Il Sud Sudan sarà qualcosa di più di un semplice stato. Dopo decenni di conflitti e dopo le elezioni del 2010, sembra essere giunto a compimento il processo che porterà, in Luglio, alla creazione del nuovo stato. La legittimazione alla secessione da Kartoum é stata coronata da un referendum popolare di portata storica lo scorso Febbraio. Oltre il 98% della popolazione del sud ha votato a favore, seguita dal pubblico sostegno di UE, ONU e Casa Bianca tra gli altri.

Ma cosa succederà quando il più esteso e convulso stato Africano si spaccherà in due? Quale strada si deciderà di intraprendere per risollevare quello che, una volta dichiarato indipendente, sarà uno degli Stati più poveri al mondo?

Il caso di specie é interessante poiché riporta ad un tema più ampio e complesso: la genesi e del mercato nel continente Africano, il suo ruolo e la convivenza con sistemi welfaristici e aiuti internazionali.

Il Sud Sudan rappresenta, in tal senso, un caso scuola utile ad analizzare la genesi del processo di sviluppo in uno stato tipo del continente Africano. Nel momento in cui si raggiungerà l’indipendenza si consolideranno una serie di situazioni che ben rappresentano l’achetipo del primo stadio nella vita di uno stato Africano. Povertà estrema diffusa, assenza quasi totale di infrastrutture di base, corruzione, instabilità e contrasti di natura etnica e religiosa. A ció naturalmente vanno aggiunti i problemi legati all’esodo di massa previsto dal nord musulmano verso il sud cristiano, le dispute di confine dovute alle riserve di petrolio della contesa regione di Abyei, gli accordi sulla suddivisione delle risorse e la condivisione del debito estero di Kartoum, per un ammontare superiore a 40 miliardi di dollari.

Un gran quantità di ONG ed altre agenzie internazionali occupano da tempo i territori del sud, esportando le loro prassi e i loro complessi meccanismi di assistenza. Una situazione ben descrtitta da un articolo pubblicato da Economist il 27 Gennaio scorso, dal titolo “Does anybody here speak NGOish?”. Di aiuti al Sudan si parlava gia in termini critici diversi anni fa. Quantità ingenti di risorse hanno iniziato a piovere già con George W. Bush alla presidenza USA –circa 300 milioni di dollari all’anno – con risultati del tutto deludenti.

Nessuno in fondo si aspetta che il nuovo governo guidato da Salva Kiir Mayardit sia migliore o peggiore di quello di Al Bashir. Il problema della corruzione nella gestione della cosa pubblica rimane comunque centrale. Non molto tempo fa lo stesso Mayardit mostrava gran fiducaia nel futuro. A domande del tipo, come si risolverà il problema del trasporto e della raffinazione del petrolio, rispondeva che se ci fosse stato bisogno di nuove pipelines lui le avrebbe fatte costruire. Ma tutti sanno che non é cosi semplice. Il Sud si troverà isolato, privo di sbocchi diretti al mare e privo della tecnologia necessaria per utilizzare a pieno le propire risorse. E questo é un problema di non poco conto, considerando che più del 70 % del petrolio nazionale proviene proprio dal sud.

L’aspetto positivo, tuttavia, é che anche in tali condizioni, il paese rimane appetibile ai mercati internazionali. La Cina, “benefattrice” silenziosa del Sudan gia nella prima metà degli anni Novanta, non avrà alcun problema a spostare le sue mire verso sud e a riversarvi capitale economico e umano. Specialmente nel caso ci sia la concreta possibilità di scoprire nuove riserve energetiche. Un mercato, quello del sud, che oltre a valere già più di 350.000 barili di greggio al giorno, ha ancora grandi potenzialità da sfruttare.

Tuttavia, pur ammesso che la Cina, come pure altri investitori internazionali, inietteranno capitali massicci, il dubbio resta ed é lecito. Quanto il mercato puó realmente fare per il popolo sudanese senza le dovute prerogative strutturali? In che modo il suo sviluppo sarà accompagnato da una attenzione a quegli elementi di cui spesso lo stesso mercato si cura troppo poco o non si cura affatto?

Aspetti quali la risoluzione di conflitti etnici, religiosi e di confine, piuttosto che aspetti più generali che vanno dal rispetto dei diritti umani a quello dell’ambiente, dallo sviluppo delle comunità locali fino all’abbattimento della corruzione pubblica, restano temi centrali. L’indipendenza del Sud Sudan potrebbe essere un evento quanto mai prezioso per ripensare il ruolo dei diversi attori coinvolti in tali circostanze.

Negli ultimi 30 anni si sono di certo sviluppati strumenti e conoscenze sufficienti ripensare il rapporto tra aiuti e mercato in modo più efficace. Il mercato ha bisogno di una serie di prerogative strutturali per poter dare il proprio contributo in modo sano. Gli aiuti, senza una presa di posizione netta riguardo ai settori da privilegiare e a quelli in cui non interferire, possono effettivamente creare danni notevoli.

La creazione di partnership o di piattaforme multi-stakeholders del tipo Global Compact sono un ottimo segnale. Ritrovare attorno allo stesso tavolo governi, organizazioni internazionali, mercato e società civile non puó che considerarsi un enorme passo in avanti. Tuttavia, coordinamento e divisione delle competenze continuano a mancare nella gran parte dei casi. Gli aiuti allo sviluppo, governativi e non, piovono sulla regione ormai da tempo e la Cina é presente sul territorio dagli anni Novanta. Nonostante tutto il governo di Salva Kiir Mayardit e tutta la sua classe dirigente, non sembrano pronti a guidare il paese sulla strada del risanamento.

La strada é ancora molto lunga per il popolo del sud e i primi indicatori sono fin troppo chiari. Il rischio concreto é quello di ripetere, per l’ennesima volta, una lezione ben nota. Di assistere all’ennesimo ricorso storico. Il vantaggio di leggere la realtà nei termini qui proposti aiuterebbe quanto meno a portare il complesso discorso sulla coesistenza tra aiuti e mercato su un piano pratico che guardi finalmente al presente e alle sue conseguenze.

 

* Alessio Orgera è Project Officer presso EPES Mandala Consulting, Bruxelles, Belgio.


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