Conoscere gli Stati destinatari del petrolio della Libia servirà anche a capire chi ha davvero “vinto” la guerra civile libica? Fra gli Stati impegnati in Libia, la prima a sostenere la rivolta civile è stata la Francia, che difficilmente la abbandonerà senza ottenere certi vantaggi. Chi potrebbe rimetterci è l’Italia, nonostante un impegno costato 192 milioni di euro. Gli esiti dei recenti incontri fra il Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, e i rappresentanti del Consiglio nazionale di transizione hanno consentito la riattivazione del precedente trattato italo-libico, sospeso nel marzo 2011, mediante la firma della Tripoli Declaration: la strategia del governo libico ha mirato a rinegoziare i rapporti economici e strategici attivi in precedenza con l’Italia e a volgerli a favore del proprio popolo.
 
 

Dalla sospensione alla riattivazione del “Trattato Italia-Libia” del 2008

Il Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, dopo l’incontro dello scorso 15 dicembre a Roma con il Presidente del Consiglio nazionale di transizione, Mustafa Abdul Jalil, era riuscito a “resuscitare” il trattato italo-libico, sospeso di fatto dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U., adottata lo scorso 17 marzo. D’altronde, quando era ormai considerata conclusa la guerra, i governi di Parigi e Londra si erano autoproclamati i “padrini” della rivoluzione, mentre il governo italiano annunciava che, appena il Consiglio nazionale di transizione avesse assunto il controllo della Libia, il trattato italo-libico sarebbe stato “rivitalizzato”.

Per rintracciare le origini di un accordo tra Libia e Italia bisogna andare indietro di qualche anno. Le trattative iniziano, infatti, con il secondo governo guidato da Romano Prodi il quale però, si rifiuta di ratificarlo, giudicando le pretese del Capo di Stato libico, Muammar Gaddafi, troppo esagerate a fronte di scarse garanzie sul mantenimento effettivo dello stesso accordo. Tuttavia, Silvio Berlusconi, tornato alla guida del governo italiano nel 2008, intende a tutti i costi concludere tale accordo che, così, è firmato il 30 agosto dello stesso anno a Bengasi. Il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione obbliga lo Stato italiano a finanziare opere pubbliche in Libia nei successivi vent’anni, per un totale di 5 miliardi di dollari, da considerarsi una riparazione per i danni coloniali. In cambio, il governo di Tripoli s’impegna a controllare i flussi di immigrazione diretti verso l’Italia che, inoltre, si riserva una posizione privilegiata nell’assegnazione delle commesse, generando forti malumori da parte dei governi di Francia e Regno Unito. E sono proprio questi ultimi a insistere oggi per “monetizzare” al più presto il loro ruolo nell’intervento militare in Libia. La riattivazione del trattato è, da una parte, un indubbio successo per l’Italia che, in questo modo, evita la riapertura dei negoziati e la procedura parlamentare di ratifica e, dall’altra, un sollievo alle imprese italiane coinvolte direttamente nelle opere da realizzare in Libia. Sono inoltre smentite le indiscrezioni che volevano i nuovi dirigenti libici più che propensi a modifiche volte a ridimensionare il ruolo italiano in Libia. Modifiche che, nei fatti, avrebbero finito col favorire la Francia, la quale mirava a rimpiazzare la stessa Italia nel ruolo di primo partner commerciale. Tuttavia, la riattivazione del trattato non ha solo un valore economico: essa è anche il segnale della rinnovata fiducia dell’Italia nella “nuova” Libia e nel percorso in atto verso la costituzione democratica la quale prevede, a giugno, l’elezione dell’Assemblea Costituente. [1]

I nuovi accordi con la Libia: una sconfitta diplomatica?

Nel frattempo, i fondi esteri libici congelati durante il conflitto sono stati progressivamente sbloccati: l’Italia – dove Tripoli detiene importanti partecipazioni, da UNICREDIT a FINMECCANICA – ha già fatto la sua parte, scongelando 600 milioni di euro. Come se non bastasse, la produzione petrolifera è stata ripresa attivamente, raggiungendo la considerevole cifra di un milione di barili al giorno. L’ENI, da parte sua, è pronta a recitare un ruolo di primo piano: il Presidente del Consiglio nazionale transitorio ha, infatti, ringraziato l’azienda italiana, a riprova dell’intelligente politica di collaborazione mantenuta anche durante il periodo della guerra, e non ha mancato di sottolineato che proprio grazie ad essa, la produzione energetica libica ha raggiunto il 70% della produzione pre-bellica. In nome di tale collaborazione, l’ENI ha offerto la massima disponibilità a collaborare in maniera estesa nella ricostruzione e nella modernizzazione del Paese libico. Prima che tale progetto possano svilupparsi, i relativi accordi fra la compagnia petrolifera e lo Stato libico saranno rivisti: la rinegoziazione, annunciata dal Primo ministro libico, Abdurrahim Abdulhafiz El-Keib, riguarderà le attività collaterali di aiuto della stessa ENI alle infrastrutture del Paese libico, devastato dalla guerra civile. Gli accordi potrebbero rivelarsi un riadattamento del trattato italo-libico alla nuova realtà del Paese, andando incontro alle esigenze dei nuovi governanti libici: il petrolio e il gas non saranno, infatti, oggetto di interesse, al contrario di scuole, formazione professionale dei neolaureati e, infrastrutture nell’ambito dell’edilizia, della sanità, dei trasporti e dell’energia. Inoltre, il trattato significherebbe aiuti per garantire la sicurezza e per dare la possibilità agli ex-combattenti di potersi formare e studiare in Italia e ai feriti di ricevere assistenza medica negli ospedali italiani. [2]

Tuttavia, recentemente si stanno facendo avanti anche gli Stati “concorrenti” come la Francia che, dopo il fallimento diplomatico in Tunisia, tenta di assicurarsi un ruolo importante nell’Africa settentrionale intaccando, con le compagnie ELF e TOTAL, il monopolio energetico detenuto finora dall’ENI. Va aggiunto che, sotto il profilo politico, la volontà del Regno Unito e della Francia di conquistare le simpatie del nuovo governo libico ha conseguentemente ridotto il rapporto “speciale” del governo italiano e delle aziende italiane con la Libia. La posizione italiana appare compromessa anche in termini diplomatici, come dimostra la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.) del 23 febbraio, che ha palesato in modo inequivocabile le colpe del governo nelle azioni di contrasto all’immigrazione clandestina.

La Dichiarazione di Tripoli

Gli obiettivi di una piena riattivazione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione cominceranno a concretarsi solo gradualmente. Il 20 gennaio, a Tripoli, il Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, e l’omologo libico hanno firmato la Dichiarazione di Tripoli: una dichiarazione che, non menzionando esplicitamente il trattato firmato a Bengasi nell’agosto 2008, si limita a rilevare che l’Italia e la Libia hanno concordato di costruire i loro rapporti a partire dagli accordi già sottoscritti fra loro, andando avanti con la realizzazione delle varie attività attraverso commissioni tecniche specializzate nei vari settori di interesse reciproco, come quelli di pesca e cantieristica navale. Pur risentendo dei cambiamenti politici avvenuti con la “Rivoluzione del 17 febbraio”, Mario Monti ha affermato che il trattato italo-libico del 2008 non è stato oggetto di alcuna trasformazione e, inoltre, ha aggiunto: “Lo spirito che animava le precedenti iniziative continua ad animare da parte italiana questa dichiarazione di Tripoli”. La volontà italiana di riprendere e ampliare ulteriormente la collaborazione con la “nuova” Libia è stata confermata dal Ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, il quale ha invitato il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale del governo libico, Anshur Ben Khaial, a partecipare alla riunione, che si è svolta il 20 febbraio a Roma, del Dialogo 5+5, riservata ai rappresentanti dei Paesi del Mediterraneo Occidentale e recentemente rinominata Dialogo dei 10. [3]
L’atteggiamento propositivo dell’attuale governo italiano non ha comunque trattenuto le critiche e le polemiche della stampa nazionale a proposito della gestione delle relazioni diplomatiche. In particolare, ormai priva dei precedenti rapporti “speciali” con la Libia, la capacità energetica dell’Italia ha certamente subito un grave colpo.

* Giacomo Morabito, dottore in Scienze delle Relazioni Internazionali (Università degli Studi di Messina)

Note:
[1] (Autore anonimo, Italia-Libia: Monti e Jalil riattivano trattato amicizia, http://ansamed.ansa.it – 15/12/2011)
[2] (Autore anonimo, Tripoli rassicura sui contratti con l’ENI, www.ilsole24ore.com – 03/01/2012)
[3] (Autore anonimo, Libia, monti firma la “Tripoli Declaration”, www.quotidiano.net


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