Uno dei fenomeni più caratteristici della società cinese contemporanea è costituito dalla comparsa e dallo sviluppo del settore delle ONG.

Le ONG, nella Cina comunista, hanno una storia recente. A lungo furono bandite dal Paese in quanto non erano emanazioni dirette del partito unico.

Il governo cinese, dopo aver ammesso l’inadeguatezza dei propri mezzi per risolvere i vari problemi sociali e ambientali della Cina, è stato costretto a delegare parte delle proprie funzioni e responsabilità al settore privato o alla società civile, adottando una nuova strategia nota con il nome di “un piccolo governo, una grande società”. Lo scopo di questa strategia era quello di soddisfare le lacune statali nell’erogazione dei servizi sociali attraverso lo sviluppo della società civile, della quale però intendeva conservare il controllo e la gestione.

Sino al 2004 le ONG potevano operare in Cina solo se trovavano un dipartimento del governo che garantisse per loro davanti allo Stato. Venivano chiamate con il nome contraddittorio di “ONG – organizzate dal governo”. Questo portava ad un controllo serrato delle loro attività.

La condizione della sponsorizzazione ha fermato l’entrata nel Paese di molte ONG straniere.

Dopo il 2004 si sono aperti degli spazi di tolleranza di cui hanno approfittato soprattutto ONG internazionali, come per esempio la Croce rossa e il WWF.

Le ONG portano nel Paese milioni di euro e nuove e moderne tecnologie per lo sviluppo educativo, sanitario, per i disabili, e perciò, in generale, per tutti i campi umanitari a cui lo Stato non riesce a far fronte.

L’esempio di queste associazioni venute dall’estero ha fatto emuli dentro la Cina; i cittadini hanno scoperto un modo nuovo per potersi riunire per difendere i propri diritti o impegnarsi in battaglie per il progresso del Paese.

Uno dei termini cinesi più diffusi per indicare queste associazioni, che perciò sono esterne alla struttura statale, è shehui tuanti o shetuan, ovvero “organizzazioni sociali”.

La Cina raggruppa le ONG in due categorie: i gruppi sociali e le fondazioni, a seconda del modo in cui avviene il finanziamento e a seconda del capitale di base richiesto per iniziare queste attività.

Negli ultimi anni si è assistito a due fenomeni paralleli nella società civile cinese: da un lato c’è stato un notevole aumento del numero complessivo delle ONG, in particolare in seguito al terremoto del Sichuan e alle Olimpiadi di Pechino, due eventi che hanno messo in luce l’importanza del terzo settore nel garantire servizi là dove il governo cinese non arriva; dall’altro, invece, si è avuto un notevole incremento del numero delle ONG supportate dalle autorità civili mentre, al contrario, sono progressivamente diminuite le organizzazioni autonome stabilite al livello di base.

Le autorità cinesi si sono mostrate sempre meno disposte a tollerare organizzazioni di base in aree politicamente sensibili, come quella della tutela dei diritti umani o quelle riguardanti il pubblico interesse.

Le ONG, in Cina come altrove, fanno comodo quando assistono le autorità nel fornire servizi essenziali dai quali lo Stato si è ritirato, ad esempio nel caso di emergenze successive a catastrofi naturali, così come nei casi in cui fungono da ausiliari nel mantenimento di una stabilità sociale sempre più precaria di fronte agli squilibri derivanti dallo sviluppo economico; quando, invece, queste organizzazioni diventano troppo sicure di sé ed iniziano ad agire come dei “cani da guardia” nei confronti delle autorità, è il momento di lanciare un richiamo all’ordine (1).

Nell’estate del 2009 il governo cinese è intervenuto per la prima volta contro una ONG con la chiusura forzata della Gongmeng, una lega di avvocati che si occupava della tutela dei diritti della popolazione e che aveva sede a Pechino. Questa organizzazione era composta da giuristi che mettevano gratuitamente a disposizione della popolazione le proprie competenze giuridiche per casi di interesse pubblico. Il 14 luglio 2009 i responsabili dell’organizzazione hanno ricevuto un’ingiunzione da parte dell’Ufficio delle imposte della municipalità di Pechino in cui veniva richiesto il pagamento di oltre 1.420.000 yuan (circa 140.000 euro) per tasse e multe non pagate. Poi si è proceduto con l’arresto di uno dei responsabili dell’organizzazione, Xu Zhiyong.

Questo fatto ha significato la definitiva perdita di sicurezza da parte di coloro che lavorano nel terzo settore in Cina.

In seguito a questi fatti le autorità cinesi hanno iniziato una campagna denigratoria anche nei confronti di Oxfam, una nota federazione di ONG internazionali finalizzate alla lotta contro la povertà e l’ingiustizia.

Nel febbraio di quest’anno le autorità cinesi hanno reso noto un nuovo regolamento (2) finalizzato a regolamentare alcune questioni tecniche relative ai trasferimenti bancari internazionali destinati a quelle da loro definite “organizzazioni cinesi”. Se formalmente lo scopo della normativa risulta essere quello di prevenire il riciclaggio di denaro sporco, gli attivisti di molte ONG cinesi hanno capito che in questo modo qualsiasi somma di denaro proveniente dell’estero, e perciò anche i soldi destinati al finanziamento delle loro ONG, si trova ad essere oggetto di controllo da parte del governo.

Nel marzo scorso cinque ONG di primo piano hanno inviato una lettera congiunta all’Amministrazione statale della valuta estera chiedendo chiarimenti interpretativi su vari punti del nuovo regolamento; ad oggi ancora non hanno ricevuto una risposta.

* Carla Pinna è dottoressa in Scienze politiche (Università di Cagliari)

(1) www.cineresie.info

(2) www.safe.gov.cn

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