Si infittiscono ormai da qualche tempo gli interventi di quanti sono lieti di avallare le tesi “ufficiali”, per cui la guerra di Bosnia fu la follia di “psicopatici nazionalisti” (Radovan Karadzic, il poeta pazzo in primis, e si sa che tra poeti ed acquarellisti la differenza è poca …), oggi finalmente a giudizio grazie alla caparbietà di pochi magistrati coraggiosi (vedi Carla Del Ponte, che ha pure scoperto gli orrori della “casa gialla” in Kosovo, “Oh my God!”).

Luglio, in particolare, è stato il mese adatto per le rievocazioni, grazie alla singolare coincidenza tra l’anniversario del massacro di Srebrenica (11 luglio 1995) e l’arresto di Karadzic (21 luglio 2008).

Dopo Richard Gere (il “divo di Stato” anti-cinese), quindi, anche Angelina Jolie si appresta a girare il suo film a Sarajevo, concludendo un’interessante triade che comprende anche il recente “capolavoro” dal titolo “I mercenari” (pieno di “divi di Stato”, Stallone-Rambo, Willis-salvailmondo …), pellicola in cui l’ex finanziatore dell’IRA, Mickey Rourke, ricorda il passato di quando tutti insieme (appassionatamente) andavano a combattere i “serbi cattivi” …

Tra questi articoli rievocativi, spicca quello del 1 luglio 2010 di Azra Nuhefendic, “Al mercato di Markale” (strage del 28 agosto 1995), in cui si cerca di smentire quanto attestato dai fatti (ma che le cronache, anche successive, si guardarono bene dal riportare), e cioè che le due terribili stragi al mercato di Sarajevo (decisive per orientare l’opinione pubblica internazionale e, di conseguenza, per giustificare i bombardamenti della NATO contro i serbi che stavano vincendo la guerra) non furono opera dei serbo-bosniaci.

L’articolo cita il colonnello russo, Andrei Demurenko, esperto in balistica e capo del personale Unprofor a Sarajevo, estensore di un rapporto che provava l’ impossibilità di colpire Markale con i mortai dalle posizioni serbe (guarda caso la CNN sapeva dell’evento e si trovava lì prima del massacro, ma non era stata “avvisata” dai serbi).

Esistono anche degli schizzi tecnici che questo colonnello russo aveva fatto e che vennero inquadrati, al momento della ricostruzione degli avvenimenti, dalla televisione serba.

Dopo pochi giorni Demurenko fu però rimandato a casa e la relazione venne nascosta (se la tenne per due settimane Kofi Annan nel suo cassetto privato) il tempo sufficiente per accusare falsamente i serbi e decidere quali ulteriori provvedimenti adottare contro di loro.

Il colonnello russo non può certo negare un documento da lui stesso prodotto e non dubito l’abbia mai fatto, come sostiene Nuhefendic, perché si trattava di un professionista che non accettava di raccontare bugie, al contrario di molti ufficiali della NATO, spesso sbugiardati.

Lo stesso analista militare britannico, Paul Bever, che pure raccontò di 4 ordigni di mortaio da 120 millimetri lanciati dai serbi e che caddero vicino alla zona del mercato senza provocare vittime, ammise l’1 ottobre 1995 che la deflagrazione fu cinicamente provocata dai musulmani per influenzare i negoziati di pace.

Probabilmente c’erano cinque pacchi di esplosivo sotto le bancarelle, attivati a distanza, mentre la CNN registrava in diretta.

Il “Sunday Times” parlò allora di una quinta granata da mortaio devastante (e non proveniente dalle postazioni serbe), che però difficilmente avrebbe potuto provocare una strage di tali proporzioni.

Invece tutto il mercato fu colpito da più esplosioni che provenivano da vari punti sotto le bancarelle, al punto che lo stesso Bever scrisse che si doveva dubitare anche della precedente strage di Markale (67 morti il 5 febbraio 1994), come testimoniato peraltro dal delegato speciale per la Bosnia delle Nazioni Unite, Jasushi Akashi, poi costretto alle dimissioni.

Ma ritornando a Demurenko: è normale che il colonnello russo non avesse con sé la sua relazione, che è stata un documento di servizio e confidenziale.

Questa andrebbe cercata nei cassetti delle Nazioni Unite o in quelli di qualche ufficiale dei Servizi segreti di Mosca dell’epoca Eltsin, noti per essere a libro paga del miglior offerente (e poi parzialmente “ripuliti” da Putin).

Chiunque segua le varie sedute del Tribunale dell’Aja per i crimini nella ex-Jugoslavia, può constatarne “l’efficienza”: avvocati che spesso nemmeno possono incontrare i loro assistiti, imputati che muoiono misteriosamente (Milosevic in primis), traduttori scadenti che capziosamente rischiano di tradurre un “non esiste” invece di “io non ce l’ho” …

Si può addirittura dubitare della domanda del giudice: “Ce l’ha lei la relazione?”, perché i magistrati sanno benissimo di che tipo di documenti si tratta e che tenerne delle copie in possesso privato è punibile con la legge.

Consigliamo, quindi, a Nuhefendic di occuparsi di altre vicende riguardanti la Bosnia.

Ad esempio della bancarotta finanziaria del governo di Sarajevo, i cui ministri sono spesso impegnati a tenere festini o ad acquistare lussuosi yacht per le loro “dorate” vacanze.

O della sorte dei serbi di Hadzici, paesino vicino a Sarajevo, 5.000 abitanti e 150 malati di tumore all’anno per le conseguenze dei bombardamenti atlantisti all’uranio impoverito.


* Stefano Vernole, redattore di “Eurasia”, è co-autore de La lotta per il Kosovo (Edizioni all’Insegna del Veltro, Parma 2007) ed autore di La questione serba e la crisi del Kosovo (Noctua, Molfetta 2008)


Note

  1. Azra Nuhefendic’, “Al mercato di Markale”, 1 luglio 2010, “Osservatorio Balcani e Caucaso”.
  2. Per un breve riassunto dei “miti bosniaci” rimando al mio articolo: http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkEZlypFpyaDyDNwTq.shtml




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