La Russia post-sovietica degli anni ’90 versava in una grave crisi economico-politica, mentre il suo grande vicino orientale, la Cina, stava avendo una straordinaria crescita economica. Inoltre, dopo il crollo dell’Unione Sovietica la Russia perse il suo ruolo di Super Potenza e stava cercando di definire una nuova identità con cui ripresentarsi alla comunità internazionale, nel frattempo, però, era evidente l’emergere della Cina come una nuova Grande Potenza mondiale. Tale contrasto ebbe un forte impatto sul modo in cui il mondo politico della nuova Russia vedeva la Cina. Alcuni politici russi vedevano nella ex-“sorella minore” un modello da seguire e un alleato nella lotta contro l’egemonia degli Usa, altri invece temevano che potesse diventare un pericolo per la sicurezza nazionale, altri ancora si collocavano in una posizione intermedia tra queste due visioni estreme. Aleksandr Lukin, il membro del Comitato Nazionale Russo del Consiglio per la Cooperazione nella Sicurezza dell’Asia Pacifica, nel suo libro L’orso osserva il drago delinea una serie di macrovisioni della Cina che hanno caratterizzato i politici e gli studiosi delle relazioni internazionali russi negli anni ‘90.


I sostenitori del modello cinese di riforma

I maggiori sostenitori del modello di riforma rappresentato dalla RPC erano i membri dell’Unione nazionalpatriottica della Russia, capeggiati del Partito comunista russo (PC). Essi proponevano l’attuazione delle stesse riforme anche in Russia, e cioè una giusta proporzione tra la politica del libero mercato e la politica di pianificazione. La Cina – dicevano i comunisti russi – era riuscita a trasformare se stessa senza rinunciare né al proprio passato né agli interessi nazionali (l’esatto contrario di ciò che stava accadendo in Russia). Essa era inoltre riuscita a mantenere la stabilità nel paese attirando in tal mondo un’enorme quantità degli investimenti diretti da parte dei paesi occidentali, mentre la Russia era costretta ad andare a “elemosinare” i miseri prestiti dal Fondo monetario internazionale. Ma, come sottolinea nel suo libro Lukin, le idee dei nazionalisti trovavano la loro origine non tanto nelle teorie comuniste, quanto in una vecchia concezione tradizionale russa risalente addirittura al XIX sec. per cui la Russia sarebbe vista più vicina all’Oriente che all’Occidente.


I sostenitori con riserve del modello cinese di riforma

Una seconda categoria di sostenitori, pur riconoscendo il successo delle riforme cinesi, non credeva che queste potessero essere egualmente applicate in Russia. Tale concezione era spesso propria a molti “democratici” e ha anche influenzato Egor Gajdar, uno dei maggiori riformatori dell’economia russa agli inizi degli anni ‘90.


I sostenitori di una stretta amicizia o un’alleanza tra la Russia e la Cina

Anche questa categoria trovava i suoi maggiori sostenitori tra i rappresentanti del PC e il suo leader Gennadij Zjuganov. In questa categoria rientravano anche i cosiddetti geopolitici e i nazionalisti non comunisti. Questi ritenevano che l’alleanza tra i due paesi sia inevitabile, ma non tanto per motivi ideologici quanto per motivi geopolitici. Così, il vice-presidente del Partito liberaldemocratico Aleksej Mitrofanov, che dal 1993 al 1995 era anche il rappresentante per gli affari di politica estera del Parlamento e dal 1995 al 1999 il rappresentante del Comitato per la Geopolitica, affermava che a breve l’opposizione tra l’Occidente e l’Oriente sarebbe stata sostituita da un bipolarismo intercontinentale tra l’Eurasia e l’America del Nord. Tale bipolarismo trarrebbe le proprie radici dall’egemonia politica degli Usa che alla fine avrebbe fatto volgere contro di sé il resto del mondo. Gli altri rappresentanti di questa categoria erano i liberali filocinesi per i quali la base del rapporto tra la Russia e la Cina era costituita dagli interessi economici. Essi, inoltre, non ravvisavano grandi problemi tra i due paesi.


I sostenitori della politica equilibrata/ bilanciata

Un altro grande gruppo era costituito da quegli studiosi e politici che desideravano vedere la Russia impegnarsi in una politica estera bilanciata tra l’Occidente e l’Oriente. Essi ritenevano, inoltre, che il paese avrebbe dovuto sfruttare a proprio vantaggio la sua posizione geopolitica. Uno dei sostenitori di questo approccio era il Vicerettore dell’Accademia diplomatica del Ministero degli Esteri russo Evgenij Bažanov secondo cui l’alleanza tra la Russia e la Cina era pressoché impossibile e non avrebbe portato altro che problemi, in primo luogo alla Russia. Bažanov argomentava la sua posizione affermando che ciò sarebbe andato contro la politica ufficiale cinese intenta ad evitare alleanze con le altre Grandi Potenze, mentre una Russia alleata alla Cina sarebbe diventata automaticamente il nemico numero uno della Nato, e tutta quella serie di paesi asiatici in forte crescita economica avrebbero cominciato a guardare la Russia con sospetto. Un altro sostenitore di una politica estera equilibrata verso la Cina è uno dei leader del partito Jabloko, Vladimir Lukin, che negli anni 1993 e 1995 ha presieduto il Comitato Statale del Parlamento per gli Affari Esteri. Nella politica estera russa Vladimir Lukin propone di guardare sia verso l’Occidente sia verso l’Oriente, proprio come l’aquila bicipite sullo stemma della Federazione Russa.


La Cina rappresenta una minaccia per la Russia

Non è facile attribuire a questo gruppo un preciso partito politico. I politici che vedevano la Cina come una minaccia per la Russia principalmente erano: a) i filooccidentali con posizioni radicali che volevano un totale inserimento della Russia nel mondo occidentale e quindi vedevano la Cina come un’ostile forza antioccidentale e b) i nazionalisti radicali per i quali anche la Cina appariva troppo filo-occidentale e le alleanze con altri stati sono sintomo di asservimento a volontà altrui. Comparivano periodicamente anche politici che si dichiaravano preoccupati per la minaccia di espansione demografica dal grande vicino orientale. Un esempio degli esponenti politici appartenenti alla presente categoria può essere Aleksej Arbatov, l’esperto nella difesa e nella sicurezza nazionale e parlamentare del partito Jabloko, che proiettandosi nel futuro si immaginava la creazione di un’alleanza economico-ideologica tra la Cina, i paesi dell’ASEAN e il Vietnam che avrebbe potuto essere diretta contro la Russia. Al gruppo dei filo-occidentali radicali invece si può annoverare il primissimo ministro degli affari esteri della nuova Russia Andrej Kozyrev, che rifiutava l’idea di un mondo multipolare, vedendo invece il mondo formato da un nucleo, e cioè i sette paesi più sviluppati, e collocando tutti gli altri paesi alla periferia dello sviluppo mondiale. Era ovvio che dopo l’elezione di Vladimir Putin come presidente della Russia la visione della politica estera di Kozyrev sarebbe risultata in netto contrasto con quella di Putin. La minaccia geopolitica era un altro tipo di visione della Cina che rientrava in questa categoria. È interessante notare che, all’interno di questa visione, si trovavano due tesi che partivano da altrettanti scenari di sviluppo della Cina, completamente opposti uno all’altro. La prima tesi, prevedendo il successo delle riforme in Cina, vedeva aumentare la sua potenza politica e militare fino a diventare una minaccia per la Russia. La seconda, invece, partendo dal presupposto del fallimento delle riforme, vedeva la Cina in preda al caos e quindi ipotizzava la rinascita della politica di espansione territoriale, una massiccia ondata di profughi cinesi, l’indebolimento del controllo sulle armi nucleari e così via. Infine, alcuni nazionalisti con una visione particolarmente radicale vedevano anche la Cina come un paese troppo occidentalizzato che contribuiva quindi a completare un presunto accerchiamento della Russia volto alla sua distruzione.


Per concludere

Tutta questa pluralità di visioni verso la Cina da parte dei politici russi si è avuta principalmente nella prima metà degli anni ’90. Nel 1996 durante la visita di El’cin in Cina le due parti avevano dichiarato di voler sviluppare “le relazioni di partenariato basato sulla parità e fiducia volto alla cooperazione strategica nel XXI secolo”. Il cambiamento della visione della RPC ai vertici del governo si può notare anche dalle dichiarazioni del vicepremier Babičev che, dopo il viaggio in Cina nel giugno 1997 con l’allora premier Viktor Černomyrdin (scomparso pochi giorni fa dopo una lunga malattia), dichiarò: «È proprio un peccato che noi, la Russia, i russi, non siamo riusciti a realizzare niente di simile». E sempre nel 1997 Boris El’cin e Jiang Zemin firmarono la dichiarazione sino-russa in cui si prevedeva la formazione di un nuovo ordine internazionale in un mondo multipolare. Con l’ascesa di Putin al potere la politica estera russa ha cominciato ad avere un carattere meno caotico e più coerente rispetto all’era El’cin. Nel 2001 Vladimir Putin e Jiang Zemin stipularono il Trattato di amicizia e cooperazione tra i due paesi.

Lukin, l’autore del libro, conclude scrivendo che «è molto probabile che la Russia e la Cina all’inizio del nuovo secolo continueranno il riavvicinamento» reciproco, in quanto in Russia «le forze che vedono la Cina come una minaccia (i nazionalisti radicali e i filo-occidentali radicali) non hanno pressoché nessuna possibilità di prendere il potere», il quale continua ad essere nelle mani «dei sostenitori di una politica di equilibrio tra l’Occidente e l’Oriente». E a confermare quanto appena detto sono i recenti fatti di politica internazionale descritti nella articolo uscito lo scorso mese su questo sito col titolo “La Russia resetta con gli Usa e rilancia con la Cina”.


* Konstantin Zavinovskij è dottore in Lingue e comunicazione internazionale (Università degli Studi di Roma III)


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