Lo scorso 3 ottobre circa tre milioni di elettori sono stati chiamati alle urne in Bosnia Erzegovina. Si è votato per gli organi politici delle entità cantonali e statali del piccolo e turbolento stato balcanico. Si è trattata della quinta chiamata alle urne dalla fine del cruento conflitto che ha segnato l’indipendenza della Bosnia Erzegovina dalla Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia. Vi è stata grande attesa sui risultati di queste elezioni,  considerate un momento decisivo per verificare la normalizzazione del paese, oppure il persistente prolungamento dello stato di transizione istituzionale che si protrae ormai da 15 anni. Intervista a Renzo Daviddi, Direttore del Liason Office Kosovo-UE.

L’attuale assetto della Bosnia Erzegovina è il frutto del processo di ingegneria costituzionale post bellica (si veda Belloni 2007), che intendeva dare uguale rappresentanza alle tre principali etnie della BiH (serbi, croati e musulmani-bosniacchi) salvaguardandone gli “interessi vitali”, ovvero la garanzia del controllo territoriale e politico, conquistata durante la guerra. Gli accordi di pace siglati a Dayton (21 novembre 1995), che racchiudono la Carta Costituzionale della Bosnia Erzegovina, avevano configurato così uno Stato diviso lungo la linea etnica (si veda Chandler, 2008). La Costituzione ha, quindi, dato vita a un debole Stato centrale e a due Entità politiche dotate di ampissima autonomia: la Republika Srpska, a maggioranza serba, e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, composta da serbi e croati. Nel 2000 è stata creata una terza entità, il Distretto Autonomo di Brcko, una piccola area multiculturale, sotto la giurisdizione della Federazione della Bosnia Erzegovina.

Mentre la Republika Srpska è fortemente centralizzata, la Federazione di BiH è divisa in dieci cantoni, dotati di ampia autonomia e caratterizzati anch’essi su base etnica.

Lo Stato Centrale è responsabile per la politica ed il commercio estero, per la politica monetaria, per  le comunicazioni e per l’attuazione della legge inter-entità. Solo nel 2008 è stato costituito un corpo di polizia statale. Le due Entità sono responsabili di tutte le altre funzioni e poteri di governo, anche di quelli non espressamente assegnati dalla Costituzione, come l’educazione e le politiche sociali. Tutte le istituzioni dello Stato Centrale sono organizzate sulla base della chiave etnica.  La stessa Presidenza è ripartita su tre membri eletti a votazione diretta: un croato e un bosniaco, eletti nella Federazione di Bosnia ed Herzegovina, un serbo eletto nella Republika Srpska. Il Parlamento è composto da due Camere, la Camera dei Rappresentati, formata da 42 membri eletti su base proporzionale – ventotto membri eletti nelle Federazione e 13 nella Republika Srpska – e la Camera dei Popoli, composta da 15 membri – 5 croati, 5 serbi e 5 bosniacchi –  nominati dai Parlamenti delle due Entità costituenti.

Tale assetto istitituzionale e amministrativo ha appesantito oltremodo l’apparato Statale – che da solo assorbe il 60% del PIL- e reso pressocchè ingovernabile il Paese. Le tensioni interetniche hanno, infatti, in questi quindici anni, prevalicato su qualsiasi altro tema ed il dibattito politico è stato caratterizzato da temi i nazionali e da posizioni nazionalistiche.

Di fatti, sino ad oggi, la Bosnia Erzegovina è stata una sorta di protettorato internazionale. In particolare, un ruolo centrale hanno assunto il Peace Implementation Council, un organo formato da 55 Stati, che ha il mandato di guidare il processo di pace, e la figura dell’Alto Rappresentante per la BiH, la più alta autorità civile del paese, instituita dagli accordi di Dayton con il compito di sorvegliare sull’attuazione degli stessi (art. 2, annesso 10 degli accordi di Dayton). All’Alto Rappresentante per la BiH sono stati conferiti ampi poteri, estensivamente utilizzati in questi 15 anni, che gli hanno permesso di agire di fatto come legislatore. Nel 2000, al mandato dell’Alto Rappresentante, è stato affiancato quello di Alto Rappresentante per l’Unione Europea.

L’UE ha assunto un ruolo di guida nel processo di pacificazione del paese. La Bosnia Erzegovina è entrata, così,  a pieno titolo nelle politiche di avvicinamento all’UE: politiche che hanno coinvolto tutti gli Stati dei Balcani Occidentali (si veda Luca Gori, 2007). Nel 2003 la Bosnia Erzegovina ha ottenuto lo status di paese “potenziale candidato”; nel 2008 ha firmato gli Accordi di Stablizzazione ed Associazione, ed ha potuto così avviare la negoziazione per l’approvazione del regime di liberalizzazione dei visti: risoluzione molto attesa dai cittadini della BiH.

Alle elezioni del 3 ottobre si sono confrontati 39 partiti, 11 coalizioni, 13 candidati indipendenti (si veda Bosnia Election Monitor, east journal).  Essi  hanno concorso all’elezione dei membri della Presidenza bosniaca e delle presidenze delle due entità, la Republija Srpska e la Federazione BiH, dei deputati del Parlamento nazionale, dei Parlamenti delle entità e dei rappresentanti dei dieci consigli cantonali della Federazione della Bosnia ed Erzegovina. I partiti, configurati preminentemente su base etnica, nonostante la presenza di alcuni partiti che si definiscono “multiculturali”, che hanno predominato anche in queste elezioni sono: il partito multiculturale Socijaldemokratska partija Bosne i Hercegovine, SDP (Partito social democratico della Bosnia ed Erzegovina) legato al Partito Sociale Europeo e guidato da  Zeljko Komsić, membro croato della Presidenza della BiH, membro croato della Presidenza della BiH; il partito nazionalista, conservatore bosniacco Stranka Demokratske Akcije, SDA (Partito di Azione Democratica), fondato dall’ex Presidente protagonista della guerra 1992-‘95 Alija Iztebegović; il partito nazionalista Serbo Savez nezavisnih socijaldemokrata, SNSD (Alleanza dei social democratici indipendenti), guidato dal Presidente uscente della Republika Srpska Milorad Dodik e dal Membro della Presidenza, riconfermato, Nebojša Radmanović; l’ultra nazionalista partito serbo  Srpska demokratska stranka, SDS (Partito Democratico Serbo) guidato da  Mladen Bosić; il partito nazionalista, cattolico e conservatore croato Hrvatska demokratska zajednica, HDZ (Unione Croata Democratica della Bosnia Erzegovina) guidato da   Borjana Kristo .

Nonostante le alte aspettative nutrite su queste elezioni del 3 ottobre, i risultati non hanno dimostrato forti segnali di cambiamento, anche se ci sono alcune pur timide ma interessanti novità. Ne abbiamo parlato con Renzo Daviddi, direttore del Liaison Office EU – Kosovo, che ha un profonda conoscenza dei Balcani Occidentali e della Bosnia Erzegovina in particolare.

La stampa ed i commentatori internazionali hanno salutato, come la  sorpresa di queste elezioni, la vittoria di Bakir Iztebegović (SDA)– figlio del presidente degli anni di guerra, Alija Iztebegović- che ha ottenuto il 35% dei suffragi, spodestando Haris Silajdžić (25%)- del Stanka za Bosniu i Herzegovinu SBIH (Partito per la Bosnia Erzegovina)-  dal ruolo di rappresentante musulmano alla Presidenza. Da molti commentatori Iztebegović è stato acclamato come l’uomo del dialogo che renderà effettivamente possibile l’avvio di  quelle riforme necessarie alla BiH per superare l’Impasse politico – istituzionale e per avvicinarsi all’UE. Lei concorda con questo punto di vista?

In parte dissento sul fatto che l’ elezione di Bakir Iztebegović sia stata la sorpresa di queste elezioni. Sorprendente è stato piuttosto il risultato ottenuto dall’ SDP che, sia dal punto di vista dei suffragi che dei seggi ottenuti nel Parlamento, risulta molto rafforzato da queste elezioni. Il dato è ulteriormente rafforzato dal fatto che Zeljko Komsić è stato convintamente confermato membro croato della Presidenza (59,50%). L’elezione di Bakir Iztebegović è comunque un segnale positivo. Le prime dichiarazioni che ha rilasciato, sicuramente non ricalcano le dichiarazioni del rappresentante uscente Haris Silajdžić, che ha spesso utilizzato una retorica fortemente nazionalistica. Da diversi punti di vista, dunque, c’è una composizione del quadro politico interessante e diversa. Se la complessità del quadro politico lo permetterà ci sono, per la prima volta, i presupposti per formare una compagine governativa diversa e non accentuata sulla retorica nazionalistica.

Republica Srpska: vincitore il Presidente uscente Milorad Dodik che ha assestato la sua precedente legislatura ed ha condotto la propria campagna elettorale su posizioni estremamente nazionalistiche. In particolare, ha ribadito l’ipotesi secessionista, attraverso la via referendaria. Uno scenario verosimile?

Per il momento è difficile da capire. Durante la campagna elettorale c’è stato un inasprimento dei toni. Dodik si è presentato come un campione di nazionalismo, allo stesso tempo ha fatto ripetutamente riferimento al supporto di Tadić. La politica di Tadić in Serbia è basata su dei principi europeisti, ed è tutto sommato una politica progressista e di dialogo.  Vedremo come in maniera pratica Dodik si porrà come leader della Republika Srpska. I meccanismi di formazione delle differenti compagini governative sono talmente complessi che bisognerà capire quali tipi di coalizioni prevarranno e su quali posizioni politiche tali compagini si formeranno.

Quanto tempo ci vorrà prima che il Governo sia formato?

Le esperienze precedenti indicano che ci vogliono parecchi mesi. I governi si formano a cascata, si comincia dai livelli delle entità cantonali fino a quello statale. Ci vogliono almeno tre quattro mesi prima che questo processo si concluda. Dipende anche da come i vari leader politici si porranno rispetto all’esigenza di dare una “quinta” all’esecuitivo.  Bisognerà inoltre vedere se alla fine prevarranno argomentazioni di natura politica, rispetto a conflitti di personalità. Mi riferisco principalmete al conflito fra i due partiti social democratici, quello della Federazione BiH, l’SDP, e quello della Republika Srpska, l’ SNSD.

Queste elezioni hanno visto l’esordio nel panorama politico di alcuni nuovi partiti che hanno suscitato forte interesse. In particolare quello del partito del Savez za bolju budućnost BiH, SBBBiH (Unione per un Futuro migliore per la Bosnia), fondato da Fahrudin Radončić- proprietario di uno dei principali quotidiani del paese, Avaz- e quello del  Naša Stranka (Nostro Partito), fondato dal regista Danis Tanovic. Secondo lei potrebbero davvero rappresentare una alternativa politica interessante nel panorama Bosniaco? Come interpreta il buon successo del primo (32% dei suffragi, a 3 punti percentuali da Iztebegović) e lo scarso successo elettorale del secondo?

Il risultato negativo di Naša Stranka è un risultato anche un pò atteso, perchè è più un movimento di opinione che un partito politico. Inoltre, l’elettorato che fa riferimento a Naša Stranka (Naša Stranka si configura come un partito multietnico, guidato da Bojan Bajić, i suoi principali obiettivi politici sono lo sviluppo di una società aperta e solidale, un economia sociale di mercato e l’autonomia locale, ndr) è lo stesso elettorato che fa riferimento all’SDP, il fatto che quest’ultimo abbia avuto dei risultati positivi in parte spiega i risultati negativi del primo.  È  difficile che questi due partiti possano crescere insieme, in  quanto raccolgono entrambi il sostegno di intellettuali legati in particolare a certi circoli di Sarajevo.

Per quanto riguarda Radočić è un fenomeno interessante. Ha fatto una campagna elettorale su un programma basato sull’efficienza e su diversi aspetti di rilancio dell’economia. Ovviamente, ha aiutato molto il risultato il fatto che, come lei ha sottolineato, ha una notevole quantità di mezzi di comunicazione a diposizione ed anche un’ampia disponibilità finanziaria da poter giustificare una campagna elettorale molto dispendiosa. Ed è comunque, a mio avviso, un ingresso interessante nel panorama politico della Bosnia.

Clima elettorale: quanto ha prevalso la dialettica nazionalista? Quali i temi più dibattuti? Quanto si è parlato di Europa?

No, non credo che si sia parlato di Europa. Ed effettivamente gran parte dei partiti classici hanno fatto una campagna basata su questioni di tipo nazionale e nazionalistiche. Alcuni slogan erano diettamente o indirettamente orietati a questioni nazionali. Le faccio alcuni esempi: l’ SDA   faceva riferimento allo slogan “il popolo sa” che cercava di far leva ai fatti che hanno portato alla guerra. Nella Republika Srpska Dodik ha fatto campagna elettorale sullo slogan “la Repubblika Srpska per sempre” un chiaro, sottile, messaggio nazionalista. Questi temi hanno dominato la campagna elettorale. Solo in parte sono stati affrontati temi relativi allo sviluppo sociale ed economico, ma non certo come sarebbe stato auspicabile in un paese che stenta a metterli al centro del dibattito.

L’Alto Rapresentante Valentin Inzko ha affermato, prima delle elezioni: “gli 80.000 giovani che voteranno per la prima volta il 3 ottobre, potrebbero rivoluzionare il panorama politico in BiH”. A elezioni fatte, Lei pensa che questo sia avvenuto?

Non ho visto analisi che facciano riferimento alle fasce del voto. Sulla base delle mie personali impressioni, però, noto che emerge il tema della disaffezione per la politica. C’è un senso di frustrazione, che se emerge in età più avanzata può essere comprensibile, ma quando arriva a 18 anni é piuttosto preoccupante. Credo che, nonostante i timori, non ci sia stata una massiccia astensione dal voto dei giovani. Il tasso di affluenza alle urne è stato piuttosto elevato ed è stato il più alto dalla fine della guerra. Certo si pone il problema di come dare voce a questi giovani e come avvicinarli alla politica.

Lo scorso 7 ottobre il Parlamento Europeo (PE) ha dato il suo “sì” al regime Visa Free per l’Albania e la Bosnia Erzegovina. In Novembre si aspetta il pronunciamento del Consiglio. Secondo Lei é ragionevole attendere un parere favorevole?

La Commissione ha indicato in maniera ufficiale che la BiH ha assicurato il necessario per poter procedere al processo di liberalizzazione. Il messaggio politico che é venuto dal PE é molto importante. Gli Stati Membri non credo possano ignorare questi due messaggi ed opporsi a questo processo.  Spero che nelle prossime settimane si possa arrivare ad una conclusione.

Una sintesi finale…

Credo oggettivamente che ci siano delle opportunità in questa situazione. È ancora difficile capire se sono delle novità che ci porteranno lontano o no. Le manovre sono ancora in corso, vedremo cosa uscirà da questi negoziati. Bisogna poi porsi necessariamente il problema di come porre l’Europa di nuovo al centro del dibattito politico.

* Sara Bagnato è Dottoressa in Relazioni Internazionali (Università di Perugia)


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