Giovanni Caprara


Dall’Iraq all’Ucraina sino all’ISIS, la strategia di intervento delle grandi potenze ha seguito una via univoca, ossia un attacco congiunto dall’aria e dal mare, con missili Cruise e bombe “intelligenti”. Tutto questo non può prescindere da altre tattiche la cui applicazione può contrastare efficacemente l’avversario: la guerra per procura, i servizi segreti e l’infiltrazione. La prima è combattuta da sabotatori, forze speciali, mercenari ed eserciti privati degli oligarchi schierati sui differenti fronti, mentre l’infiltrazione di agenti e l’attività di intelligence producono la guerra di propaganda, o meglio la guerra sociale. In questo è inclusa la diffusione di false notizie, gli attacchi dei pirati informatici della nuova guerra cibernetica e la guerra ideologica. Dunque sono state avviate forme diverse di contrasto agli avversari, ingenerando nuovi terreni di scontro. Uno di questi è costituito dalle reti sociali virtuali, inizialmente luoghi di incontri e scambi di opinione, ora diventati punti di informazione ma anche di controinformazione. Distinguere i tratti corretti da quelli che intendono sviare la realtà è estremamente complesso, soprattutto se l’inganno è architettato da professionisti. La negazione dei dati, intesi come territorio inviolabile di uno Stato sovrano, piuttosto che di una organizzazione transnazionale o di una azienda privata, passa per la guerra cognitiva, od anche, citando Luttwak, per la guerra posteroica. Le operazioni psicologiche saliranno di livello con personale altamente addestrato per operazioni complesse e coperte che tendono allo sviluppo di strumenti adatti all’inganno. Una delle tattiche con cui combatteranno è definita “controllo del riflesso” e consiste nel confezionare ad arte informazioni false, in modo tale da indurre il bersaglio a reazioni già previste e programmate. Una sorta di battaglia combattuta sulla rete, dove verranno diffuse disinformazione e verità abilmente mescolate tra loro, in modo che gli utenti non possano capire dove è celato l’inganno. La guerra ideologica è la trasposizione da quella classica di annientamento al nuovo concetto di operazioni diverse; i rischi di tale passaggio sono quelli che possono ingenerare effetti psicosociali imprevedibili, in cui la sicurezza dell’individuo non sarebbe garantita. E’ un terreno di scontro dove le armi informatiche potrebbero essere le capacità e le identità civili; perciò un singolo comune cittadino potrà trasformarsi in un veicolo per la controinformazione. La guerra dell’informazione è la nuova concezione politica della conquista, il cui obiettivo finale si prefigge non la distruzione dello Stato avversario, ma un’azione psicologica contro il nemico nel suo stesso territorio, ossia una politica della comunicazione volta a demotivare il competitore ed a lasciare intatte le sue risorse, influenzando però l’informazione in modo da ledere il sistema cognitivo della popolazione avversaria. Dunque, si tratta di colpire non più il corpo ma la mente, nella quale occorre instaurare una percezione alterata dell’identità di una persona o di una organizzazione; in tal modo si provocano nell’antagonista emozioni e motivazioni che consentiranno di controllare e prevenire i suoi comportamenti. E’ una non-guerra combattuta per il controllo delle opinioni pubbliche “terze”, distanti dai campi di battaglia fisici ma dotate del potenziale di influenza sui propri governi.

I media occidentali sono intenti ad intensificare la campagna di immagine antirussa, amplificata nella crisi ucraina; ma questa informazione pilotata ha il suo contraltare, nella controparte russa, nella denuncia della decadenza occidentale. In entrambi i casi queste campagne non sono casuali o dettate da ideali, pur essendo ravvisabili anche prima che scoppiasse la crisi ucraina; però sono predisposte per il caso in cui si verifichi la necessità di contrastare un nemico moralmente deprecabile. Non è affatto semplice scindere l’aspetto politico interno da quello estero su questo tema socialmente sensibile dalla strumentalizzazione propagandistica. La Russia tenta di cogliere l’opportunità di accreditarsi come custode dei valori della tradizione, in contrasto all’Occidente che vuole ergersi a baluardo dei diritti individuali, identificati come gli unici inderogabili in un contesto globale che spesso li ignora. La guerra ideologica è strategicamente lungimirante, perché tende a forgiare la mentalità di interi popoli sul lungo periodo. Gli strateghi militari ed i decisori politici dei prossimi decenni dovranno valutare l’uso  di tale tattica come un’arma diversa forte e trainante nei conflitti futuri.

Similmente, il neofondamentalismo del sedicente “Stato Islamico” è classificabile come un agente ideologico di deculturazione, in quanto si prefigge di depurare non solo la fede del credente, ma di restituire un idealtipo di musulmano avulso dal contesto culturale e sociale in cui vive. Si cerca di far dimenticare la storia del mondo musulmano enfatizzando un’ostilità assoluta e distruttiva nei confronti di siti, monumenti e luoghi di culto millenari; ma a palesare il carattere utopistico e nichilista del sedicente “Stato Islamico” è proprio l’obiettivo dichiarato da quest’ultimo, ossia la creazione di un nuovo credente da inserire in un sistema sociopolitico deculturalizzato e sradicato dalla tradizione. L’esordio mediatico dell’Isis, avvenuto nel 2014, si è variamente articolato, producendo riviste, videogiochi e video diffusi attraverso la rete. I risultati sono arrivati attraverso l’arruolamento dei miliziani stranieri e l’adesione ideologica di persone che pregavano nelle moschee e nelle madrasse di tutto il mondo. Anche le uccisioni riprese in diretta fanno parte di una propaganda mediatica ben congegnata, tesa a dimostrare che la religione coranica è una dottrina onnipotente e spietata. Gli estremisti che si votano al sacrificio estremo facendosi esplodere in luoghi affollati sono fanatici resi tali dall’ideologia che i reclutatori hanno inculcata in loro. Ciò rende evidente il fatto che questa presunta “guerra di religione” è un prodotto derivante dalla manipolazione cognitiva che, prendendo le mosse da un religioso superficialmente compreso, lo esacerba sino all’inverosimile.

 


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