Domenico Caldaralo

 

La disputa del Mar Cinese vede coinvolti diversi attori statali dell’Asia estremo orientale e per la maggior parte membri dell’ASEAN (Associazione degli Stati del Sud Est Asiatico). Essa si svolge in due scenari: nel Mar Cinese Meridionale, dove le rivendicazioni territoriali della Cina si scontrano con quelle del Vietnam, della Malaysia, del Brunei, delle Filippine e di Taiwan, e nel Mar Cinese Orientale, dove invece il confronto vede coinvolti Repubblica di Cina (Taiwan), Giappone e la Repubblica Popolare Cinese (in questo settore del Mar Cinese la posizione di Taipei e di Pechino appare non discorde, essendo il possesso cinese di queste isole riconosciuto unanimemente dai due governi).

Nel Mar Cinese Meridionale lo scontro verte attorno al possesso delle isole Spratly (Nansha in cinese), delle Paracel (Xisha in mandarino) e delle scogliere di Scarborough Shoal, mentre nel Mar Cinese Orientale, ad essere disputate sono le isole Senkaku (note nel loro nome giapponese, mentre sono note come Diaoyu in quello cinese). Il totale delle isole contestate, comprendente inoltre banchi di sabbia, atolli e rocce ammonta a 250. L’importanza del possesso di questi territori, di per sé non popolabili, risiede nella possibilità di estensione della Zona economica esclusiva, affermata in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United Nations Convention on the Law of the Sea – UNCLOS), che il riconoscimento delle isole garantirebbe agli stati interessati.

Un altro attore, gli Stati Uniti, presidia i due mari invocando la libertà di navigazione e ne percorre le acque con la V Flotta che muove dallo stretto di Malacca, la III Flotta che penetra attraverso il Mare di Sulu, dopo aver attraversato il Mare di Celebes, mentre la VII Flotta interviene dallo stretto di Luzon tra Taiwan a nord e l’arcipelago delle Filippine a sud. L’importanza del Mar Cinese è determinante per gli USA per il controllo del Pacifico e inoltre per consentire di “terrestrizzare” la Cina, ma lo è a maggior ragione per la Cina stessa, le cui risorse transitano attraverso detto mare, cui giungono (in particolare il petrolio) per tramite dello stretto di Malacca. (1) Lo stesso mare conterebbe risorse petrolifere di portata rilevante, tale da acuire i toni della controversia territoriale.

Per quanto riguarda i tre piccoli arcipelaghi considerati, ovvero le isole Spratly, le isole Paracel e le isole Senkaku, esiste una lunghissima tradizione di frequentazione di queste acque da parte dei pescatori cinesi. Inoltre è riconosciuta l’appartenenza storica di queste isole, già prima delle guerre dell’oppio, alla giurisdizione delle province costiere della Cina meridionale. (2) Le Senkaku sono rivendicate come parte dello stato cinese sin dal XVI secolo, venendo perse dalla Cina durante la prima guerra sino-giapponese. Se per le Senkaku le ragioni della rivendicazione sembrano propendere a favore di Pechino, per gli altri due arcipelaghi la questione è più dibattuta. Per capire però le motivazioni storiche della disputa occorre risalire alle origini, ovvero all’epoca coloniale, in cui la Cina era sottoposta ad una aggressione e ad un controllo continui delle potenze occidentali.

La questione del Mar Cinese può essere vista infatti come ultimo atto di un tentativo dell’Occidente e degli USA in primis, a partire dalla costituzione della Repubblica popolare nel 1949, di impedire a tutti i costi la riunificazione del paese, privandolo di territori parte della Cina storica. Nel 1950, nel corso della guerra di Corea, il presidente Truman inviava la VII Flotta nello stretto di Taiwan per impedire la riconquista comunista dell’isola.

Ma già all’epoca dell’invasione giapponese della Manciuria nel 1931, le potenze coloniali occidentali approfittavano della guerra che indeboliva la Cina per prendere possesso delle isole Spratly e delle isole Paracel, che venivano annesse dall’impero coloniale francese tra il 1931 e il 1933. (3) Nel 1939, nel corso della seconda guerra sino giapponese, ribaltando l’azione francese, il Giappone invase le Paracel e le Spratly. L’impero del Sol Levante assumeva quindi nel corso della seconda guerra mondiale il controllo di tutte le isole del Mar Cinese Meridionale. Gli Stati Uniti non condannarono l’invasione delle Spratly in quanto esse erano fuori dal territorio delle Filippine, che allora era una colonia degli Stati Uniti.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, le isole Paracel erano contese tra la Cina di Chiang Kai-Shek e la Francia, padrona dell’Indocina, sicché erano rivendicate come cinesi anche dal Kuomintang, che in quegli anni era l’unico governo cinese riconosciuto dall’Occidente. (4)  Nel 1946 la Repubblica di Cina, anteriormente alla conquista comunista del potere in Cina, inviava addirittura proprie navi a recuperare le isole perdute (Paracelso e Spratly).

La prima dichiarazione ufficiale di rivendicazione degli arcipelaghi da parte di Pechino risale al 1951, quando Zhou Enlai, ministro degli esteri, ne accampò l’apparenza alla Cina popolare. Nel 1958 invece la Repubblica popolare cinese, in una dichiarazione ripresa peraltro anche dall’organo del Partito comunista vietnamita, ribadiva la propria sovranità sulle isole Paracelso e Spratly, oltre che su Taiwan.(5) Hanoi oggi rivendica interamente il possesso tanto delle Spratly, quanto delle Paracel (denominate rispettivamente Truong Sa e Hoang Sa in vietnamita).

Le isole Senkaku, invece, assegnate ufficialmente al Giappone a seguito del Trattato di San Francisco (1951), furono governate direttamente dagli Stati Uniti dal 1945 fino al 1972, quando passarono sotto la sovranità di Tokyo, rientrando nella prefettura di Okinawa. (6) Con la dichiarazione del Cairo (1943), a seguito di un accordo tra gli alleati e la Repubblica di Cina, si era addivenuti a un accordo in base al quale il Giappone avrebbe restituito le Senkaku dopo la fine della guerra, ma ad oggi esse rimangono in mano a Tokyo. La stessa dichiarazione veniva confermata dall’URSS a Potsdam nel 1945. Tuttavia, con il Trattato di San Francisco, che non veniva sottoscritto né dalla Repubblica di Cina, né dalla Repubblica Popolare Cinese, si consentì al Giappone di trattenere tali isole. (7)

Il contenzioso intorno alla rivendicazione del Mar Cinese comincia negli anni ’70 del Novecento, quando alcuni Paesi tra cui le Filippine, violando la Carta delle Nazioni Unite e i principi fondamentali delle relazioni internazionali, hanno iniziato ad occupare illegalmente alcuni isolotti delle Spratly. La corsa alla rivendicazione (da parte di Taipei, Tokyo, Pechino e Saigon) delle isole nasceva a seguito della scoperta di importanti giacimenti di idrocarburi.  La Cina, ritenendo di prima importanza il rispetto del diritto internazionale e non la corsa all’occupazione illegale di territori, ha sostenuto il ricorso a negoziati per risolvere le dispute (pur avendo proceduto alla presa di possesso delle Paracel nel 1974 a seguito di uno scontro col Vietnam del Sud). Occupazioni, rivendicazioni e appropriazioni indebite, non separate da momenti di frizione militare tra Cina e Vietnam sarebbero proseguite nei decenni successivi.

Recentemente una sentenza della Corte permanente di arbitrato presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aja si è espressa in favore del ricorso filippino rispetto alla questione della sovranità cinese nel Mar Cinese Meridionale, precisando che non sussistono le basi legali che consentano alla Cina di avanzare alcuna rivendicazione sulle isole racchiuse nella nine-dash line (ovvero quella delimitazione “a nove trattini” che avvolge dall’85 al 90 per cento del Mar Cinese Meridionale), disegnata per la prima volta in un atlante commissionato dal governo del Kuomintang nel 1948.(8) Nessuna delle isole Spratly, secondo l’Aja, può costituire inoltre una zona economica esclusiva (ZEE) in quanto il tribunale ha sentenziato che esse siano semplici rocce e non isole (in base a quanto stabilito all’art. 121 della Convenzione sul diritto del mare). (9) Pechino, non avendo sollevato la controversia, naturalmente non accetta il verdetto unilaterale dell’arbitrato dell’Aja, che oltre a non avere competenza nella disputa, ha emesso un pronunciamento favorevole a priori a Manila. Anche Taiwan, non coinvolta formalmente nell’arbitrato, ha espresso ferma protesta per il verdetto, rivendicando per sé la sovranità sul Mar Cinese Meridionale.

Le Filippine hanno fatto ricorso surrettiziamente al tribunale arbitrale, in quanto la questione della sovranità territoriale non rientra tra gli ambiti regolati dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (richiamata dall’Aja nella sentenza), che riguarda la delimitazione delle acque territoriali, ma dal diritto consuetudinario internazionale.(10) Il precedente governo filippino aveva sollevato eccezioni generiche (inerenti a questioni marittime) relativamente alla validità legale della nine-dash line stabilita da Pechino. (11) Il neopresidente delle Filippine Rodrigo Duterte ad ogni modo si è dichiarato disposto ad un accordo con la Cina sulla questione e pronto a riconsiderare la posizione del precedente esecutivo.

La Cina ha comunque minacciato di abbandonare la Convenzione ONU sul diritto del mare (UNCLOS), di cui è membro storico e che Washington non ha mai sottoscritto. Questo fatto rende manifesta l’ipocrisia degli USA che accusano Pechino di violare le leggi marittime pur non avendo mai ratificato l’UNCLOS che, come si evince su Foreign Affairs, costituisce il “vero fulcro del diritto marittimo”. (12)

Ad ogni modo la sentenza del tribunale dell’Aja, oltre a creare un precedente che potrebbe consentire agli altri paesi di rafforzare le proprie pretese verso Pechino, determina inevitabilmente un aumento delle tensioni tra la Cina e le Filippine e gli altri paesi confinanti.

Lo stesso provvedimento contrasta con la modalità di risoluzione della disputa attraverso trattative bilaterali adottata da Pechino nei riguardi degli stati con i quali ha in corso controversie confinarie e seguita da Manila quando i due paesi addivennero ad un accordo sulla risoluzione dei contrasti alla metà degli anni Novanta e nei primi anni del Duemila.(13) Solo nel 2013 le Filippine decisero di portare di fronte alla Corte permanente di arbitrato il caso sulle isole contese, smentendo peraltro la Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale (Declaration on the Conduct of Parties in the South China Sea – DOC), firmata dalle stesse Filippine in sede ASEAN nel 2002. (14)

A livello internazionale, i paesi che sostengono la posizione di Pechino in maniera esplicita ammontano a settanta, mentre quelli che appoggiano le Filippine sono solo Stati Uniti, Giappone, Australia, Gran Bretagna e Vietnam. I restanti paesi del mondo si collocano in maniera neutrale, temendo che una presa di posizione decisa possa favorire un aumento delle tensioni internazionali e accrescere i rischi di guerra. (15)

 

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  1. http://www.asrie.org/asrie/2016/07/01/mar-cinese-meridionale-i-paesi-dellasean-alla-prova/?utm_campaign=shareaholic&utm_medium=linkedin&utm_source=socialnetwork
  2. D. Losurdo, Controrivoluzione neocoloniale e «pivot» anticinese, in «Marx Ventuno», n. 2-3 (2015), Marx in Cina. Appunti sulla Repubblica popolare cinese oggi, Marx Ventuno edizioni, Bari 2015, p. 151.
  3. http://www.nododigordio.org/cannocchiale-geo/venti-gelidi-increspano-le-acque-del-mar-cinese-meridionale/ Dell’Indocina in mano all’impero coloniale francese facevano parte il Vietnam meridionale (Cocincina), la Cambogia (acquisita nel 1863) e il Tonchino (cui si era aggiunto il Laos nel 1893).
  4. http://www.ilcaffegeopolitico.org/43339/la-cina-lanticolonialismo-e-lo-spettro-del-comunismo. L’ostracismo anticinese sarebbe perdurato di fatti fino al rapprochement tra Nixon e Mao del 1972.
  5. Losurdo, Un mondo senza guerre, Carocci, Roma 2016, p. 309.
  6. http://www.limesonline.com/il-grande-gioco-del-mar-cinese/26070
  7. http://domenicolosurdo.blogspot.it/2016/06/gianni-cadoppi-de-il-caffe-geopolitico.html
  8. https://assets.documentcloud.org/documents/2990864/Press-Release-on-South-China-Sea-Decision.pdf   Simone Dossi, Rotte cinesei: teatri marittimi e dottrina militare, Università Bocconi editore, Milano 2014
  9. http://www.limesonline.com/cina-filippine-sentenza-aia-mar-cinese-meridionale-notizie-mondo-oggi/93078?refresh_ce
  10. http://it.china-embassy.org/ita/sbdt/t1382473.htm
  11. http://www.nododigordio.org/cannocchiale-geo/manila-vs-pechino-un-verdetto-inapplicabile/?utm_source=Twitter&utm_medium=Tweet&utm_campaign=TrafficoBlog
  12. Wyne, Ali. “U.S. Hypocrisy in the South China Sea.” Foreign Affairs. 25 July 2016. Web. 25 July 2016.
  13. http://www.globaltimes.cn/content/993094.shtml
  14. http://asean.org/?static_post=declaration-on-the-conduct-of-parties-in-the-south-china-sea-2
  15. http://thediplomat.com/2016/07/who-supports-china-in-the-south-china-sea-and-why/

 

 

 


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