney, erano in fase di negoziazione dei diritti esclusivi per il trasporto, via gasdotto, di gas naturale, dal Turkmenistan attraverso l’Afghanistan e il Pakistan, verso l’enorme centrale elettrica a gas naturale della Enron, a Dabhol, presso Mumbai (Bombay). Prima di diventare il presidente fantoccio degli Stati Uniti, Karzai era stato un lobbista per la Unocal.

Al Qaida non è una minaccia
La verità di tutto questo inganno, circa il vero scopo in Afghanistan, diventa chiaro se si esamina più da vicino la supposta minaccia di “Al Qaida”. Secondo l’autore Erik Margolis, prima degli attentati dell’11 settembre 2001, l’intelligence statunitense ha dato assistenza e sostegno sia ai taliban che ad Al Qaida. Margolis afferma che “La CIA ha previsto di utilizzare al Qaida di Usama bin Ladin, per incitare alla ribellione i musulmani Uiguri contro la dominazione cinese, e i taleban contro gli alleati della Russia in Asia centrale.”
Gli Stati Uniti hanno chiaramente trovato altri modi per spingere i musulmani Uighur contro Pechino, lo scorso luglio, grazie al loro sostegno al Congresso mondiale Uighur. Ma la “minaccia” di Al Qaida resta la spina dorsale di Obama, nel giustificare l’intensificazione della guerra in Afghanistan. Ma ora, James Jones, il consigliere della Sicurezza Nazionale del Presidente Obama, un ex generale dei marines, ha fatto una dichiarazione convenientemente sepolta dagli amabili media statunitensi, sull’importanza di valutare il pericolo attuale rappresentato da Al Qaida in Afghanistan. Jones ha detto al Congresso, “La presenza di Al Qaida è molto ridotta. La valutazione massima è inferiore ai 100 militanti nel paese, privi di basi, senza nessuna possibilità di lanciare attacchi contro di noi o i nostri alleati”.
Ai fini pratici, questo significa che Al Qaida non esiste in Afghanistan. Diavolo…
Anche nel vicino Pakistan, i resti di Al Qaida sono difficilmente rilevabili. Il Wall Street Journal indica: “Perseguitata dai droni statunitensi, afflitta da problemi di soldi, e trovando sempre più difficile attirare i giovani arabi nelle montagne brulle del Pakistan, Al Qaida vede ridursi il proprio ruolo, lì e in Afghanistan, secondo i rapporti dell’intelligence e dei funzionari pakistani e statunitensi. Per i giovani arabi, che sono state le principali reclute di Al Qaida, “Non è romantico avere freddo, fame e nascondersi”, ha dichiarato uno degli alti funzionari degli Stati Uniti in Asia meridionale.”
Se riusciamo a capire le logiche conseguenze di questa affermazione, si deve concludere che la ragione per cui i giovani soldati tedeschi, e di altri paesi della NATO, muoiono nelle montagne dell’Afghanistan, non ha niente a che fare con “vincere una guerra contro il terrorismo”. Opportunamente, la maggior parte dei media ha scelto di ignorare il fatto che Al Qaida, nella misura in cui questa organizzazione esiste, è una creazione della CIA degli anni ’80. Ha reclutato e addestrato alla guerra contro le truppe russe in Afghanistan, musulmani radicali di tutto il mondo islamico, come parte della strategia sviluppata da Bill Casey, capo della CIA sotto Reagan, e di altri, per creare un “nuovo Vietnam” per l’Unione Sovietica, portando a una umiliante sconfitta dell’Armata Rossa e al crollo finale della Unione Sovietica.
James Jones, capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, riconosce ora che Al Qaida non ha quasi nessuno in Afghanistan. Forse è giunto il momento per una spiegazione onesta, da parte dei nostri leader politici, circa la vera ragione dell’invio di altri giovani in Afghanistan, a morire per proteggere i raccolti di oppio.

F. William Engdahl,  giornalista americano, ha pubblicato numerosi libri dedicati alle questioni energetiche e alla geopolitica. Libri recentemente pubblicati in francese: Petrolio, la guerra di un secolo: l’ordine mondiale Anglo-Americano (Jean-Cyrille Godefroy ed., 2007) e GM: i Semi della Distruzione, l’arma della fame (Jean-Cyrille Godefroy ed., 2008)..
Collabora a Eurasia. Rivista di studi di geopolitica; Contributi pubblicati: L’emergente gigante russo (nr. 1/2007, pp. 85-105), La posta geopolitica della “rivoluzione color zafferano” (nr. 2/2008, pp. 127-132), Intervista (nr. 1/2009, pp. 181-186); in corso di pubblicazione, L’AFRICOM, la Cina e le guerre congolesi, (nr. 3/2009).

Traduzione di Alessandro Lattanzio
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