In 100.000 sono scesi in strada nell’isola di Okinawa, nel sud del Giappone, per chiedere la chiusura della base militare americana di Futenma presente dalla fine della seconda guerra mondiale e che accoglie quasi la metà dei 50.000 militari Usa (a cui si possono aggiungere 50.000 unità civili) stanziati nell’arcipelago nipponico. Si è trattato di una delle più grandi manifestazioni politiche mai effettuate nell’isola, ancora più importante perché sostenuta da tutto il panorama politico giapponese – dai conservatori ai partiti di sinistra – che chiede a gran voce l’allontanamento dei militari yankee.

I manifestanti, nell’occasione colorati di giallo per richiamare il colore del cartellino che usano gli arbitri di calcio per ammonire, hanno voluto appunto ammonire il Governo giapponese e ricordargli le promesse fatte al momento dell’insediamento. Il premier Hatoyama, attraverso i lavori di una commissione ministeriale ad hoc, aveva infatti sin dai primi tempi avviato la revisione di un accordo firmato con gli Stati Uniti nel 2006, in cui si decideva di spostare la base a Camp Schwab e Oura Bay, altre località meno popolate dell’isola. Ma adesso i cittadini ricordano ai propri rappresentanti di essere contrari ad una semplice ri-localizzazione, che manterrebbe Okinawa come fondamentale sito militare Usa ed hanno scritto sui propri striscioni dei chiarissimi “Usa go home”.

La protesta non riguarda quindi soltanto le angherie che i militari Usa perpetrano ai danni della popolazione locale, come per esempio lo stupro di una bambina di 12 anni nel 1995 che già provocò malcontenti, ma si allarga ad un vero e proprio nuovo corso delle rivendicazioni di sovranità e giustizia del popolo giapponese. Nel mese di febbraio una commissione di inchiesta promossa dal primo Ministro aveva indagato sugli accordi segreti firmati dopo il secondo conflitto mondiale dallo sconfitto Stato nipponico e i vincitori statunitensi ai danni della sovranità della popolazione giapponese (1). E se i risultati di tale inchiesta non sono stati divulgati chiaramente, a causa, secondo il Governo, della distruzione dolosa nei cinquant’anni di conduzione liberal-democratica di numerosi documenti, il significato ed il messaggio sono arrivati eccome alle orecchie di chi doveva sentire. Il nervosismo negli Usa è infatti notevole avendo nelle basi militari installate dopo la vittoria mondiale del 1945, il principale fulcro per il mantenimento della propria prerogativa mondiale, dell’unipolarismo oggi messo in discussione. Se infatti, oltre ai problemi del dollaro, a quelli dovuti all’emergere ed alla cooperazione di altre grandi potenze, sommiamo la possibilità di perdere, o comunque vedersi mettere in discussione, la presenza militare in Giappone, che potrebbe essere da esempio per altre situazioni simili, il nervosismo statunitense pare ampiamente giustificato.

Il fatto è che le basi militari Usa installate in diverse parti del mondo, particolarmente Europa occidentale ed Asia orientale in funzione anti-sovietica, svelano oggi agli occhi anche dei meno accorti il proprio significato geopolitico, il ruolo di gendarme mondiale incarnato dagli Usa e, di conseguenza, sempre meno popoli riescono a sopportare di vivere in una condizione di sovranità limitata. Se poi sommiamo il fatto che queste basi militari sono sostenute economicamente dai governi e quindi le popolazioni locali, sembrano più che legittime le parole di chi, come Jitsuro Terashima, consigliere per la politica estera del primo ministro Yukio Hatoyama (2), chiede un ripensamento del rapporto di subalternità nei confronti degli Stati Uniti. Non possono pagare i giapponesi, gli italiani, i tedeschi (altre nazioni oggetto di accordi segreti ancora non divulgati, che vedono la presenza sul proprio territorio anche di armi nucleari Usa) i mezzi per attuare la strategia geopolitica nordamericana del terzo millennio. Ed è proprio quello che sembrano dire i manifestanti di Okinawa chiedendo il ritiro dal Giappone dell’ingombrante presenza statunitense; la presenza alla manifestazione, per la prima volta nella storia, di esponenti del Partito Liberal-Democratico, sembra confermare la solidità delle rivendicazioni.

(1) Giappone: desecretati i patti clandestini imposti dagli USA: http://www.eurasia-rivista.org/3072/giappone-desecretati-i-patti-clandestini-imposti-dagli-usa

(2) Volontà, immaginazione, senso comune: ristrutturare l’alleanza nippo-statunitense: http://www.eurasia-rivista.org/3846/volonta-immaginazione-senso-comune-ristruttura-lalleanza-nippo-statunitense

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